Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29902 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29902 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: GAZZARA SANTI

Data Udienza: 11/06/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPADAFORA ROBERTO N. IL 25/05/1971
avverso la sentenza n. 2626/2013 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 20/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANTI GAZZARA
Udito il Procuratore Ggnerale in persona del Dott. Reo
che ha concluso per &
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 3/7/2013, dichiarava Roberto
Spadafora responsabile del reato di cui all’art. 2 co. 1 bis L. 638/83,
perché, quale titolare della ditta omonima, aveva omesso di versare
all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali, operate sulle retribuzioni
condannava alla pena ritenuta di giustizia.
La Corte di Appello di Catanzaro, chiamata a pronunciarsi sull’appello
interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 20/1/2015, in
riforma del decisum di prime cure, ha dichiarato non doversi procedere
nei confronti del prevenuto in ordine alle violazioni contestate ai capi A) e

B) della imputazione perché estinte per prescrizione; rideterminando la
pena in relazione ai fatti di cui ai capi C) e D) in mesi 1 di reclusione ed
euro 200,00 di multa.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti
motivi:
-vizio di motivazione in punto di sussistenza oggettiva e soggettiva del
reato in contestazione, in quanto i modelli DM10 non possono essere
considerati prova dell’avvenuta retribuzione da parte dello Spadafora ai
propri dipendenti della dovuta retribuzione; né lo stesso imputato ha mai
ricevuto notifica della contestazione mossagli dall’ente previdenziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia,
consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione
motivazionale, adottata dal decidente, in ordine alla ritenuta sussistenza
del reato in contestazione e alla ascrivibilità di esso in capo al prevenuto.

dei lavoratori dipendenti relativamente agli anni dal 2006 al 2009; lo

La censura sollevata con il primo motivo di annullamento, con la quale si
contesta la insussistenza di prova in ordine alla effettiva corresponsione
da parte dell’imputato delle retribuzioni ai propri dipendenti, è
manifestamente infondata, in quanto la Corte territoriale, a seguito di
una puntuale, rinnovata, disamina delle emergenze istruttorie ( copie
buste-paga e modelli DM10 )è pervenuta a riconoscere che lo Spadafora
sul punto, per orientamento univoco e consolidato della giurisprudenza di
legittimità, la condanna del datore di lavoro per il reato ex art. 2 co. 1 bis
d.Lvo 638/83 può basarsi sul modello DM10, perché da esso il giudice
penale può trarre la prova presuntiva dell’avvenuto versamento delle
retribuzioni alle maestranze, in difetto di elementi contrari ( Cass.
25/5/2015, n. 21619; Cass. 10/2/2015, n. 5909 ).; elementi nella specie
non sussistenti.
Del pari, del tutto destituita di fondamento è da ritenere l’eccepita
omessa notifica della contestazione da parte dell’INPS, in quanto
l’assunto dedotto è smentito dalla documentazione in atti e dal
contenuto della ricevuta di ritorno della raccomandata, spedita dal
predetto ente all’imputato presso la sede dell’azienda, consegnata a mani
di persona qualificatasi quale dipendente.
Sul punto, come compiutamente argomentato dalla Corte di merito, la
giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’istituto previdenziale può,
alternativamente, inoltrare la comunicazione prevista dall’art. 2, co. 1 bis,
d.lvo 638/83, sia presso il domicilio del datore di lavoro che presso la
sede della sua azienda ( Cass. S.U. sent. 1855/2011), per cui, laddove non
risulti che l’attività fosse cessata, il datore di lavoro non può eccepire
l’omessa notificazione ( Cass. sent. n. 45451/2014).
Peraltro, il ricorso è inammissibile perché aspecifico, in quanto
ripropositivo, sic et simpliciter, delle medesime ragioni già discusse e
ritenute infondate dal giudice del gravame.

aveva curato di pagare regolarmente gli stipendi ai predetti dipendenti:

La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non
solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento del gravame, questo non
potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel
vizio di aspecificità, conducente, a mente dell’art. 591 co. 1 lett. c)
39598).
Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte
Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che lo
Spadafora abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art.
616, cod.proc.pen., deve essere condannato al pagamento delle spese
processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una
somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente
determinata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro
1.000,00.
Così deciso in Roma 1’11/6/2015.

cod.proc.pen., alla inammissibilità ( ex multis Cass. 11/10/2004, n.

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