Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29908 del 04/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29908 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE MATTEO SALVATORE N. IL 24/10/1953
avverso la sentenza n. 3674/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. /T
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv

‘-liFe–e-de

Data Udienza: 04/04/2013

DE MATTEO Salvatore ricorre per Cassazione avverso la sentenza
4.4.2012 con la quale la Corte d’Appello di Milano lo ha condannato
alla pena di anni 1 di reclusione e 933,00 £ di multa per la violazione
dell’art. 648 cp, così parzialmente confermando la decisione
18.10.2006 del Tribunale di Monza.
L’imputato richiede l’annullamento delle decisione impugnata
deducendo:
§1.) ex art. 606 C comma lett. 13) cpp, l’erronea applicazione degli
artt. 48, 648 e 712 cp perchè: a) manca la prova dell’elemento
psicologico del delitto di ricettazione; b) il quadro inidiziario è
insufficiente; c) il fatto ascritto poteva essere riqualificato entro gli
ambiti della contravvenzione di cui all’art. 712 cp.
§2.) ex art. 606 C comma lett. E) cpp, vizio della motivazione. Ad
avviso del ricorrente manca ogni riferimento alle modalità con le quali
è stata pagata la merce trovata nella sua disponibilità ed inoltre la
Corte d’Appello non ha tenuto delle caratteristiche professionali della
attività dell’imputato e della sua possibilità, proprio per tale ragione di
accedere a canali commerciali non ufficiali.
RITENUTO IN DIRITTO
La disamina dei motivi di ricorsi impone una breve premessa in fatto.
L’imputato, titolare di un magazzino di deposito di capi di
abbigliamento e commerciante nel settore, è stato trovato in possesso
di 750 capi contraddistinti dalla marca “Ralph Laurent”, di questi: di
250 riproducenti lo stemma privo di etichetta. L’imputato è stato
trovato in possesso di ulteriori 250 capi di abbigliamento circa,
contraddistinti da marchi contraffatti di vari noti produttori del settore
(“Versace, (iuru, Fred Perry, Burberry, Roberto cavalli, Tommy
Hilfiger, Armarli, Prada, Dolce & (iabbana, La Mattina, Ferrè, Sweet
Years, Napapijri, Gianmarco Venturi, Refhgiwear, Nino Cerutti, Yves
Saint Laurent, Cacharel”. All’imputato venivano pertanto mosse le
accuse di ricettazione dei capi di abbigliamento provento del delitto di
contraffazione e dell’ulteriore reato di detenzione per la vendita di
capi di abbigliamento contraffatti, reato che nel corso del giudizio di
appello veniva dichiarato estinto essendo maturata la prescrizione.
Condannato dal Tribunale, l’imputato proponeva appello deducendo
che: a) l’affermazione dei rappresentanti delle case produttrici che
avevano testimoniato l’idoneità della contraffazione ad indurre in
errore i consumatori, non varrebbe comunque provare il dolo di
ricettazione da parte dell’imputato; b) l’eventuale consapevolezza
della falsità dei marchi e della non genuinità della merce, acquisita
solo successivamente alla ricezione della merce stessa, non vale a far
ritenere integrati gli estremi del delitto di ricettazione, valendo la
buona al omento dell’acquisto della merce; c) l’imputato ha prodotto
nel corso del giudizio le fatture della merce rinvenuta e sequestrata

MOTIVI DELLA DECISIONE

dalla Polizia Giudizaria, prova evidente della buona fede del
ricorrente, perchè nel mercato clandestino delle falsificazioni non
verrebbero rilasciate fatture o altra documentazione compromettente;
d) l’imputato ha fornito indicazioni in merito ai suoi fornitori, ma la
polizia giudixiaria non ha svolto alcun accertamento sugli stessi; e)
l’imputato è uno stocchista di merce.
La Corte d’Appello ha rigettato tutti i motivi di doglianza ritenendo
che: a) l’imputato proprio per le sue caratteristiche professionali ed
esperto del settore, si era reso conto delle caratteristiche della merce
acqusitata o comunque ricevuta, con la conseguenza che è da ritenersi
provato il “dolo” della ricettazione; b) le merci sono pacificamente
contraffatte, come è stato testimoniato dai responsabili commerciali
delle varie marche apposte sugli abitati sequestrati; c) in ordini agli
acquisti della merce non risulta alcuna documentazione (fax o
ordinativi), nè tantomeno mezzi di pagamento tipici dell’attività
commerciale (assegni, bonifici ri-ba); d) nessuna delle fatture
commerciali prodotte dalla difesa è idonea a dare conto della
regolarità dell’operazione commerciale, apparendo per lo più
documentazione raccolta solo successivamente agli accertamenti della
polizia giudiziaria e volta a fornire una qualsivoglia apparente
giustificazione della regolarità della merce sequestrata; e) è irrilevante
la circostanza chelsiste un mercato parallelo, in quanto ciò di per sè
non giustificata l’illiceità del fatto; t) manca qualsivoglia prova che lo
imputato possa essere stato vittima di raggiri, tenuto anche conto del
suo comportamento imprenditoriale, non avendo proposto alcuna
denuncia in tal senso.
Le censure proposte dall’imputato con il ricorso nella presente sede
sono la riproposizione di quelle già formulate con l’atto di appello ed
in ordine alle quali la Corte territoriale ha dato una risposta adeguata
che non è stata oggetto di specifica censura. Sotto questo punto di
vista il ricorso qui proposto presenta caratteristiche di genericità di per
sè conducente alla dichiarazione di inammissibilità ex art. 591 cpp.
A ciò va aggiunto che le censure mosse dal ricorrente attengono ad
aspetti di valutazione di merito e non delineano alcuna censura in
diritto, nè pongono in evidenza vizi specifici della motivazione che
devono essere desumibili dalla esclusiva lettura della medesima.
Con riferimento alla diversa qualificazione del fatto ascritto in
violazione dell’art. 712 cp, va osservato che si tratta di argomento che
impone una diversa lettura del materiale probatorio, che è preclusa in
questa sede, nè sono ravvisabili sul punto comunque vizi o carenze
della motivazione. Infatti, nel caso in cui il giudice di merito abbia
ravvisato gli elementi costitutivi di una determinata fattispecie penale
e in questa abbia ritenuto di qualificare il fatto contestato, avendo sul
punto fornito motivazione adeguata, non è necessario che venga reso
conto delle ragioni per le quali vanno escluse le possibili diverse
qualificazioni alternative.
Per le suddette ragioni, pertanto, il ricorso è inammissibile e il
ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della

somma di € 1.000,00 così equitativamente determinata la sanzione
prevista dall’art. 616 cpp, ravvisandosi nella condotta processuale del
prvenuto estremi di responsabilità
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla
cassa delle ammende.
oma il 4.4.2013

Così deciso

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