Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29906 del 04/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29906 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONCIANI GIACOMO N. IL 17/07/1973
avverso la sentenza n. 250/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
29/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. #0, cg. -te
eche ha concluso per
pfe.eec.,,4a-cet.e.ey),
3 ..teF/. -e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/04/2013

BONCIANI Giacomo ricorre per Cassazione avverso la sentenza
29.3.2012 con la quale la Corte d’Appello di Firenze lo ha condannato
alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione per i delitti di cui
agli artt.: a) 483 cp in relazione all’art. 46 1. 28.12.2000 n. 445; b) 640
cpv. 81 cp commesso in danno dell’Ufficio della Polizia Municipale
del Comune di Borgo San Lorenzo
La difesa richiede l’annullamento della decisione impugnata
lamentando:
§1.) ex art. 606 I^ comma lett. B) l’erronea applicazione dell’art. 483
cp perché mancanza di dolo; la dichiarazione del 12.4.2005 al
Comune di Borgo San Lorenzo, sarebbe frutto di un more di fatto,
ricollegato alla valutazione della esistenza di un contenzioso nel quale
veniva messo in discussione il rapporto di lavoro con le Poste Italiane
e che poteva essere dichiarato sciolto dalla Corte d’Appello di
Firenze.
§2.) ex art. 606 I^ comma lett. B) cpp, erronea applicazione dell’art.
316 ter cp. La difesa sostiene che l’imputato si sarebbe limitato alla
proposizione di false attestazioni all’amministrazione del Comune di
Borgo San Lorenzo e alla società Poste Italiane, senza il compimento
di alcun altro atto, e con il solo scopo del conseguimento
dell’indennità di malattia. Tale condotta, secondo la difesa
integrerebbe la sola violazione dell’art. 316 ter cp mancando nel caso
di specie la prova dell’avvenuto superamento delle c.d. Soglie di
punibilità in esso previste.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
La difesa dell’imputato, con il primo motivo propone censure che
attengono ad aspetti di merito. Dalla lettura della sentenza impugnata
si rileva che l’imputato, già dipendente dell’ente societario POSTE
ITALIANE, e licenziato da quella società, aveva impugnato l’atto di
risoljtione del rapporto di lavoro vedendo riconosciute le proprie
ragioni dal Tribunale di Firenze che con sentenza immediatamente
esecutiva (ex lege) del 27.11.2002, aveva annullato il licenziamento e
ripristinato a tempo indeterminato il rapporto di lavoro. Dalla
motivazione della sentenza in esame emerge altresì che l’Ente POSTE
Italiane, pur avendo dato immediata esecuzione alla statuizione del
Tribunale sezione lavoro di Firenze, aveva appellato quella decisione.
rektivo giudizio risulta essere stato definito corfs enithza di appello
del 25.11.2005 con la quale veniva data ragione al lavoratore che
vedeva definitivamente ripristinato il rapporto di lavoro con le Poste
Italiane.
Pt2-Aur,“-Ite il rnply-,Ato di lavoro eint le 13,-,qe Italiane, e pendente
giudizio civile in fase di appello, in data 12.4.2005, l’imputato, ad una
domanda per hfrnuovo lavoro presso il Comune di Borgo iatiLorenzo,

MOTIVI DELLA DECISIONE

allegava una dichiarazione sostitutiva ex art. 46 dpr 445/2000,
ditstando di non avere nessun altro rapporto di lavoro subordinato.
Dalla lettura della sentenzaffpare del tutto pacifico, in fatto, che
l’imputato il 12.4.2005 ha reso ad una Pubblica Amministrazione, una
dichiarazione sosti- falsa, poichè, contrariamente a quanto
attestato, l’imputato aveva in essere un rapporto di lavoro dipendente
con le Poste Italiane. Sul punto, infatti non dispiega alcun effetto
POste
l’esistenza di un contezioso giudiziario tra l’imputato e
Italiane perchè è comunque pacifico che il ricorrente al momento
della presentazione della domanda presso il Comune, era nella
condizione di lavoratore dipendente. Da questa premessa in fatto,
neppure contestata dal ricorrente, discende che è necessariamente
corretto il giudizio dalla Corte d’Appello, che ha ritenuto integrata la
fattispecie di cui all’art. 483 cp.
La difesa sostiene che l’imputato avrebbe compiuto l’azione a seguito
di una valutazione errata della propria situazione che ben poteva
essere sovvertita da una decisione della Corte d’Appello se fosse
andata di contrario avvisa° al Tribule del lavoro. La tesi, in questa
sede non può essere presa in considerazione: sì tratta di una deduzione
di merito che esula dal campo del giudizio di legittimità. Va inoltre
aggiunto che l’argomentazione non pone comunque in evidenza una
situazione “dubbia”, per la quale qualsiasi persona, dotata di una
comune diligenza, sarebbe potuta cadere in errore, ma formula una
prospettazione di una realtà del tutto soggettiva, essendo ben certo che
alla data del 12.4.2005 l’imputato era comunque dipendente delle
Poste Italiane e che tale rapporto di lavoro doveva essere dichiarato.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Nel caso di
specie l’imputato non si è limitato ad una mera condotta dichiarativa
falsa (così come richiesto dall’art. 316 ter cp), ma a sostegno delle
richieste di permesso di assenza dal posto di lavoro e al fine
conseguire l’indennità di malattia, alternando la presenza sul posto di
lavoro ora delle Poste Italie ora del Comune di Borgo San Lorenzo,
l’imputato ha presentato diversi certificati di malattia. Dalla sentenza
della Corte d’Appello si apprende che dagli accertamenti svolti
risultano ventidue episodi per i quali l’imputato risultava assente per
malattia presso uno dei due luoghi di lavoro, ma presenSte nell’altro.
La condotta in concreto tenuta dall’imputato integra gli estremi del
delitto di truffa. Infatti, l’allegazione di documentazione medica a
sostegno di una dichiarazione di condizione di malattia sottesa a
giustificare l’assenza in uno dei due posti di lavori,
contemperaneamente ricoperti, costituisce, sul piano fattuale, quel
quid pluris che, esulando dalla fattispecie prevista dall’art. 316 ter cp,
fa rifluire la condotta nella previsione dell’art. 640 cp, siccome è così
integrata l’ induzione in errore della parte offesa (nel caso di specie il
Comune di Borgo San Lorenzo).
Anche sotto questo profilo la decisione della Corte territoriale appare
corretta ed è manifestamente infondato quanto sostenuto dalla difesa
che non ha prospettato un’ipotesi controversa di applicazione della

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legge penale, ma ha semplicemente dedotto un’autonoma valutazione
dei fatti, senza fornire alcun argomento utile a confutare la soluzione
adottata dalla Corte d’Appello.
Per le suddetta ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ll ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese
processuali e, alla luce del dettato dell’art. 616 cpp, ricorrendo in
presupposti di responsabilità, la somma di € 1.000,00, così stabilita in
via equitativa la entità della sanzione.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di £ 1.000,00 alla
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 4.4.2013

P.Q.M.

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