Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29863 del 25/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29863 Anno 2015
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PORCU SEBASTIANO N. IL 12/02/1968
avverso la sentenza n. 2010/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
03/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv.
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Data Udienza: 25/05/2015

Ritenuto in fatto
1. Per quanto ancora rileva, con sentenza del 03/12/2013 la Corte d’appello di
Milano ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla
pena di giustizia e al risarcimento del danno in favore della Banca d’Italia,
Sebastiano Porcu, avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 132,
comma 1, d. Igs. n. 385 del 1993, per avere, nella qualità di amministratore, dal
24/05/2005, della Società Italiana Crediti e Cauzioni s.p.a. (d’ora innanzi, SICC),
attraverso il rilascio di fideiussioni, svolto nei confronti del pubblico attività

iscritta nell’elenco previsto da quest’ultima norma.
La Corte territoriale, ritenuto che il reato non si fosse estinto per prescrizione,
alla luce del più severo trattamento sanzionatorio introdotto dalla I. n. 262 del
2005, ha dato atto che l’amministrazione di fatto della SICC e della Effe
Immobiliare s.a.s, incaricata di procacciare e gestire la clientela della prima e i
relativi incassi, era riconducibile ad altro soggetto (Salvatore Fiore) e ha rilevato:
a) che il Porcu, in quanto amministratore era gravato da doveri positivi di
vigilanza e controllo sulla corretta gestione dell’attività; b) che, pertanto,
l’imputato, pur non avendo svolto alcuna attività gestionale, era tenuto, in
quanto titolare non apparente della società – per avere versato la somma di euro
144.000 in favore del Fiore – e della correlata soc. Effe, nonché legale
rappresentante della prima, a curare che fossero ottenute le autorizzazioni
necessarie per svolgere quelle attività che, proprio in coincidenza con il suo
ingresso nella compagine, erano state previste con una modifica statutaria; c)
che non era credibile l’imputato, soggetto da anni attivo nell’ambito commerciale
e non sprovveduto, quando aveva affermato di ritenere che la società non fosse
operativa, tenuto conto dell’importante investimento effettuato e della
ragionevole preoccupazione per la redditività dello stesso, del disinteresse
manifestato quando aveva ricevuto una comunicazione dell’UIC, che gli vietava
di operare rilasciando fideiussioni, e del fatto che, quando era iniziata la verifica
della Guardia di Finanza, egli, nonostante fosse stata richiesta la sua presenza,
non si era personalmente interessato; d) che, del resto, l’imputato aveva anche
partecipato alla cessione delle partecipazioni della soc. Effe ad un mero
prestanome in un contesto complessivo, che evidenziava le modalità operative
del Fiore e l’impiego da parte di quest’ultimo di schemi formali dietro i quali
agiva.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, rilevando che la
sentenza impugnata, pur riconoscendo l’assenza di qualunque attività gestionale
1

finanziarie previste dall’art. 106 del citato d. Igs., senza che la società fosse

del Porcu, aveva, in contrasto il principio di personalità di cui all’art. 27, comma
primo, Cost., affermato la sua responsabilità, trascurando di considerare che il
Fiore aveva abusato del nome del primo, sottoscrivendo con firme false gli atti
della società. In assenza di prova di qualunque profitto ritratto dall’imputato,
aggiunge il ricorrente, era evidente che proprio tale attività di falsificazione,
evidentemente inutile nel caso di sua consapevole partecipazione al disegno
illecito del Fiore, rivelava l’assenza di un suo contributo penalmente rilevante, al
più potendosi configurare profili di colposo affidamento nell’operato altrui. Si

breve periodo in una fase nella quale la SICC non aveva ancora una sede
definitiva né un conto corrente, in quanto era sostanzialmente inoperativa, al
punto che non poteva neppure dirsi che avesse agito “nei confronti del pubblico”.
In ogni caso, secondo il ricorrente, poiché l’art. 40 cod. pen. presuppone una
situazione che consenta l’effettiva possibilità di impedire l’evento, era necessario
prendere atto che non vi era alcuna prova della consapevolezza da parte
dell’imputato delle illecite condotte poste in essere da altri.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, con riferimento alle
valutazioni operate dalla Corte territoriale in tema di prescrizione.
Il ricorrente, dopo avere rilevato che la sentenza impugnata aveva confuso il
momento dell’accertamento del reato con quello della sua commissione, osserva,
in particolare, che la data di emissione dell’ultima polizza fideiussoria da parte
della società, per quanto emerge dagli atti, risale al 18/07/2005, con
conseguente irrilevanza degli aumenti di pena disposti dall’art. 39 della I.
28/12/2005, n. 262, ai fini del calcolo del termine necessario per la prescrizione.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va preliminarmente chiarito che integra il reato di esercizio abusivo di attività
finanziaria il rilascio di plurimi atti di fideiussione, in quanto costituisce attività di
mediazione finanziaria, risolvendosi nella prestazione di un servizio a pagamento
(Sez. 5, n. 48537 del 07/10/2011, Ceresa, Rv. 251539; Sez. 5, n. 23996 del
04/02/2009, Marino, Rv. 244088)
Ciò posto, il ricorrente – che peraltro non aveva posto tale questione con l’atto di
appello – deduce l’inoperatività della società SIIC del tutto assertivamente e
soprattutto contraddittoriamente rispetto alla contestuale affermazione
dell’emanazione di atti, sia pure con sua firma apocrifa.
Quanto all’affermazione di responsabilità, giova ribadire quanto costantemente
ritenuto da questa Corte, sia pure a proposito della responsabilità degli
amministratori privi di delega, con riguardo alla portata operativa dell’art. 40,
comma secondo, cod. pen.
2

osserva, inoltre, che il Porcu aveva ricoperto il ruolo di amministratore per un

Sez. 5, n. 23838 del 04/05/2007, Amato, Rv. 237251 (al pari di Sez. 5, n.
32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261938), ad es., ha precisato che certamente
occorre individuare il limite operativo dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.,
quando sia correlato ad incriminazioni connotate da volontarietà, onde evitare di
sovrapporlo o, peggio, sostituirlo con responsabilità di natura colposa,
incompatibile con la lettera delle fattispecie incriminatici. In questa prospettiva,
l’analisi del profilo della responsabilità discendente dall’art. 40, comma secondo,
cit., per condotte connotate da volontarietà, e la configurazione della “posizione

tra loro complementari, ma idealmente distinti ed entrambi essenziali.
Il primo postula la rappresentazione dell’evento, nella sua portata illecita, il
secondo – discendente da obbligo giuridico – l’omissione consapevole
nell’impedirlo.
Entrambe queste due condizioni debbono ricorrere nel meccanismo tratteggiato
dal nesso di causalità giuridica di cui si discute. Non è, quindi, responsabile chi
non abbia avuto rappresentazione del fatto pregiudizievole (sì che l’omissione
dell’azione impeditiva non risulti connotata da consapevolezza).
Ovviamente, l’evento può essere oggetto di rappresentazione anche eventuale;
pertanto chi consapevolmente si sia sottratto, nell’esercitare i poteri-doveri di
controllo attribuiti dalla legge, accettando il rischio, presente nella sua
rappresentazione, di eventi illeciti discendenti dalla sua inerzia, risponde di essi
ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.
Non potendo l’elemento soggettivo che essere desunto da elementi obiettivi
rivelatori dell’atteggiamento psicologico dell’agente (ossia, per usare
l’espressione di Sez. 5, n. 3708 del 30/11/2011 – dep. 30/01/2012, Ballatori e
altri, Rv. 252945,

non essendo possibile entrare “nella testa” degli

amministratori) è dalla conoscenza di segnali di allarme, intesi come momenti
rivelatori, con qualche grado di congruenza, secondo massime di esperienza o
criteri di valutazione professionale, del pericolo dell’evento, che può desumersi la
prova della ricorrenza della rappresentazione dell’evento da parte di chi è tenuto
– per la posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento – ad uno specifico
devoir d’alerte (che include in sè anche l’obbligo di una più pregnante sensibilità

percettiva, oltre che il dovere di ostacolare l’accadimento dannoso).
Ciò posto, le doglianze sviluppate non riescono a dimostrare alcun vizio logico
nel percorso motivazionale del giudice di merito che ha valorizzato, per un verso,
gli obblighi gravanti sull’amministratore di curare tutti gli adempimenti occorrenti
per consentire il legittimo perseguimento dell’oggetto sociale risultante dalle
modifiche statutarie apportate in occasione dell’acquisto delle azioni e, per altro
verso, la chiara consapevolezza delle azioni del Fiore, desumibile, secondo
3

di garanzia”, che qualifica il ruolo dell’amministratore, evidenzia due momenti,

ragionevolezza, dal fatto che l’imputato aveva versato una somma considerevole
per siffatto acquisto e, pertanto, da persona esperta del mondo commerciale, si
era certamente interessato delle vicende imprenditoriali, delle quali aveva avuto

anche documentale contezza a seguito della ricordata comunicazione dell’UIC.
La circostanza che le firme del Porcu siano state falsificate, al pari della mancata
positiva dimostrazione che egli abbia tratto profitto dalle condotte del Fiore, sono
elementi che, di per sé considerati, non scardinano, per la loro equivocità, la
tenuta del percorso motivazionale, che ha valorizzato gli univoci e convergenti

2. Fondato è, invece, nei limiti che si diranno il secondo motivo di ricorso.
Al riguardo, rilevato che il tempo di commissione dei singoli fatti contestati al
Porcu va evidentemente rapportato non alla data dell’accertamento, ma a quello
di realizzazione delle singole attività, si osserva che il raddoppio delle pene
previsto dall’art. 39 della I. n. 262 del 2005, pubblicata sulla G.U. del
28/12/2005, è divenuto operativo, dopo l’ordinario periodo di

vacatio legis, il

12/01/2006. Pertanto, le condotte commesse in data precedente sono da
ritenersi estinte per prescrizione. Per quelle successive, invece, il termine di
prescrizione è elevato ad otto anni, cui deve aggiungersi l’aumento di un quarto
previsto dall’art. 161, comma secondo, cod. pen., con la conseguenza che la
causa di estinzione non si è verificata.
Sebbene il ricorrente contesti l’esistenza di polizze emesse del 2006, esse
emergono dall’analisi dei documenti prodotti all’udienza del 30/11/2012.
Ne consegue che la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente ai fatti
commessi sino alla data dell’11/01/2006, per essere i reati estinti per
prescrizione, mentre per i fatti successivi va annullata con rinvio ad altra sezione
della Corte d’appello di Milano per la rideterminazione del trattamento
sanzionatorio e la regolamentazione delle spese sostenute dalla parte civile.
3. Per completezza, va aggiunto che, poiché il rinvio è disposto esclusivamente
ai fini della rideterminazione del trattamento sanzionatorio, occorre tener conto
del principio di formazione progressiva del giudicato, che rende inoperante
l’istituto della prescrizione (al riguardo, v. Sez. 3, n. 15472 del 20/02/2004,
Ragusa, Rv. 228499).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai fatti commessi sino
all’11/01/2006 per essere gli stessi estinti per prescrizione. Annulla la sentenza
impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per la
rideterminazione del trattamento sanzionatorio, in ordine ai fatti commessi
successivamente all’11/01/2006. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 25/05/2015

2

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Aucut,

elementi appena riassunti.

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