Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29889 del 23/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29889 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Sambi Sergio, nato a Padova il 03/12/1954,
avverso la sentenza del 13/01/2015 della Corte di Appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale
Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste, confermando il
giudizio di responsabilità dell’imputato in ordine al reato di appropriazione
indebita aggravata, elevava la pena inflitta in primo grado dal Tribunale di Udine
in accoglimento dell’appello incidentale del Procuratore Generale.
La Corte riteneva provato che il Sambi, in qualità di presidente della “ONLUS
A.E.C. delegazione italiana”, si fosse appropriato della somma di oltre 7.000 euro
1

P)A

Data Udienza: 23/06/2016

relativa ai versamenti effettuati dagli associati, destinandola al pagamento del
canone di locazione e delle utenze della sua abitazione privata.
2.Ricorre in cassazione l’imputato, nel suo stesso interesse, deducendo:
1 e 2) violazione di legge in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi
oggettivi del reato contestato, avuto riguardo al fatto che la Corte, travisando i
dati documentali a sua disposizione, non avrebbe effettuato una adeguata
ricostruzione di tutte le movimentazioni in entrata ed in uscita dei conti

del ricorrente per fini personali e, dunque, dell’ingiusto profitto; ciò, con
particolare riguardo ad uno specifico versamento del 16/7/2007 di cui al secondo
motivo di ricorso;
3) vizio della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del
reato;
4)

vizio della motivazione con riguardo al diniego della concessione delle

circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Deve sottolinearsi che il ricorrente è stato condannato con giudizio conforme in
entrambi i gradi di merito.
La doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato, ha decisivo
rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in cassazione del lamentato vizio di
travisamento della prova.
E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può essere
dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme,
sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute
nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo
giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del
merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in
termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di
entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel
contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n.
44765 del 22/10/2013, Buonfine).
La motivazione della sentenza impugnata è priva di vizi logico-giuridici rilevabili
in questa sede alla luce della giurisprudenza richiamata e la particolare
completezza della decisione consente di ritenere di puro merito e del tutto
parziali le argomentazioni difensive.
2

P)A,

dell’associazione, che avrebbe rivelato l’inesistenza di indebiti prelievi ad opera

Le quali non si confrontano adeguatamente, così dimostrando anche la loro
genericità, con tutto il costrutto motivazionale della sentenza impugnata.
Laddove la Corte espressamente faceva riferimento al fatto che i conteggi dai
quali era emerso l’indebito prelievo da parte del ricorrente della somma
indicata nel capo di imputazione, erano stati effettuati dalla polizia giudiziaria
espressamente calcolando anche i versamenti in favore del medesimo cui egli
ha fatto riferimento in ricorso, anche in relazione allo specifico versamento del

Ma, più in generale, la sentenza lumeggiava, facendo riferimento a documenti
ed a numerose testimonianze neanche citate in ricorso, che gli associati non
fossero consapevoli che l’imputato utilizzasse le somme di pertinenza
dell’associazione per pagare i canoni di locazione dei suo appartamento privato
ed abitato dalla sua famiglia – mai essendosi deliberato alcunché in sede
associativa – e che egli aveva amministrato la ONLUS in maniera assolutistica
ed autoritaria, senza mai rendere conto ad alcuno del suo operato neanche su
espressa richiesta, utilizzando indebitamente le somme della ONLUS anche per
il pagamento delle bollette della sua abitazione, addirittura locata, senza che
nessuno degli associati ne fosse al corrente, a nome dell’associazione, come
testimoniato dal locatore.
Soffermandosi anche a confutare espressamente ogni argomentazione di segno
contrario ed ogni elemento di fatto emerso al dibattimento, come quello
relativo alla testimonianza della teste Mili, moglie dell’imputato; lumeggiando
anche una serie di condotte poco ortodosse del prevenuto sfuggite alla
contestazione accusatoria ma che dimostravano sostanzialmente come egli
avesse vissuto “alle spalle dell’associazione” da lui presieduta, addebitandole
anche il costo della contratto di telefonia mobile e perfino la tassa di possesso
di una automobile acquistata per suo conto.
Escludendo, pertanto, che egli avesse agito senza malafede, come vorrebbe il
ricorrente con il terzo motivo di ricorso.
2. Al contrario, la Corte richiamava la gravità della condotta, l’entità del danno
cagionato, l’abilità delinquenziale del ricorrente, l’intensità del dolo per negare,
con motivazione esente da censure, la concessione delle circostanze attenuanti
generiche, decisione della quale il Sambi si duole con il quarto ed ultimo motivo
di gravame.
Dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle
circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in
esame quello, tra gli elementi ìndicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene
prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche
un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato
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16/7/2007 precedente al contratto di locazione ed a questo non rapportabile.

ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o
concedere le attenuanti medesime. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 4790 del 16.1.1996
dep. 10.5.1996 rv 204768).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro millecinquecento/00
alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 23.06.2016.
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

Il Presidente
Piercamillo Davigo

ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

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