Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29861 del 23/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29861 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
• ARDITA Patrizia nata a Monza il 17/06/1962
avverso la sentenza del 28/01/2015 della Corte di Appello di Milano;
PARTE CIVILE: Perego Adriana
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore del ricorrente, avv. Massimo Dell’Oca in sostituzione anche
dell’avv. Norberto Argento del foro di Monza, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e in subordine la dichiarazione di prescrizione del
reato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/11/2011 il Gup del Tribunale di Monza al termine di
procedimento con rito abbreviato dichiarava Ardita Patrizia responsabile del reato
continuato di circonvenzione di persona incapace e la condannava alla pena sospesa alle condizioni di legge – di due anni di reclusione ed C 300,00 di multa;
condannava altresì l’imputata al risarcimento dei danni morali e materiali subiti
da Perego Adriana, costituitasi parte civile, con pagamento di una provvisionale
di C 10.000,00.

Data Udienza: 23/06/2016

A seguito di appello della Ardita, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del
28/01/2015, in parziale riforma della decisione impugnata, limitava la condanna
risarcitoria ai soli danni morali, confermando nel resto.
Evidenziava la corte territoriale che la Perego aveva già azionato in sede civile la
pretesa di risarcimento conseguente alla erogazione delle somme disposte in
favore della Ardita per effetto della condotta delittuosa contestata, con la
conseguenza che il petitum doveva essere limitato al danno non patrimoniale.

tramite il difensore di fiducia, Ardita Patrizia sulla base di quattro motivi, relativi:
il primo all’esercizio dell’azione civile ritenuta inammissibile per l’assoluta
indeterminatezza del petitum; il secondo ai presupposti in fatto ed in diritto della
condanna, censurandosi il giudizio di incapacità della parte lesa di tutelare i
propri diritti nonchè la valutazione delle risultanze istruttorie; il terzo alla
qualificazione del reato, per avere la corte ingiustificatamente escluso
l’inquadramento della fattispecie nell’ambito della previsione normativa di cui
all’art. 640 cod. pen; il quarto al trattamento sanzionatorio.
Con memoria depositata il 06/06/2016 la ricorrente ha eccepito l’intervenuta
prescrizione del reato contestato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Con riferimento al primo motivo – premesso che la revoca della costituzione di
parte civile, prevista per il caso in cui l’azione venga promossa anche davanti al
giudice civile, si verifica solo quando sussiste coincidenza fra le due domande ed
è finalizzata ad escludere la duplicazione dei giudizi (Cass. sez. 4, sent. n. 3454
del 19/12/2014 – dep. 26/01/2015 – Rv. 261950) – risulta che correttamente nel
caso di specie la corte territoriale ha preso atto che l’azione civile nel processo
penale era stata esercitata “per i danni patrimoniali e morali” e che, a seguito
delle specifiche iniziative giudiziali intraprese dinanzi al giudice civile per il
risarcimento del (solo) danno patrimoniale, la domanda avanzata in sede penale
doveva essere limitata al residuo danno morale, da quantificarsi in separato
giudizio, in conformità con l’art. 539 cod. proc. pen. che attribuisce al giudice
penale di pronunciare condanna generica quando le prove dei danni non
consentono di quantificare il pregiudizio economico conseguente al reato.
Per quanto riguarda la provvisionale, è evidente che la riforma della sentenza di
primo grado solo in relazione alla delimitazione del petitum risarcitorio con

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2. Avverso la pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione,

”conferma nel resto” implica – appunto – la conferma di tutte quelle statuizioni
non oggetto di riforma e, quindi, anche della condanna al pagamento della
provvisionale liquidata dal primo giudice.
2. Con il secondo motivo la ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione,
tenta di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito anche
dopo la modifica normativa dell’articolo 606 cod. proc. pen. lett. e) di cui alla
legge 20 febbraio 2006 n.46 che ha lasciato inalterata la natura del controllo

estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale
modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta giudice della motivazione.
Nel caso di specie va anche ricordato che con riguardo alla decisione in ordine
all’odierna ricorrente ci si trova dinanzi ad una c.d. “doppia conforme” e cioè
doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può
essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti
(con specifica deduzione) che l’argomento probatorio che si assume travisato è
stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione
del provvedimento di secondo grado.
Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui
l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa
sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia conforme”, superarsi il
limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il
giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia
richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass.
Sez. 4, sent. n. 19710/2009, Rv. 243636; Sez. 1, sent. n. 24667/2007; Sez. 2,
sent. n. 5223/2007, Rv 236130).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo stesso materiale
probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto delle censure
dell’appellante, è giunto, con riguardo alla posizione dell’imputata, alla medesima
conclusione della sentenza di primo grado, sottolineando come dalle

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demandato alla corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può

documentazione acquisita agli atti in ragione del rito è emersa la piena
responsabilità della Ardita (le dichiarazioni della parte offesa, i riscontri
documentali e dichiarativi, la relazione psichiatrico – forense redatta dal
consulente tecnico del P.M.).
E’ evidente che la condotta post delictum della ricorrente (il riconoscimento del
debito su richiesta della vittima, supportata dai familiari alla quale si era infine
rivolta) non incide sul giudizio di responsabilità.

reiterazione di censura già proposta in sede di appello, esaurientemente definita
e non contestata in termini specifici in questa sede.
Ha infatti evidenziato la corte milanese che la Perego è stata indotta a compiere
atti di disposizione patrimoniale in favore della Ardita, avendo quest’ultima
approfittato del suo stato di circonvenibilità, circostanza che – a prescindere
dagli artifici o raggiri – caratterizza il delitto previsto dall’art. 643 cod. pen. ed
esclude la truffa (par. III – pag. 13 della sentenza impugnata).
4.

I rilievi circa il trattamento sanzionatorio sono all’evidenza privi di

fondamento, in quanto il giudizio di equivalenza tra attenuanti e aggravante
contestata è stato adeguatamente motivato, valorizzando l’incensuratezza
dell’imputata e le mutate condizioni di vita ma al tempo stesso considerando
l’intensità del dolo per la reiterata condotta posta in essere in danno di una
persona in condizioni di vulnerabilità.
Non risulta in atti che il danno sia stato risarcito – emergendo anzi il contrario con la conseguenza che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento
dell’attenuante di cui è cenno nel quarto motivo relativo al trattamento
sanzionatorio.
5. Il ricorso è pertanto inammissibile e, come tale, inidoneo a instaurare un
regolare rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che la
sentenza impugnata passa automaticamente in cosa giudicata e resta precluso
qualsiasi accertamento di sopravvenute cause di non punibilità quali la
prescrizione del reato successiva alla sentenza di secondo grado
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e al pagamento a favore della Cassa
delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa
di C 1.500,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

3. Il motivo relativo alla qualificazione giuridica del reato costituisce mera

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 23 giugno 2016
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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