Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29907 del 08/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29907 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
suA ricorst propostt da :

1.

BIRRDJAM BILAL

N. IL 30.03.1983

2.

BOUKEFOUSSA DJALOUD

N. IL 18.10.1983

3.

OUNISSI HACENE

N. IL 24.08.1983

4.

HABLANI NOURA

N. IL 22.10.1982

5.

DELLA ROCCA GIUSEPPE

N. IL 21.11.1979

6.

COPPOLA PAOLO

N. IL 10.03.1975

7.

ALLALI RIDA

N. IL 15.10.1979

Avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ROMA in data 14 aprile 2014

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, sentite le
conclusioni del PG in persona del dott. Giuseppe Corasaniti che ha chiesto dichiararsi

Data Udienza: 08/04/2015

4

l’inammissibilità dei rice,rsi di Allali e Ounissi e l’annullamento con rinvio limitatamente al
trattamento sanzionatorio dei ricorsi di Della Rocca, Coppola, Birrdjam, Boukefoussa e
Hablani. Per Della Rocca è presente l’avvocato Granato Giorgio del foro di Latina anche in
sostituzione dell’avvocato Cardarello come da nomina a sostituto processuale depositata in
udienza che chiede l’accoglimento dei ricorsi. Per i ricorrenti Allali, Ounissi, Boukefoussa,
Hablani è presente l’avvocato Gaetano Marino del foro di Latina in sostituzione
dell’avvocato Orsini Alessandro come da nomina a sostituto processuale depositata in
udienza che chiede l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza resa in data 14 aprile 2014 la Corte d’Appello di Roma, in
riforma della sentenza del GIP presso il Tribunale di Latina in data 5 marzo 2913,
appellata dagli imputati, così statuiva in relazione alla posizione degli odierni
ricorrenti:

nei confronti di Halladi Rida, esclusa la recidiva, riduce la pena ad anni sei, mesi
otto di reclusione ed C 27.000,00 di multa;

nei confronti di Hablani Noura riduce la pena ad anni uno e mesi due ed C
3.000,00 di multa con il beneficio della sospensione condizionale della pena;
confermava le condanne inflitte in primo grado a Della Rocca Giuseppe (anni due
di reclusione ed C 4.000,00 di multa), Coppola Paolo(anni due di reclusione ed C
4.000,00 di multa) , Hounissi Hacene (anni sei di reclusione ed C 20.000,00 di
multa), Birrdjann Bilal (anni sei di reclusione ed C 20.000,00 di multa),
Boukefoussa Djaloul (anni due e mesi quattro di reclusione ed C 12.000, di
multa).

2.

I suddetti imputati erano stati tratti a giudizio per plurime violazioni del d.P.R. n.
309/1990.

3.

Avverso tale decisione ricorrono a mezzo dei rispettivi difensori:
3.1

Della Rocca Giuseppe, lamentando la violazione dell’art. 73 comma 5 d.P.R.
n. 309/1990 come modificato dall’art. 1 comma 24 ter lett. a) del decreto
legge 20 marzo 2014, convertito in legge 16 maggio 2014, n. 79; la omessa e
contraddittoria motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità;

3.2

Coppola Paolo lamentando la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e)
per violazione dei diritti di difesa e la mancanza ovvero manifesta illogicità
della motivazione in merito alla identificazione dell’imputato quale utilizzatore
di alcune delle utenze intercettate; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e)
in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73 d.P.R. n. 309/1990, quanto alla
affermazione di penale responsabilità; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) in relazione agli artt. 2, comma 4, 133 cod. pen., 73 comma 5 d.P.R.

0,

n. 309/1990, come modificato come modificato dall’art. 1 comma 24 ter lett.
a) del decreto legge 20 marzo 2014, convertito in legge 16 maggio 2014, n.
79;
3.3

Hablani Noura lamentando la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) in
riferimento agli artt. 456, 429, comma 1 e 2 cod. proc. pen. relativamente ai
capi di imputazione 4, 6, 7, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23 e la
assoluta carenza di motivazione; la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c)

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta
utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed in particolare (terzo motivo)
quanto a quelle disposte sull’utenza di Renzi Simona; la violazione dell’art.
606 lett. c) ed e) in riferimento agli artt. 358, 441 bis cod. proc. pen. per
incompletezza delle indagini preliminari e comunque il difetto di motivazione;
la violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) in riferimento agli artt. 192, 533 e 530
cod. proc. pen. e comunque il difetto di motivazione; la violazione dell’art.
606 lett. b) ed e) in riferimento agli artt. 1133 cod. pen. 125 cod. proc. pen.
ed il difetto di motivazione;
3.4

Ounissi Hacene lamentando la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e)
in riferimento agli artt. 456„ 429 comma 1 e 2 cod. proc. pen. relativamente
ai capi di imputazione 4, 6, 7,11, 13, 15, 16, 17, 18 nonché l’assoluta carenza
di motivazione, comunque contraddittoria, generica ed apparente; la
violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) in riferimento agli artt. 276 e
ss. proc. pen., nonché l’assoluta carenza di motivazione, comunque
contraddittoria, generica ed apparente; la violazione dell’art. 606 comma 1
lett. c) ed e) in riferimento agli artt. 267 lett. b) cod. proc. pen., nonché
l’assoluta carenza di motivazione, comunque contraddittoria, generica ed
apparente; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) in riferimento agli
artt. 358 ,441 bis cod. proc. pen. per incompletezza delle indagini preliminari
nonché il difetto di motivazione; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed
e) in riferimento agli artt. 192, 530, 533, 125 cod. proc. pen., nonché
l’assoluta carenza di motivazione, comunque contraddittoria, generica ed
apparente; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) in riferimento agli
artt. 62 bis, 133, 81 cpv. cod. pen. e 125 cod. proc. pen., nonché l’assoluta
carenza di motivazione, comunque contraddittoria, generica ed apparente;

3.5

Boukefoussa Djaloul lamentando la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c)
ed e) in riferimento agli artt. 459, comma 1 e 2 cod. proc. pen. relativamente
ai capi di imputazione 4, 6, 7,11, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23 nonché
l’assoluta carenza di motivazione, comunque contraddittoria, generica ed
apparente; la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) in riferimento agli

ed e) in riferimento agli artt. 276 e ss. cod. proc. pen. ovvero la mancanza,

artt. 276 e ss. cod. proc. pen., nonché l’assoluta carenza di motivazione,
comunque contraddittoria, generica ed apparente; la violazione dell’art. 606
comma 1 lett. c) ed e) in riferimento agli artt. 267, lett. b) cod. proc. pen.,
l’inutilizzabilità di tutte le intercettazioni telefoniche disposte sull’utenza in uso
a Renzi Simona, nonché l’assoluta carenza di motivazione, comunque
contraddittoria, generica ed apparente; la violazione dell’art. 606 comma 1
lett. c) ed e) in riferimento agli artt. 358 , 441 bis cod. proc. pen. per

violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) in riferimento agli artt. 63, 192,
530, 533, 125 cod. proc. pen., nonché l’assoluta carenza di motivazione,
comunque contraddittoria, generica ed apparente; la violazione dell’art. 606,
comma 1 lett. b) c) ed e) in riferimento all’art. 73, comma 5 d.P.R. n.
309/1990 nonché l’assoluta carenza di motivazione, comunque
contraddittoria, generica ed apparente;

3.6

Birrdjam Bilal lamentando la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen.
per erronea applicazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

La vicenda di cui è processo (frutto dello stralcio da altro procedimento) trae origine
dal ferimento con arma da taglio del cittadino extracomunitario Allali Rida avvenuto
in Latina in data 8 gennaio 2011. In quel frangente indosso alla vittima veniva
rinvenuto un cellulare dal quale venivano estrapolate le ultime chiamate in entrata ed
in uscita. Gli investigatori, ipotizzando immediatamente che l’evento criminoso
potesse essere legato a questioni inerenti l’attività di spaccio di sostanze
stupefacenti, chiedevano ed ottenevano l’autorizzaziione ad effettuare intercettazioni
telefoniche, da cui emergeva l’esistenza di un gruppoo di soggetti di Latina e cittadini
extracomunitari (prevalentemente algerini) dediti abitualmente allo spaccio di
sostanze stupefacenti, i quali, nei loro dialoghi, facevano uso costante di un ffrasario
criptico, sintomatico dell’esistenza di traffici illeciti. L’attività investigativa
rappresentata oltre che dalle suddette intercettazioni, daai servizi di osservazione
appositamente predisposti e dai sequestri di sostanza stupefacente, nonché dalle
sommarie informazioni rese da diversi acquirenti aveva condotto ad accertare una
intensa attività illecita da parte degli imputati di acquisto, detenzione e cessione di
diversi tipi di sostanze stupefacenti (cocaina, eroina ed hashish).

5.

Osserva la Corte : è necessario premettere, in via generale, che costituisce
orientamento consolidato di questa Corte che, in presenza di una doppia conforme
affermazione di responsabilità, sia ammissibile la motivazione della sentenza
d’appello per relatíonem a quella di primo grado, sempre che le censure formulate

incompletezza delle indagini preliminari nonché il difetto di motivazione; la

contro la prima sentenza non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nel verificare la fondatezza degli
elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia
soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della
sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo

per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello
abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo
grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logicogiuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013,
Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012,
Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994, Albergarno ed
altri, Rv. 197250).

6. In merito alla doglianza comune a tutti i ricorsi, secondo la quale la Corte territoriale
avrebbe confermato l’affermazione di colpevolezza basandosi esclusivamente sul
contenuto delle intercettazioni telefoniche, in assenza di ulteriori riscontri giova
ricordare il principio più volte affermato da questa Suprema Corte, secondo il quale
gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte di
prova della colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare
riscontro in altri elementi esterni qualora siano gravi, cioè consistenti e resistenti alle
obiezioni e quindi attendibili e convincenti, precisi e non equivoci, cioè non generici e
non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile, concordanti, cioè
non contrastanti tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi certi. In ogni caso,
qualora il significato delle conversazioni intercettate non sia connotato da chiarezza,
quando ad esempio il linguaggio usato dagli interlocutori sia criptico, non per questo
la prova si trasforma in indizio, richiedendo esclusivamente elementi di conferma che
possano eliminare i ragionevoli dubbi esistenti, cosicché il criterio di valutazione della
prova è analogo a quello della prova indiziaria (Sez.6, n.3882 del 4/11/2011,
dep.31/01/2012, Annunziata, Rv.251527; Sez.4, n.21726 del 25/02/2004, Spadaro e
altri, Rv.228573; Sez.4, n.22391 del 2/04/2003, Qehailiu Luan, Rv.224962).
Un’altra, necessaria, premessa riguarda l’inammissibilità di quelle censure che i
ricorrenti hanno formulato lamentando l’inesistenza o la carenza di motivazione, in
palese contrasto con il testo della sentenza impugnata, ovvero l’inesistenza di prova
certa idonea a pervenire all’affermazione della loro responsabilità, chiedendo al
giudice di legittimità di reinterpretare i fatti accertati dai giudici di merito in presenza
di argomentazioni non illogiche. La valutazione del contenuto delle conversazioni

in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento

intercettate e del significato delle espressioni usate dagli interlocutori costituisce,
infatti, accertamento in fatto riservato al giudice di merito, del quale sarà sindacabile
esclusivamente l’eventuale vizio di motivazione nei limiti indicati dall’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Ed il compendio probatorio costituito dalle
intercettazioni può definirsi, per come riportato nelle sentenze di merito, dotato di
idonea forza dimostrativa circa il coinvolgimento di tutti gli imputati qui ricorrenti
nell’attività di detenzione a fini di cessione della sostanza stupefacente. La

solidamente fondata su argomentazioni coerenti e logiche. I ricorsi, nel tentativo di
contestare l’esistenza della gravità indiziaria, non propongono sul punto, a ben
vedere, argomentazioni dotate della necessaria specificità, eludendo l’obbligo di
prospettare gli elementi concreti in base ai quali l’interpretazione delle conversazioni
intercettate accolta nella sentenza impugnata si dovrebbe considerare
manifestamente illogica.
I motivi di ricorso proposti dagli imputati possono essere trattati congiuntamente,
attenendo alla dedotta genericità dei capi di imputazione, alla inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche ed alla mancata riconducibilità dei reati contestati
all’ipotesi attenuata di cui al 5 comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Sul punto la
Corte territoriale ha dato congrua e non illogica motivazione che resta comunque
esente dai denunciati vizi di legittimità. Peraltro come sottolineato dalla gravata
sentenza le questioni erano già state sollevate in primo grado. Ha rilevato la Corte di
merito come in ciascuna contestazione l’oggetto dell’accusa risulti comunque
esplicitato in modo tale da consentire che tutti gli imputati fossero messi a
conoscenza delle accuse mosse nei loro confronti e di difendersi adeguatamente,
come peraltro in concreto avvenuto.
Come precisato da questa Corte “l’imputazione deve contenere l’individuazione dei
tratti essenziali del fatto di reato attribuito, dotati di adeguata specificità, in modo da
consentire all’imputato di difendersi, mentre non è necessaria un’indicazione
assolutamente dettagliata dell’imputazione” (Cass., Sez. 2^, n. 16817 del
27/03/2008, Muro, Rv 239758). Parametri, quelli ora evidenziati, che nella fattispecie
risultano senz’altro osservati.
Quanto alla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni (anche con riferimento a
quelle disposte sull’utenza della De Renzi) non sussistono ragioni per discostarsi
dall’insegnamento di questa Corte secondo il quale quando l’ intercettazione è già
ritualmente autorizzata nell’ambito di un procedimento, i suoi esiti possono essere
utilizzati anche per i reati diversi ma connessi o collegati, che siano emersi dalla
medesima attività di intercettazione, anche quando il loro titolo o il loro trattamento
sanzionatorio non avrebbero consentito un autonomo provvedimento autorizzativo
(Sez. 6, n. 22276 del 05/04/2012 Ud. (dep. 08/06/2012 ) Rv. 252870; Sez.3, sent.

motivazione offerta nella sentenza impugnata è più che adeguata, oltre che

39761/2010; Sez. 3, sent. 794/1996). Si tratta del principio che è confermato anche
da un’ulteriore sentenza di questa Corte (Sez. 3, sent. 12562/2010). In effetti, tale
pronuncia riguardava una situazione di fatto diversa da quella nostra (come sopra
individuata) e nel corso della motivazione era espressamente precisato che il
principio affermato per risolvere quel diverso caso (e poi massinnato) non si riferiva
al caso (appunto, il nostro) “in cui nell’ambito dello stesso procedimento vengano
giudicati reati diversi, connessi tra loro, per alcuni dei quali le intercettazioni

palesa opportuno osservare sul punto che i concetti di utilizzazione in altri
procedimenti, contenuto nell’art. 270 c.p.p. e di inutilizzabilità di cui all’art. 271
c.p.p. appaiono identificativi dell’uso processuale del mezzo di prova (cfr. sent. Corte
cost. n. 366 del 1991), sicché una volta che le intercettazioni telefoniche o ambientali
sono legittimamente entrate a far parte del processo, sia nell’ipotesi in cui vengano
utilizzate per l’accertamento di un reato connesso, indipendentemente dall’esito del
relativo giudizio, sia nell’ipotesi in cui il reato per il quale erano state disposte
successivamente venga diversamente qualificato, non possono essere dichiarate
inutilizzabili con riferimento alla fattispecie per la quale non sarebbero state
consentite”.
Ed in effetti la giurisprudenza di questa Corte ha espressamente valorizzato
l’indicazione normativa fornita dall’art. 271 c.p.p. che, collegando la sanzione
dell’inutilizzabilità dei risultati all’evenienza che le intercettazioni siano state eseguite
fuori dei casi consentiti dalla legge o senza l’osservanza delle disposizioni di cui
all’art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3, la pone in relazione a vizi del
momento genetico dell’attività di intercettazione (Sez. 6, sentenze 50072/2009 e
24966/2011). Sicché, quando le intercettazioni siano state autorizzate nel medesimo
procedimento, sia pure per fatti distinti ma connessi o collegati, le esigenze proprie
della riservatezza delle comunicazioni, che ne limitano rigorosamente la lesione,
risultano di fatto venute meno, sicché il bilanciamento ricordato dalla stessa Corte
costituzionale (per tutte, sent. 81/1993) tra l’inderogabile esigenza di prevenire e
reprimere reati e quella di inviolabilità e segretezza delle comunicazioni può
assumere; aspetti diversi rispetto al caso dell’ intercettazione dalla
quale emerga occasionalmente il fatto autonomo del terzo estraneo (Sez. 6,
24966/2011).
La conclusione viene confortata anche dall’osservazione che la lettera stessa degli
artt. 266 e 270 c.p.p. non presenta indicazioni opposte o incompatibili, anzi tale
lettera fornendo almeno due indicazioni con essa coerenti. Da un lato, infatti, l’art.
266 c.p.p. non disciplina espressamente l’ipotesi del concorso di reati nel medesimo
procedimento, per escludere l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazione per i
reati diversi da quelli positivamente lì indicati; e ciò, pur essendo l’ipotesi di concorso

telefoniche o ambientali erano consentite, sicché ne risulti legittima l’utilizzazione. Si

< di reati fenomeno del procedimento del tutto usuale e frequente. La locuzione "nei procedimenti relativi ai seguenti reati" deve allora, per esigenze di intrinseca coerenza sistematica (in definitiva l'esigenza di valutazione unitaria, coerente e complessiva del materiale probatorio acquisito legittimamente al processo), essere interpretata nel senso della sufficienza della presenza di uno dei reati di cui all'art. 266 c.p.p. all'interno del procedimento. Del resto, sarebbe paradossale dover invece pervenire alla conclusione che l'art. 266 c.p.p. disciplini solo i casi in cui il singolo l'art. 270 c.p.p., quando deve individuare i parametri per legittimare l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti, non richiama l'elencazione tassativa dell'art. 266 c.p.p., ma ne indica uno nuovo e diverso (l'indispensabilità per l'accertamento e che si proceda per delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza), certamente non sovrapponibile nè coincidente con la clausola generale di cui all'art. 266 c.p.p., comma 1, lett. A). In definitiva, sia la lettera che il contesto sistematico in cui si collocano gli artt. 266 e 270 c.p.p. dimostrano che il legislatore si è posto il problema della utilizzazione dei risultati di intercettazioni legittimamente disposte per uno dei reati indicati nell'art. 266 c.p.p., trattando esplicitamente solo il caso dell'utilizzazione extraprocedimento e tuttavia riconoscendo in quel caso la possibilità di utilizzazione secondo parametri diversi da quelli indicati nell'art. 266 c.p.p.. Ma nuovamente paradossale sarebbe interpretare le due norme nel senso che, avendo il legislatore evitato di dare esplicita disciplina per i reati diversi da quelli ex art. 266, ma interni al medesimo procedimento, per essi; mai sarebbero utilizzabili gli esiti delle intercettazioni, addirittura neppure nei casi in cui essi lo sarebbero invece in un procedimento diverso. Lettera e contesto sistematico di tali due norme, allora, impongono l'interpretazione per la quale quando l'intercettazione è legittimamente autorizzata all'interno di un determinato procedimento nel quale si tratta di uno dei reati ex art. 266 c.p.p., i suoi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati trattati nel medesimo procedimento, senza condizione alcuna; mentre, quando si tratta di reati oggetto di diverso procedimento, l'utilizzazione è subordinata alla, sussistenza dell'articolato parametro indicato espressamente dall'art. 270 c.p.p. (indispensabilità e obbligatorietà dell'arresto in flagranza). Quanto al diniego dell'ipotesi attenuata la Corte territoriale ha fornito congrua motivazione in ordine agli elementi che portano ad escludere una valutazione in termini di lieve entità dei fatti contestati, in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del procedimento tratta uno solo, o più, dei reati che espressamente indica. D'altro lato reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell'attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità. 7. Occorre comunque rilevare con riferimento alle posizioni dei ricorrenti per cui non è stata riconosciuta l'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, 5 comma del d.P.R. n. 309/1990 che, che le condotte criminose per le quali è intervenuta condanna hashish. In seguito alla dichiarazione d'incostituzionalità dell'arti, comma 1, I. 21 febbraio 2006, n.49, Corte Cost. n.32 del 12 febbraio 2014), questa Corte è, dunque, tenuta a verificare la legalità della sanzione irrogata. In base alle disposizioni vigenti anteriormente all'emanazione del di. 30 dicembre 2005, n.272 (convertito dalla 1.49/2006), attinto dalla dichiarazione di incostituzionalità, per le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III (cosiddette droghe pesanti) previste dall'articolo 14, erano contemplate la reclusione da otto a venti anni e la multa da euro 25.822,00 ad euro 258.228,00 e per le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV (cosiddette droghe leggere) previste dall'articolo 14, la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 5.164,00 ad euro 77.468,00. In particolare, la norma dichiarata incostituzionale aveva aumentato, per le cosiddette droghe leggere, il trattamento sanzionatorio, precedentemente stabilito, come detto, nell'intervallo edittale della pena della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.164,00 ad euro 77.468,00 elevandole alla pena della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 26.000,00 ad euro 260.000,00, prevista anche per le cosiddette droghe pesanti, rivivendo all'attualità il precedente regime sanzionatorio, con pene edittali differenziate in relazione al tipo di sostanza stupefacente. I principi elaborati nel tempo da questa Corte di legittimità in materia di reato continuato, con particolare riguardo al tema del rapporto tra determinazione della pena per il reato continuato e sanzione edittale prevista per i singoli reati uniti dal vincolo della continuazione, possono così riassumersi: a) per la individuazione della violazione più grave il giudice deve fare riferimento alla pena edittale prevista per ciascun reato ed individuare la violazione punita più severamente dalla legge, in rapporto alle circostanze in cui la fattispecie si è manifestata (Sez. U n.25939 del 28/02/2013, P.G. in proc. Ciabotti, Rv.255347; Sez. 6, n.34382 del 14/07/2010, Azizi Aslan, Rv. 248247; Sez. 5, n. 12473 dell'11/02/2010, Salviani, Rv. 246558; Sez. 3, n. 11087 del 26/01/2010, S., Rv. 246468; Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, Sali, Rv. 246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, Maciocco, Rv. 242866; Sez. 1, n. 26308 del 27/05/2004, Micale, Rv. 229007; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/01/1994, Cassata, Rv.195805; Sez. concernenti la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, Rv.191129); b) la pena base per il reato continuato non può mai essere inferiore a quella prevista come minimo per uno qualsiasi dei reati unificati dal medesimo disegno criminoso (Corte Cost., ord. n. 11 del 9/01/1997; Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664; Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 3/02/1998, Varnelli, Rv.209487); c) la pena destinata a costituire la base sulla quale operare gli aumenti fino al triplo per i reati-satellite, qualunque sia il genere o la specie della loro sanzione edittale, è esclusivamente quella Varnelli, Rv.209486). L'ulteriore sviluppo di tali principi è che, se per la individuazione del reato più grave deve certamente farsi riferimento alla pena edittale, cionondimeno la sanzione edittale prevista in relazione a ciascun reato-satellite può assumere rilevanza ai fini della determinazione della pena da applicare in aumento in ragione dei principi generali, ai quali la disciplina del reato continuato non deroga, enunciati, in tema di applicazione della pena, dagli artt.132133 cod. pen. Deve, dunque, evidenziarsi che, nel caso concreto, il criterio seguito dal giudice di merito per individuare il reato più grave certamente non è in contrasto con la disciplina attualmente in vigore, considerato che la pena base non è stata determinata in relazione a condotte di cessione di droghe leggere, né in misura inferiore al minimo edittale previsto per alcuno dei reati-satellite e che, soprattutto, la sanzione massima edittale prevista per le condotte di cessione di droghe pesanti è rimasta immutata anche a seguito della citata pronuncia d'incostituzionalità. Non potrebbe escludersi, per quanto sopra indicato, l'illegalità della pena irrogata in aumento in conseguenza della sopravvenuta disciplina sanzionatoria più favorevole in relazione ad uno dei reati-satellite, ancorchè in virtù del cumulo giuridico la pena per il reato satellite venga a trasformarsi in una porzione omogenea della pena aumentata per il reato più grave. Come recentemente sottolineato in una pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, la funzione dell'istituto è stata resa ancor più evidente dalla novella dell'art. 81 cod. pen. ad opera del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla I. 7 giugno 1974, n. 220, che, nel consentire l'applicazione della continuazione anche in presenza di violazioni di norme incriminatrici sanzionate con pene eterogenee, si colloca in una linea di tendenza contraria all'automatismo repressivo, propria del sistema del cumulo materiale, e favorevole, invece, ad un'accentuazione del carattere personale della responsabilità penale, con un'esaltazione del ruolo e del senso di responsabilità del giudice nell'adeguamento della pena alla personalità del reo (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, P.G. in proc. Ciabotti e altro, Rv. 255348, che richiama Sez. U, n. 5690 del 07/02/1981, Viola, Rv. 149260-66; Corte Cost., sent. n. 254 del 1985; sent. n. 312 del 1988). Ciononostante, la perdita di autonomia sanzionatoria del reato-satellite (Sez.U, n.5690 del 7/02/1981, Viola, Rv.149263), non consente di valutare la legalità della pena irrogata ai prevista per la violazione più grave (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 3/02/1998, sensi dell'art.81, comma 2, cod. pen. facendo esclusivo riferimento alla sanzione edittale prevista per il reato più grave, non potendosi escludere, in virtù dei principi generali in precedenza richiamati, che il più favorevole trattamento sanzionatorio intervenuto nelle more del giudizio in relazione ad un reato satellite possa comportare un giudizio di illegalità della pena. Conseguentemente la gravata sentenza va annullata in ordine al trattamento sanzionatorio per gli imputati Hablani Noura, Ounissi Hacene, Allali Rida, Birrdjam Bilal, Boukefoussa 8. Con riferimento alle posizioni di Della Rocca Giuseppe e Coppola Paolo, nei cui confronti è stata riconosciuta dai giudici di merito l'ipotesi di cui al 5 comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, occorre invece rilevare che la sanzione in concreto irrogata con riferimento alla pena edittale prevista dall'art.73, comma 5, T.U. Stup., come disciplinato dalla I. n.49/2006, è stata determinata in applicazione di una disciplina ora modificata in senso più favorevole al reo. A fronte di un consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte di legittimità (Sez.U, n.35737 del 24/06/2010, Rico, Rv.247910; Sez.U, n.9148 del 31/05/1991, Parisi, Rv.187930), che qualificava in termini di circostanza attenuante dei delitti previsti dall'art.73, commi 1 e 4, T.U. Stup. l'ipotesi disciplinata dall'art.73, comma 5, T.U. Stup., le recenti modifiche normative che hanno interessato quest'ultima disposizione hanno, peraltro, indotto il giudice di legittimità ad una rivisitazione del tema ed alla qualificazione in termini di figura autonoma di reato della fattispecie astratta in esame (Sez.6, n.14288 del 8/01/2014, Cassanelli, n.m.; Sez.4, n.20225 del 24/04/2014, De Pane, n.m.; Sez.3, n.11110 del 25/02/2014, Kiogwu, Rv. 258354). La natura autonoma della fattispecie caratterizzata dalla lievità del fatto sottrae, ora, quest'ultima al giudizio di comparazione previsto dall'art.69 cod. pen., con l'effetto di imporre l'applicazione della più favorevole disciplina edittale della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032,00 ad euro 10.329,00 introdotta dall'art.', comma 24 ter, decreto-legge 20 marzo 2014, n.36, convertito con modificazioni dalla 1.16 maggio 2014, n.79 per determinare la pena base, e di incidere sul giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato. La pena inflitta agli imputati nella specie è stata determinata in primo grado (e confermata in appello) in anni due di reclusione ed euro 4.000,00 di multa ciascuno, sulla base della previsione dalla norma meno favorevole. Nel caso concreto, dunque, ferma la configurazione del fatto come lieve, norma più favorevole risulta essere la norma di più recente introduzione (arti., comma 24 ter decreto-legge 20 marzo 2014, n.36, convertito con modificazioni dalla 1.16 maggio 2014, n.79), da applicare ai sensi dell'art.2, comma 4, cod. pen., con la necessità di rideterminare la pena. L'operazione implica una integrale rinnovazione del giudizio di commisurazione in funzione della nuova cornice edittale da assumersi a riferimento. Anche in questo caso va pertanto disposto l'annullamento con rinvio, restando assorbite per tutti i Djaloul. ricorrenti le questioni concernenti la dosimetria della pena e ferma restando per tutti l'affermazione di penale responsabilità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti dei ricorrenti Della Rocca Giuseppe, Coppola Paolo, Hablani Noura, Ounissi Hacene, Allali Rida, Birrdjam Bilal, Boukefoussa Djaloul, limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame al riguardo ad altra Così deciso nella camera di consiglio dell'8 aprile 2015 IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRES DENTE sezione della Corte d'Appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi-

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