Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29884 del 15/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29884 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da
DEL PRETE ANTONIO, n. 26/02/1959 a Sala Consilina
SPINA ANGELO, n. 1/08/1945 a Monte San Giacomo
MARMO FELICE, n. 1/02/1948 a Padula
ZOCCOLI ANTONIO, n. 3/09/1963 a Polla
MELE LUIGINO DOMENICO, n. 4/01/1961 a Valenza
SAVERIO ROMANO, n. 11/10/1962 a Monte San Giacomo

avverso la sentenza della Corte d’appello di SALERNO in data 14/04/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Izzo, che ha chiesto annullarsi senza rinvio l’impugnata
sentenza con trasmissione degli atti alla Corte di appello;
udite, per i ricorrenti, le conclusioni dell’Avv. G. D’Aniello, anche in sostituzione
dell’Avv. C. Celebrano, che ha chiesto accogliersi i ricorsi;

Data Udienza: 15/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. DEL PRETE ANTONIO, SPINA ANGELO, MARMO FELICE, ZOCCOLI ANTONIO,
MELE LUIGINO DOMENICO e ROMANO SAVERIO hanno proposto ricorso avverso
la sentenza della Corte d’appello di Salerno emessa in data 14/04/2014,
depositata in data 24/04/2014, con cui, in parziale riforma della sentenza

doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati originariamente loro
ascritti, rideterminando la pena per il residuo reato sub e) della rubrica, nella
misura di 1 anno e 4 mesi di reclusione per il Mele, nonché di mesi 8 di
reclusione per gli altri ricorrenti (l’imputazione concerne il delitto di cui agli arft
110, 479 in relazione all’art. 476 cod. pen., commesso in data 17/01/2006,
secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nel relativo
capo di imputazione).

2.

Con i separati ricorsi per cassazione, proposti dai difensori fiduciari

cassazionisti, vengono dedotti tre identici motivi, oltre – per quanto concerne il
solo ricorrente Del Prete – un ulteriore motivo (il quarto del ricorso ad esso
riferibile), di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen.

2.1. Deducono i ricorrenti, con il primo motivo comune ai medesimi, il vizio di
cui all’art. 606, lett. c) Cod. Proc. Pen., in particolare per inosservanza e
violazione dell’art. 525, comma secondo, cod. Proc. Pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza non avendo concorso alla sua
deliberazione gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento; ed invero,
si osserva, mentre all’udienza 27/03/2014, il PG aveva rassegnato le proprie
conclusioni davanti al Collegio composto dai magistrati Pasquariello, Mele e De
Simone, alle due udienze successive cui il processo era rinviato per consentire di
concludere alle difese di parte civile e degli imputati (udienze 3 e 14/04/2014), il
collegio risultava composto da componenti diversi, in particolare essendo stato
sostituito il consigliere De Simone con il consigliere Le Rose, collegio in diversa
composizione che ha deciso la causa; detto mutamento avrebbe comportato la
violazione dell’evocata norma processuale, avendo questa stessa Corte, in caso
analogo, ritenuto violato il principio dell’immutabilità del giudice in caso di
sdoppiamento della discussione davanti a due collegi diversi.

2

emessa in data 22/07/2010 dal Tribunale di Sala Consilina, ha dichiarato non

2.2. Deducono i ricorrenti, con il secondo motivo ad essi comune, il vizio di cui
all’art. 606, lett. e) Cod. Proc. Pen., in particolare per mancanza e manifesta
illogicità della motivazione in relazione al delitto di falsità ideologica di cui al capo
e), denunciando vizio di travisamento probatorio.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di appello
ritenuto sussistere la supposta falsità del parere (rilasciato in data 17/01/2006 e
non 2007 come erroneamente indicato nell’impugnata sentenza), considerando

aumento di un metro in più per ciascuno dei muri perimetrali, ergo l’aumento
della volumetria di 50mc. sarebbe derivata proprio dall’aumento in altezza di un
metro; la Corte territoriale, sostengono i ricorrenti, sarebbe incorsa in un
travisamento probatorio, in quanto il parere reso dalla Commissione edilizia
comunale non farebbe alcun riferimento ad un preteso aumento in altezza per un
metro dei muri perimetrali della fabbrica, ma si sarebbe limitato – come
testualmente emerge dalla lettura del medesimo -, a ritenere che “la richiesta di
variante approvata non altera nè i dati planovolumetrici né significativamente i
prospetti”; allo stesso modo, la relazione del c.t. del PM non riporta un preteso
aumento in altezza e per un metro delle mura perimetrali del fabbricato; ne
discenderebbe, quindi, il vizio di travisamento della prova, non emergendo da
quale atto la Corte abbia rinvenuto l’inesistente riferimento alla prova
dell’elevazione per un metro in tutti i lati dell’edificio.

2.3. Deducono i ricorrenti, con il terzo identico motivo comune a tutti, il vizio di
cui all’art. 606, lett. e) Cod. Proc. Pen., in particolare per la mancanza e la
manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato sub e) per omesso
esame di un motivo di appello.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per non aver affrontato e
risolto tutte le questioni sottoposte dagli allora appellanti, limitandosi invece alla
valutazione di un solo motivo (che ha portato alla declaratoria di prescrizione per
tutti i residui reati) senza affrontare gli altri che, invece, richiedevano alla Corte
di decidere sulla natura degli interventi edilizi prospettati e sulle norme
giuridiche da applicarsi nel caso in esame; nel relativo motivo di appello (che i
ricorrenti riportano in allegato in ossequio al principio di autosufficienza del
ricorso), in particolare, gli allora appellanti avevano richiesto che la Corte
territoriale riformasse la sentenza facendo retta applicazione dell’art. 12 delle
NTA del comune di Monte San Giacomo, che, per la tipologia di p.d.c. richiesta,
consentiva l’indice di fabbricabilità pari allo 0,10 mc/mq., sicché per il fabbricato
in relazione al quale era stato richiesto il parere asseritannente falso, che
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che dalla lettura del parere incriminato, si evincerebbe che la variante igerefeve un

disponeva di una superficie di mq. 30942, era consentita un’edificazione di mc.
3094,2 enormemente superiore dunque a quella di mc. 378,80 richiesta
dall’interessato ed accertata dal c.t. del PM (al ricorso, in particolare, é allegata
copia degli atti richiamati in ossequio al principio dell’autosufficienza, in
particolare evidenziando i ricorrenti come a pag. 15 dell’atto di appello si era
sottoposta alla Corte la tesi difensiva tesa a censurare il giudizio di condanna sul

avuto alcuna necessità di disporre perizia per determinare se i manufatti
andassero inquadrati tra i fabbricati rurali o tra quelli residenziali e se andasse
applicato l’indice di fabbricabilità, previsto dall’art. 12 NTA al Piano Regolatore
del Comune dello 0.003 mc/mq (come ritenuto dal CT del PM e recepito dal
Tribunale) o dello 0,10 mc/mq (come sostenuto dai ricorrenti), trattandosi di
interpretazione e applicazione di norme di legge; l’aver la Corte omesso di
valutare detto motivo di appello, essenziale per la decisione, integrerebbe il
denunciato vizio, atteso che il parere reso dalla Commissione edilizia, ove fosse
stato considerato quanto dedotto in tale motivo, apparirebbe totalmente
veritiero.

2.4. Deduce il ricorrente Del Prete, con il quarto motivo solo al medesimo
riferibile, il vizio di cui all’art. 606, lett. B) Cod. Proc. Pen., in particolare per
inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 479 e 476 c.p. in relazione alla
Legge reg. Campania n. 10 del 1982.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici omesso
l’esame del motivo di appello relativo alla posizione del Del Prete che, quale
membro della sola Commissione edilizia integrata nella seduta del 17/01/2006,
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si era limitato adIspfem.er-e il suo parere esclusivamente in relazione all’aspetto
paesaggistico ed ambientale dell’intervento richiesto con la variante
architettonica; si osserva in ricorso come i membri di tale Commissione,
costituita ai sensi della predetta legge regionale, hanno il compito di esprimere
un parere sulla compatibilità dell’opera prettamente da un punto di vista
paesaggistico – ambientale e non urbanistico, essendo tale giudizio demandato a
quelli della sola Commissione edilizia; in conformità a quanto previsto dalla
legislazione regionale, dunque, il Del Prete si sarebbe limitato ad esprimere il suo
giudizio sulla variante al fabbricato di proprietà del Mele, in relazione alla sua
incidenza da un punto di vista paesaggistico – ambientale, tant’è che il verbale
della seduta del 17/01/2006 contiene due distinti pareri, quello tecnico
favorevole della CE e quello reso dalla CE integrata per le materia di propria
competenza; ne discenderebbe, dunque, che il parere reso dalla Commissione
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punto); ne consegue che, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale non avrebbe

integrata secondo cui la variante non avrebbe alterato i dati planovolumetrici né
significativamente i prospetti sarebbe del tutto veritiero, trattandosi di una
sensibile variazione dell’opera, tale da non incidere da un punto di vista
paesaggistico ambientale diversamente rispetto a quanto assentito dalle autorità
preposte con il p.d.c. n. 5/2005.

3. Il primo motivo di ricorso è fondato.

4. Ed invero, trattandosi di vizio afferente alla violazione della legge processuale
questa Corte è anche Giudice del fatto. In tema di impugnazioni, allorché sia
dedotto, mediante ricorso per cassazione, un

“error in procedendo” ai sensi

dell’art. 606, comma 1, lett. c)- cod. proc. pen., la Corte di cassazione è giudice
anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame
diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo
del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e)- del citato articolo, quando
risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione (Sez. U,
n. 42792 del 31/10/2001 – dep. 28/11/2001, Policastro e altri, Rv. 220092).
Esaminando i relativi verbali di udienza, in particolare, emerge che l’udienza
davanti alla Corte d’appello venne sdoppiata dalle parti processuali, svolgendosi
dinanzi a due collegi diversi; all’udienza del 27/03/2014, infatti, nella quale
aveva rassegnato le proprie conclusioni il rappresentante della Procura generale
presso la Corte d’appello, il collegio era composto dai giudici Pasquariello, Mele e
De Simone; diversamente, alle udienze del 3/04 e del 14/04/2014, dedicate alle
arringhe difensive, il collegio risulta composto da giudici diversi (Pasquariello,
Mele e Le Rose).
E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che costituisce un’ipotesi di
nullità assoluta per violazione del principio dell’immutabilità del giudice il
frazionamento degli interventi conclusivi delle parti svolti dinanzi a due collegi
diversamente composti (Sez. 5, n. 45649 del 25/09/2012 – dep. 22/11/2012,
Scambia, Rv. 254004).

,5. L’impugnata sentenza dev’essere, pertanto, annullata senza rinvio e
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htti alla Corte d’appello di Napoli, competente ex art. 627 cod.

proc. pen. in caso di annullamento di decisioni della Corte d’appello di Salerno.

P.Q.M.
5

CONSIDERATO IN DIRITTO

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli
atti alla Corte d’appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 15/04/2015

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