Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29891 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29891 Anno 2013
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) LAMBERTI GIUSEPPE, N. L’8/2/1986,
avverso la sentenza n. 1520/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di Reggio
Calabria il 17/4/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso
per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. All’esito di rito abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Locri dichiarava l’imputato responsabile del reato di concorso nella
coltivazione di piante di marijuana, nonché di furto di energia elettrica, e unificati
i medesimi con il vincolo della continuazione, computata la diminuente per il rito,
lo condannava alla pena di anni tre di reclusione ed euro 14.000 di multa.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Reggio Calabria
riformava parzialmente tale decisione riconoscendo l’attenuante di cui all’articolo
73, comma 5 T.U. Stup. e rideterminando la pena di anni uno mesi otto di
reclusione ed euro 4000 di multa.

2.1. Ricorre per cassazione il Lamberti a mezzo del difensore avvocato
Antonio Nocera, che con un primo motivo deduce vizio di motivazione con
riferimento alla inoffensività della condotta. Si rappresenta che le analisi tecniche

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Data Udienza: 05/04/2013

condotte sul reperto, costituito da una sola delle dodici piante di marijuana
sequestrate, hanno evidenziato che da esso possono essere ricavati mg. 37 di
TRC puro, pari a 1,5 dosi medie singole. Pertanto la Corte di Appello avrebbe
dovuto ritenere provata la irrilevante potenzialità dello stupefacente ricavabile
dalle piantine domestiche sequestrate, tale che la loro coltivazione non può
essere ritenuta penalmente rilevante. Peraltro i giudici del merito non hanno
motivato sul punto della destinazione a terzi del modesto quantitativo di

2.2. Con un secondo motivo di ricorso si deduce violazione della legge
processuale ed ancora vizio motivazionale per avere il giudice del merito
utilizzato ai fini della decisione una prova inesistente, cioè la capacità drogante
delle piantine domestiche distrutte dalla polizia giudiziaria prima
dell’espletamento dell’accertamento tecnico e quindi non esaminate dal
consulente tecnico d’ufficio. L’avvenuta distruzione delle piantine oggetto di
sequestro rende inesistente la prova sulla quale si è fondata l’affermazione di
responsabilità. Si rileva poi un errore logico consistente nell’affermazione della
preminenza del dato ponderale cd. virtuale della sostanza stupefacente ricavabile
all’esito del ciclo produttivo tenuto conto del prevedibile sviluppo delle piantine in
sequestro. Si assume che le modalità della tentata coltivazione domestica, che
dalla confessione resa dall’imputato con missiva inviata al giudice per le indagini
preliminari prima del dibattimento si dimostra non essere finalizzata alla cessione
a terzi del ricavato, offrirebbe spunti di sostegno alla ritenuta inoffensività della
condotta.

3. Quanto al capo B della rubrica si deduce vizio motivazionale in quanto
anche ammettendo la consapevolezza del furto di energia elettrica commesso dal
padre dell’imputato, non per ciò solo si potrebbe affermare il concorso di questi
in tale reato. L’affermazione secondo la quale il Lamberti avrebbe goduto del
risultato dell’azione paterna contrasta con il disposto normativo in tema di
concorso di persone nel reato perché il reato di furto è a consumazione
istantanea, determinatasi nel caso di specie mediante manomissione del
contatore Enel, pacificamente realizzata dal padre dell’imputato. Ulteriore difetto
di motivazione sussisterebbe poi in ordine all’asserita mancanza di prova dello
stato di indigenza dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato.
4.1. Il delitto di coltivazione domestica risulta integrato dalla condotta di
coltivazione, dalla quale – a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente – esula

marijuana ricavabile dalle piantine coltivate.

la destinazione alla cessione a terzi del prodotto della coltivazione medesima. In
altri termini, ai fini del perfezionamento della fattispecie tipica, è indifferente che
Il prodotto della coltivazione sia destinato al consumo personale del coltivatore o
di terzi (fermo restando che nel caso di successiva cessione a terzi potrà
sussistere anche il relativo delitto).
La tesi, sostenuta anche nella giurisprudenza dl legittimità, secondo la quale
“la coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti, che non
sia riconducibile alla nozione di coltivazione in senso tecnico-agrario, ovvero
terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la
disponibilità di locali per la raccolta dei prodotti, e che, pertanto, rimanga
nell’ambito della cosiddetta coltivazione domestica, ricade, pur a seguito della L.
21 febbraio 2006, n. 49, nella nozione della detenzione, sicché occorre verificare
se, nel caso concreto, essa sia destinata ad un uso esclusivamente personale di
quanto coltivato” (Sez. 6, n. 42650 del 20/09/2007, P.G. in proc. Piersanti, Rv.
238153), è stata superata dal consolidarsi dell’opposto orientamento, che a
partire dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, pronunciatasi con due coeve
e identiche decisioni (v. sentenza 24 aprile 2008, Di Salvia, e sentenza 24
aprile 2008, Valletta), ha risolto la questione del trattamento sanzionatorio da
riservare alla coltivazione di piante da stupefacente, recependo, tra le due
opzioni possibili, quella di rigore: l’attività di coltivazione è sempre di rilevanza
penale (ex articolo 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309), senza che possa esservi
spazio per una possibile rilevanza solo amministrativa (ex articolo 75 dello stesso
dpr) pur in presenza di una possibilmente accertata destinazione del ricavato
all’uso personale del coltivatore (cfr. Sez. 6, n. 24664 del 12/05/2008, P.G. in
proc. Serrao, Rv. 240371 e, tra le più recenti, Sez. 6, n. 49528 del 13/10/2009,
P.M. in proc. Lanzo, Rv. 245648, per la quale “costituisce condotta penalmente
rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali
sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la
destinazione del prodotto ad uso personale”).
4.2. Il ricorrente medesimo conviene sul fatto che dalla sostanza vegetale
analizzata era possibile ricavare 1,5 dosi di stupefacente; ed anzi aggiunge che
dalle dodici piante sequestrate si sarebbero potuti ricavare dodici `spinelli’. Ma
conclude che nella condotta dell’imputato non è ravvisabile alcuna offensività.
L’assunto è palesemente erroneo.
Anche la coltivazione risulta punibile sempre che la condotta risulti offensiva
in concreto del bene giuridico tutelato; pertanto il dato ponderale non è

imprenditoriale, per l’assenza di alcuni presupposti, quali la disponibilità del

irrilevante, dal momento che esso può dare indicazioni sulla offensività o meno
della condotta oggetto del giudizio.
Ed invero, la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che “ai fini
della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono
estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto
l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un
effetto drogante rilevabile” (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv.
239921; Sez. U. 24/4/2008, Valletta; Sez. 4, n. 1222 del 28/10/2008, Nicoletti,
250721).
Le Sez. Un. (Di Salvia) insegnano che “la condotta è “inoffensiva” soltanto
se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo
(irrilevante, infatti, è a tal fine il grado dell’offesa), sicché, con riferimento allo
specifico caso in esame, la “offensività” non ricorre soltanto se la sostanza
ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in
concreto rilevabile”.
Se si conviene che la consumazione del reato di coltivazione richiede che la
sostanza ricavabile dalla coltivazione sia idonea a produrre un effetto
stupefacente in concreto rilevabile, resta ancora da precisare con miglior
dettaglio il parametro di riferimento.
Questa Corte reputa che sia corretto il principio di diritto posto da altra
decisione di questa sezione, secondo la quale il decreto ministeriale che individua
la dose “media” con riferimento al “principio attivo per singola assunzione idonea
a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e
psicotropo chiama in causa i bisogni medi di un soggetto assuefatto. Ma non
esclude che dosi inferiori a quella media siano prive di rilievo penale.
Diverse norme del T, U. richiamano l’azione “narcotico-analgesica” dell’oppio
e degli oppioidi; l'”azione eccitante” della coca; l’azione “eccitante sul sistema
nervoso centrale” degli anfetaminici; gli “effetti sul sistema nervoso centrale ed
… (la) capacità di determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o
di ordine superiore”; le “allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali”.
Pertanto, quel che rileva ai fini della configurazione dell’incriminazione è la
concreta attitudine della sostanza in questione ad Influenzare in qualche (anche
lieve) misura l’attività neuropsichica del consumatore.
Pertanto, esulano dalla sfera dell’illecito solo le condotte afferenti a
quantitativi di stupefacente talmente tenui, quanto alla presenza del principio
attivo, da non poter indurre, neppure in misura trascurabile, la modificazione
dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore; per converso, anche dosi inferiori a

Rv. 242371; Sez. 4, n. 25674 del 17/02/2011, P.G. in proc. Marino, Rv.

quella media singola ben possono configurare il delitto in esame (Sez. 4, n.
21814 del 12/05/2010, Renna, Rv. 247478).
Tali conclusioni confutano il risalente orientamento, cui si richiama il
ricorrente, per il quale “in materia di coltivazione non autorizzata di piante
stupefacenti, una volta accertata l’idoneità di una pianta a produrre il
tetraidrocannabinolo (thc) che è l’elemento produttivo degli effetti psicotropi,
essa deve essere considerata, agli effetti finali, alla stessa stregua di una
“cannabis indica”, a nulla rilevando la sua particolare, diversa denominazione, e
0,5 per cento. (Sez. 6, n. 16648 del 20/10/1989, Biscardi, Rv. 182682).
5. Nel caso che occupa l’accertamento tecnico ha stabilito che già la sola
pianta esaminata permetteva di ricavare mg. 37 di TRC, pari a 1,5 dosi medie
singole. Non vi è quindi alcun dubbio in ordine alla capacità del quantitativo di
principio attivo presente nelle piante (ma già nella sola pianta sottoposta ad
analisi) coltivate di produrre gli effetti di alterazione neuropsichica sopra
descritta.
Va solo aggiunto, sul punto, che per il reato di coltivazione deve farsi
riferimento non solo alla quantità di stupefacente presente nella materia
vegetale al momento del sequestro, ma altresì al quantitativo potenzialmente
ricavabile dalla coltivazione. Questa Corte ha infatti enunciato il principio
secondo il quale “ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di
piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice
verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza
ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile” chiarendo che a tal fine rileva
non già che al momento dell’accertamento del reato le piante non siano ancora
giunte a maturazione, atteso che la coltivazione ha inizio con la posa dei semi,
quanto l’idoneità anche solo potenziale delle stesse a produrre una
germinazione ad effetti stupefacenti (Sez. 4, n. 44287 del 08/10/2008 – dep.
27/11/2008, P.G. in proc. Taormina, Rv. 241991).
Pertanto, il primo motivo di ricorso è infondato.
6. Tal’è anche il secondo motivo.
Sul fatto che il quantitativo complessivo di sostanza stupefacente presente
nelle piante cadute in sequestro potesse essere accertato attraverso l’analisi su
un campione non è legittimo dubbio alcuno.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che nel caso di rinvenimento di
una piantagione destinata alla produzione di sostanze stupefacenti, la polizia
giudiziaria ben può limitare Il sequestro ad alcune piante scelte a campione,

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la maggiore o minore concentrazione di principio attivo, purché non inferiore allo

procedendo contestualmente alla distruzione delle altre. Peraltro, essa nella
selezione delle piante da sottoporre al vincolo, non deve adottare le modalità
previste dall’art. 87 d.P.R. n. 309 del 1990, atteso che tale disposizione
disciplina la campionatura dello stupefacente già oggetto di cautela reale e non
l’estrazione preliminare alla sua apposizione (Sez. 4, n. 16097 del 21/01/2009 dep. 16/04/2009, Varone e altro, Rv. 243635).
Che il dato emergente dal campione possa essere assunto per la valutazione
della complessiva quantità del principio attivo è parimenti indiscutibile,
modalità di selezione del campione, alla eventuale eterogeneità tra questo e le
restanti piante o consimili.
Inoltre, mette conto ricordare che il giudizio è stato celebrato nelle forme
del rito abbreviato.
7. Quanto al terzo motivo di ricorso, esso pure è infondato.
Infatti, non è ravvisabile alcun vizio nella sentenza impugnata, che
correttamente indica nel protratto utilizzo dell’energia elettrica per la coltivazione
non autorizzata l’elemento dal quale scaturisce la responsabilità dell’imputato. Si
rammenti che trattasi di delitto a condotta frazionata, o a consumazione
prolungata, sicché le captazioni successive alla prima non costituiscono “post
factum” penalmente irrilevante, nè singole ed autonome azioni costituenti
altrettanti furti, ma atti di un’unica azione furtiva (Sez. 4, n. 18485 del
23/01/2009 – dep. 05/05/2009, P.M. in proc. Falcone, Rv. 243978).
8. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5/4/2013.

dovendosi peraltro rilevare come la difesa non abbia mosso alcun rilievo alle

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