Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29878 del 23/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29878 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: PARDO IGNAZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAPISARDA MARCO N. IL 27/07/1977
GIUFFRIDA PIETRO N. IL 16/09/1953
LOMBARDO SANTO N. IL 15/09/1965
avverso la sentenza n. 2240/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
26/09/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/06/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. IGNAZIO PARDO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Data Udienza: 23/06/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La CORTE APPELLO di CATANIA, con sentenza in data 26/09/2014, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIBUNALE di CATANIA, in data 14/01/2010, nei confronti
di RAPISARDA MARCO, GIUFFRIDA PIETRO, LOMBARDO SANTO, in relazione al reato, contestato
in concorso di cui all’ art. 648 CP.
Propongono ricorso per cassazione gli imputati, deducendo vari motivi.
RAPISARDA MARCO deduce: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato.
Il motivo è inammissibile poiché a fronte delle specifiche argomentazioni contenute nelle sentenze

sequestro operato dalle forze di polizia, quando era proprio il ricorrente ad attuare la vendita degli
oggetti furtivi senza fornire alcuna giustificazione, le doglianze si manifestano generiche ed
aspecifiche. Quanto agli altri motivi la Corte di merito ha adeguatamente spiegato come non siano
concedibili le invocate attenuanti del capoverso dell’art. 648 CP e del danno patrimoniale lieve con
motivazione esente da censure posto che il valore dei beni non è comunque irrisorio e che le
modalità della vendita erano certamente allarmanti.
GIUFFRIDA PIETRO deduce: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato.
Il motivo è inammissibile; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai
poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402,
Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv.
229369). I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti
mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con
motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento fondato
su un accertamento operato dalla polizia giudiziaria oltre che su quanto riferito dai testi circa lo
specifico ruolo che Giuffirda svolgeva al momento della vendita degli oggetti furtivi di cui aveva
anch’egli il possesso.
LOMBARDO SANTO deduce: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato.
Il motivo è inammissibile perché palesemente generico ed aspecifico rispetto alle deduzioni

di merito circa la specifica attività illecita posta in essere dall’imputato al momento del controllo e

argomentative esposte nella sentenza di secondo grado nelle quali si da atto che proprio detto
ricorrente era uno degli addetti alla vendita della merce di provenienza delittuosa su una delle
bancarelle.
L’inammissibilità dei ricorsi preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata
successivamente alla sentenza impugnata (Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186),

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versamento della somma, che si ritiene equa, di euro 1.500,00 ciascuno a favore della cassa delle
ammende.

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P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento della somma di curo 1.500,00 alla cassa delle ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.

Così deciso il 23/06/2016

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