Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29895 del 04/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29895 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRITTA VITO N. IL 13/02/1970
avverso la sentenza n. 1870/2011 CORTE APPELLO di BARI, del
05/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale iversona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la p*rte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 5.3.2012 la Corte d’Appello di Bari ha confermato la pronuncia
del G.U.P. che aveva condannato Tritta Vito, colpevole di reati in materia di
stupefacenti, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione e C. 28.000 di multa con
le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e l’attenuante di cui all’art. 73 comma
7 DPR n. 309/1990.
2. La Corte di merito ha motivato l’infondatezza dell’appello sulla mancata
concessione dell’attenuante di cui all’art. 8 del D.L. 152/91 osservando che anche in

caso di concessione della stessa, il giudice non avrebbe potuto mai dichiarare la
prevalenza rispetto alla recidiva in considerazione del disposto dell’art. 69 comma IV
cpp (rectius, cp n.d.r); ha altresì rilevato che la pena così come determinata non era
ulteriormente riducibile perché era stata erroneamente fissata al di sotto del minimo
legale, atteso che contrariamente a quanto disposto dall’art. 69 commi 3 e 4 cp, non
includeva nel giudizio di bilanciamento, unitamente alle circostanze attenuanti
generiche, l’attenuante speciale, così operando la relativa riduzione non consentita nel
disposto normativo di cui all’art. 69 cp.
3. Per l’annullamento della sentenza ricorre in cassazione l’imputato (tramite
difensore) deducendo con unico motivo la violazione dell’art. 8 del D.L. 152/1991 e
dell’art. 69 cp. nonché il vizio di motivazione, rimproverando alla Corte di merito di
avere omesso di vagliare l’applicabilità dell’attenuante attraverso una motivazione
monca ed apodittica con cui si è limitata a rilevare l’impossibilità del giudizio di
prevalenza anche in caso di concessione e l’impossibilità di una ulteriore riduzione della
pena fissata al di sotto del minimo legale per effetto di un errore del giudice di primo
grado. In tal modo – a dire del ricorrente – la Corte di merito ha trascurato
completamente il motivo di appello proposto, attestandosi su questioni che esulano dal
contenuto dell’impugnazione e che non possono essere rivisitate in mancanza di
appello del pubblico ministero. In altre parole, continua il ricorrente, la valutazione del
disposto dell’art. 69 cp presuppone, quale premessa necessaria, il previo accertamento
della sussistenza delle condizioni per la concessione della diminuente, di cui egli poteva
beneficiare per il suo stato di collaboratore.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
La dissociazione attuosa prevista dall’art. 8 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.
152 convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 riguarda i delitti di cui all’articolo 416 bis
del codice penale e quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto
articolo ovvero ai fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso.
Il giudice di primo grado aveva affermato che i fatti fossero diversi da quelli in
relazione ai quali l’attenuante si invoca (cfr. pag. 6 sentenza di primo grado).

2

La Corte d’Appello ha confermato integralmente la sentenza di primo grado e
quindi anche la motivazione sul diniego dell’attenuante, aggiungendovi un’ulteriore
considerazione, come si evince dal chiaro tenore delle espressioni adoperate nella
premessa del percorso decisionale “pur volendo astrattamente accedere alla tesi
difensiva della configurabilità dell’invocata attenuante speciale”: ciò sta a significare
inequivocabilmente che l’argomento base posto a fondamento della decisione resta pur
sempre quello insussistenza delle condizioni richieste dalla legge.
(tema assolutamente preliminare rispetto a quello della valutazione delle attenuanti),
perché, ci si limita ad affermare che “in atti vi fosse la prova della sussistenza dei
corrispondenti presupposti di fatto” senza però indicare quale fosse tale prova e in
quali atti fosse rinvenibile: è evidente, sotto tale profilo, la violazione del principio di
specificità dei motivi (artt. 581 lett. c e 591 lett. c cpp), non potendosi richiedere alla
Corte di accedere all’esame del fascicolo processuale per sopperire a tale lacuna.
Da ciò consegue che è del tutto irrilevante l’esame del motivo aggiuntivo utilizzato
dalla Corte di merito per respingere l’appello dell’imputato.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione
pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 4.4.2013.

Nel ricorso, però, non viene svolta una puntuale critica a tale argomentazione

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