Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29880 del 14/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29880 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ORILIA LORENZO

sul ricorso proposto da:
DALU MARIO N. IL 09/09/1937
avverso la sentenza n. 513/2013 CORT I APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 16/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/ I 4/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 14/04/2015

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 16.1.2014 la Corte d’Appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari
ha confermato la condanna di Dalu Mario alla pena di gg. 25 di reclusione e €. 150,00 di
multa (con le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva) in ordine al reato di
omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni
corrisposte ai propri dipendenti nel periodo marzo-giugno 2006 per un importo
complessivo di €. 2.227,00. Per giungere a tale conclusione la Corte territoriale,
premesso che l’atto di gravame riproponeva questioni già affrontate e correttamente

che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, il teste aveva solo chiarito di non
poter escludere un eventuale pagamento dei contributi nei quindici giorni precedenti
l’udienza, ininfluente ai fini dell’estinzione del reato. Ha quindi ritenuto provato il
mancato versamento dei contributi nel termine di legge in mancanza di prova da parte
del debitore e, quanto al trattamento sanzionatorio, ha ritenuto di confermare la pena
irrogata in primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore denunziando due motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Col primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp, la
violazione di legge e la carenza di motivazione in relazione all’affermata responsabilità
dell’imputato. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello non ha considerato un aspetto
essenziale ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, cioè la materiale
corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti, essendosi soffermata unicamente
sull’accertamento del mancato versamento dei contributi. Inoltre l’accertamento di un
eventuale pagamento fuori termine dei contributi avrebbe avuto una precisa rilevanza
quanto meno sotto l’aspetto psicologico.
Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto, la violazione di legge sulla corresponsione effettiva delle
retribuzioni ai lavoratori quale elemento oggettivo del reato non risulta dedotta nel
giudizio di appello in cui si discuteva – stando a quanto riporta l’impugnata sentenza dell’interpretazione da dare alla deposizione del teste dell’INPS su un eventuale
versamento tempestivo dei contributi e su chi gravasse l’onere di provare l’avvenuto
versamento degli stessi: si applica dunque l’art. 606 ultimo comma cpp che sanziona
appunto gravemente la introduzione di violazioni di legge non dedotte in appello
In ogni caso, la censura sarebbe manifestamente infondata perché – sempre
dalla sentenza impugnata – risulta che l’imputato aveva dichiarato “di essere certo di
avere sempre pagato quanto dovuto ai propri dipendenti”:

una tale affermazione, di

natura chiaramente confessoria, esonerava dunque la Corte d’Appello da ulteriori
accertamenti sull’avvenuto pagamento delle retribuzioni che, effettivamente, come da
tempo costantemente affermato in giurisprudenza, anche a sezioni unite, rappresenta un

risolte dal primo giudice, ha interpretato la deposizione del funzionario INPS osservando

elemento costitutivo del reato di cui all’art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638 (cfr.
tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 27641 del 28/05/2003 Ud. dep. 23/06/2003 Rv.
224609; Sez. 3, Sentenza n. 35498 del 30/05/2003 Ud. dep. 16/09/2003 Rv. 225552).
Parimenti, il tema dell’elemento psicologico del reato non era stato introdotto
nel giudizio di appello e dunque costituisce un inammissibile “novum”.
2. Col secondo motivo, attinente al trattamento sanzionatorio, il ricorrente
denunzia gli stessi vizi (violazione di legge e carenza di motivazione), dolendosi della
mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla

di merito – rileva – hanno omesso ogni indagine di natura soggettiva che consentisse di
esaminare la posizione dell’imputato; evidenzia inoltre il rilievo minimo della condotta,
assolutamente episodica e per nulla rivelatrice di pericolosità sociale, anche alla luce del
dato anagrafico.
Quanto alla valutazione delle circostanze, osserva altresì che la Corte, nel
riaffermare il giudizio di equivalenza, ha concretamente applicato la contestata recidiva,
mentre invece, stante la natura facoltativa, ben poteva escluderla dal trattamento
sanzionatorio.
Infine, sulla determinazione della pena finale, rimprovera alla Corte territoriale
di essersi sottratta agli obblighi imposti dal legislatore, avendo applicato una pena
superiore al minimo.
Anche tale censura è manifestamente infondata in entrambe le articolazioni e
pertanto segue la sorte della precedente.
In tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità
soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e
non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza (cfr.
Sez. 5, Sentenza n. 5579 del 26/09/2013 Ud. dep. 04/02/2014 Rv. 258874; Sez. 6,
Sentenza n. 6866 del 25/11/2009 Ud. dep. 19/02/2010 Rv. 246134).
Costituisce inoltre principio assolutamente consolidato in giurisprudenza quello
secondo cui la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale
rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo
compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen.
Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta
del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (tra le
varie, cass. Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Ud. dep. 26/10/2004 Rv.
230278; Sez. 4, Sentenza n. 4858 del 04/12/2003 Ud. dep. 06/02/2004 Rv. 229376, in
motivazione; Sez. 6, Sentenza n. 31762 del 09/06/2003 Ud. dep. 28/07/2003 Rv.
226283, in motivazione)
Nel caso che ci occupa, la Corte d’Appello ha ritenuto di confermare la scelta del

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contestata recidiva e della mancata fissazione della pena entro i minimi edittali: i giudici

primo giudice considerando la pena assai mite irrogata in considerazione delle somme
evase: la motivazione è tutt’altro che illogica perché a fronte di un’evasione di C.
2.227,00 è stata confermata la pena finale di gg. 25 di reclusione e C. 150,00 di multa
(corrispondente quasi al minimo edittale): non vi era dunque per la Corte d’Appello
nessuna necessità di dilungarsi ulteriormente.
Il ricorso – che in definitiva tende a sollecitare unicamente una rivisitazione
delle valutazioni riservate al giudice di merito – non coglie nel segno.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di

pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione
pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14.4.2015.

inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al

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