Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29906 del 26/05/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 29906 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BENEDETTO MASSIMO, nato a Torino il 06/02/1970
avverso il decreto n. 63/2015 della CORTE di APPELLO di TORINO,
del 13/11/2015

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
lette le conclusioni del P.G. Dott. ANTONIO GIALANELLA che ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso.

Data Udienza: 26/05/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 13/11/2015 la Corte di Appello di Torino ha rigettato il ricorso
presentato da Benedetto Massimo avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione
della sorveglianza speciale per anni uno e mesi sei, con cauzione pari ad € 500, emesso il

2. Avverso il provvedimento della Corte territoriale propone ricorso per Cassazione il
Benedetto, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento e lamentando, a tal fine, la
manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, nel prosieguo del ricorso
indicata in realtà come meramente apparente, in quanto fondata su una condanna del
ricorrente per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. asseritamente dovuta alla consegna di
denaro al fratello detenuto in occasione di un colloquio, condanna peraltro non definitiva.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto si discosta dai parametri dell’impugnazione di
legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen.
Giova ricordare che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso
soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n.
1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue
che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di
legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi
esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di
provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto
art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U.
n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260246).
Il ricorso proposto dal Benedetto, invero, pur denunciando un’asserita manifesta illogicità
della motivazione, lamenta anche la mera apparenza di questa, nonostante l’evidente
inconciliabilità concettuale tra i due assunti.
Anche tale vizio, però, non è riscontrabile nel provvedimento impugnato, i cui passaggi
argomentativi sono idonei ricostruire il percorso logico che ha portato la Corte territoriale a
condividere le scelte operate dal Tribunale di Torino con decreto in data 2/7/2015: questo
aveva già evidenziato che il Benedetto, benché privo di precedenti penali, era stato
condannato con sentenza del Tribunale di Torino in data 26/11/2014, ritualmente appellata,
2

2/7/2015dal Tribunale di Tornino – Sezione Misure di Prevenzione.

alla pena di sette anni e quattro mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.,
per aver fatto parte di un’associazione criminosa denominata ‘ndrangheta, e tale sentenza
aveva accertato e ritenuto rilevante elemento di prova dell’affiliazione tra il Benedetto e la
cosca il suo coinvolgimento in una colletta a favore di detenuti, nonché il suo accertato
collegamento con esponenti di spicco della criminalità organizzata, quali Antonio Agresta,
Antonino D’Amico e Pasquale Triunfo, tanto da essere stato il testimone di nozze del figlio di
quest’ultimo e da aver partecipato con i predetti al funerale di Scali Francesco, fratello di un
esponente di spicco di consorteria `ndranghetistica.

“..l’intervenuta condanna in primo grado per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. consente di
ritenere il Benedetto indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa, atteso che la nozione
di “partecipazione” ricomprende certamente in sé quella – più sfumata – di “appartenenza”. A
tal proposito la Corte ha anche rilevato non potersi considerare determinante la circostanza
che la predetta sentenza di condanna sia stata appellata, in quanto notoriamente non sussiste
alcuna pregiudizialità tra il procedimento penale e quello di prevenzione ed è dunque possibile
utilizzare in quest’ultimo, ai fini del giudizio di pericolosità sociale del prevenuto, elementi di
prova o indiziari tratti da procedimenti penali non ancora conclusi (sez. 1, n. 47764 del
6/11/2008, Rv. 242507) e perfino da procedimenti conclusisi con sentenze di assoluzione per
insufficienza o contraddittorietà della prova, potendo porre a fondamento del giudizio di
pericolosità circostanze fattuali che, seppur insufficienti a dimostrare la sussistenza del reato,
risultino comunque indicative dell’esistenza di legami qualificati intrattenuti dal proposto con
esponenti di “famiglie” mafiose.
Con riferimento al caso specifico, pertanto, la Corte di merito ha riconosciuto come
accertato il collegamento del Benedetto con esponenti di spicco della criminalità organizzata ed
ha ritenuto la sua partecipazione alla colletta per sovvenzionare i detenuti rilevante per
dimostrare quella sua contiguità con ambienti mafiosi “che già da sola basterebbe ai fini di
prevenzione”; ha rilevato, poi, l’assenza di elementi idonei a dimostrare che lo stesso abbia
rescisso i legami con la consorteria di appartenenza, ed ha ritenuto non determinante né la sua
formale incensuratezza né il fatto che il Benedetto svolgesse regolare attività lavorativa prima
dell’arresto, rilevando trattarsi di occupazione preesistente ai fatti di cui alla condanna in primo
grado, a conferma della possibile coesistenza tra attività lecite ed illecite.
Si tratta di un’articolata motivazione che, lungi da presentarsi come meramente
apparente, rendono pienamente conto del percorso argomentativo che ha portato la Corte di
Appello di Torino a confermare il provvedimento in quella sede impugnato, sicché deve
riconoscersi l’inammissibilità del ricorso in esame.
A tale inammissibilità consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna
dell’imputato che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del
3

dictum della Corte

La Corte di Appello di Torino ha aggiunto a tali elementi la considerazione per la quale

costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo
determinare in C 1.500,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso nella camera di consiglio del 26 maggio 2016

processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA