Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29869 del 25/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29869 Anno 2015
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Conti Ferraro Pasqualino, nato a Pedara il 14/07/1970
Rafaci Danna Romina, nata a Catania il 29/10/1973
avverso il decreto emesso daila Corte di appello di Catania 1’11/02/2014
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
lette le conclusioni del Procuratore generale, presso questa Corte, nella persona
del Dott. Roberto Aniello, che ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Catania, con il provvedimento in epigrafe,
confermava il decreto emesso dal Tribunale della stessa città in data
09/03/2012, in forza del quale era stata applicata a carico di Pasqualino Conti
Ferraro la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s., con obbligo
di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di due anni e sei mesi,
nonché disposta la confisca di beni (immobili, mobili registrati, una dit

Data Udienza: 25/05/2015

individuale e quote sociali) nei confronti dello stesso proposto e della convivente
di costui, Danila Romina Rafaci.
La Corte territoriale, nel rigettare il gravame avanzato dal Conti Ferraro e
dalla Rafaci (quest’ultima nella veste di terza interessata), segnalava che:
– il giudizio di pericolosità sociale sulla persona del proposto era stato formulato
sulla base della sua ritenuta partecipazione nel 2009 a condotte estorsive ai
danni di un ristoratore, in ipotesi commesse in concorso con un suo cognato,
esponente di spicco di una cosca mafiosa (per tale estorsione, aggravata ex art.

una consolidata vicinanza del Conti Ferraro ad ambienti criminali, egli era stato
sottoposto a custodia cautelare ed aveva già riportato condanna in primo grado);
– la pericolosità evidenziata trovava conferma in numerose, ulteriori sentenze di
condanna emesse a carico del proposto, già irrevocabili, e non risultava smentita
dalla sua perdurante restrizione in carcere;
– i redditi legittimi del nucleo familiare del Conti Ferraro risultavano (come da
prospetto analitico curato dalla Guardia di Finanza e riprodotto nella motivazione
del decreto) insufficienti per giustificare gli acquisti di beni – fra gli altri, una
“Porsche” ed altre due autovetture, nonché due moto di grossa cilindrata, tutte
intestate alla Rafaci – effettuati tra il 2006 e il 2010;
– il proposto risultava avere commesso estorsioni anche in passato, in particolare
già nel 2001, per cui doveva ritenersi che anche gli investimenti in attività
commerciali intraprese anni addietro derivassero da capitali di provenienza
illecita.

2. Propone ricorso per cassazione il comune difensore del Conti Ferraro e
della Rafaci, lamentando violazione di legge con riferimento all’art. 4, comma 9,
della legge n. 1423 del 1956. Secondo la difesa, il decreto impugnato sarebbe
del tutto privo di motivazione, non essendo state valutate dalla Corte territoriale
le allegazioni difensive e la relativa documentazione prodotta, con particolare
riferimento alla contestata sproporzione tra i beni riferibili al nucleo familiare ed i
redditi dei relativi componenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile.
1.1 Innanzi tutto, con riferimento alla posizione della convivente del
proposto, deve ricordarsi che ella non risulta avere rilasciato al proprio difensore
una procura speciale al fine della presentazione dell’odierno ricorso; la
giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato, a riguardo, che «in tema di

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7 del d.l. n. 152/1991 e che i giudici catanesi consideravano manifestazione di

procedimento di prevenzione, il difensore del terzo interessato, non munito di
procura speciale, non è legittimato a ricorrere per cassazione avverso il decreto
che dispone la misura di prevenzione della confisca» (Cass., Sez. VI, n. 44636
del 31/10/2013, Ardito, Rv 257812). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno
recentemente ribadito lo stesso principio, segnalando che dinanzi al difensore di
un terzo interessato, non munito di procura speciale ex art. 100, cod. proc. pen.,
non può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 182, comma secondo,
cod. proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza (v. Cass.,

1.2 Quanto alle doglianze proposte in concreto, che anche per il Conti
Ferraro investono la sola misura di prevenzione patrimoniale, deve ricordarsi in
via generale che nella materia de qua «la riserva del sindacato di legittimità alla
violazione di legge non consente di dedurre il vizio di motivazione, ai sensi
dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., sicché il controllo del
provvedimento consiste solo nella verifica della rispondenza degli elementi
esaminati […] ai parametri legali, imposti per l’applicazione delle singole misure
e vincolanti, in assenza della quale ricorre la violazione di legge sub specie di
motivazione apparente» (Cass., Sez. V, n. 19598 dell’08/04/2010, Palermo, Rv
247514).

Nel caso in esame, al contrario, il ricorso invoca sostanzialmente vizi del

decreto impugnato in astratto rilevanti ai sensi della lett. e) del citato art. 606:
la prospettazione in concreto delle doglianze difensive si risolve infatti in aspetti
riguardanti il merito, sollecitando un controllo dell’iter giustificativo della
decisione che in questa sede deve intendersi precluso. Va del resto sottolineato
che la limitazione alla violazione di legge del sindacato di legittimità in materia di
misure di prevenzione, prevista dall’art. 4 della legge n. 1423 del 1956 in
coerenza con la natura e la funzione del relativo procedimento, è stata
riconosciuta dal giudice delle leggi non irragionevole – come si evince dalla
sentenza n. 321 del 2004 – proprio in ragione delle peculiarità di detto
procedimento sia sul piano del rito che su quello sostanziale: mentre la recente
decisione assunta da questa stessa Sezione nel senso della non manifesta
infondatezza di una questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, comma
3, e 27, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011 – per contrasto con gli artt. 3 e 24
della Costituzione – nella parte in cui prevedono la ricorribilità per cassazione
esclusivamente per violazione di legge anche in tema di misure di prevenzione
patrimoniali (v. ordinanza n. 32353 del 16/05/2014, Grillone), non assume
concreta rilevanza nel caso di specie.

Come risulta dal provvedimento oggetto di ricorso, infatti, la Corte catanese

ha comunque esaminato le doglianze difensive, analizzando non solo il tema

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Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014, Borrelli).

della sproporzione reddituale quanto ai beni intestati alla Rafaci, ma rilevando fra
l’altro che – se la ditta individuale confiscata e richiamata nel corpo del
provvedimento venne rilevata dal Conti Ferraro nel 1999, dunque dieci anni
prima rispetto all’estorsione cui si dedica rilievo centrale in punto di attuale
pericolosità sociale del proposto – fu proprio nel 1998 e nel 1999 che il
ricorrente non presentò alcuna dichiarazione dei redditi, mentre già nel 2001 egli
risultava coinvolto in pregresse vicende estorsive.
La motivazione adottata, in definitiva, pur potendo condividersi o meno, non

contraddittorietà od illogicità manifesta.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna di entrambi i
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi, e-condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 25/05/2015.

può certo considerarsi inesistente od apparente, né presenta profili di

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