Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29856 del 23/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29856 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1.

DI FABIO INES, nata il 24/03/1943;

2.

DI FABIO MAFALDA nata il 05/03/1939;

3.

DI FABIO LUIGIA nata il 07/12/1940;

avverso la sentenza del 03/04/2014 della Corte di Appello di L’Aquila
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità;
udito il difensore, avv. Patrizio Pupatti, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
dei ricorsi.

FATTO e DIRITTO

1. Ines DI FABIO, Luigia DI FABIO e Mafalda DI FABIO, a mezzo del comune
difensore, hanno proposto separati ricorsi per cassazione (peraltro perfettamente
identici) contro la sentenza del 03/04/2014 della Corte di Appello di L’Aquila
deducendo:
1.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

6

COD. PEN.

in quanto i giudici italiani non sarebbero

stati competenti a giudicare le ricorrenti essendo le medesime residenti in

Data Udienza: 23/06/2016

Francia ed essendo stato il reato di appropriazione indebita commesso in
Francia;
1.2.

MANIFESTA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE

in quanto la vicenda processuale

avrebbe solo un carattere di natura civilistica e comunque la mancanza del dolo
anche in considerazione del comportamento tenuto dalle Poste presso le quali le
ricorrenti si erano recate a riscuotere i buoni postali.

2.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

6

COD. PEN.:

in punto di diritto, è consolidato il

principio secondo il quale «per il principio della territorialità della legge penale
italiana, accolto dal nostro ordinamento, il reato si considera commesso nel
territorio dello stato anche quando l’azione o l’omissione che lo costituisce e ivi
avvenuta soltanto in parte e quest’ultimo termine va inteso in senso naturalistico
e non strettamente giuridico, e, cioè, come un momento dell’iter criminoso che,
considerato unitamente ai successivi atti conseguenti, commessi all’estero,
sostanzi un delitto tentato o consumato»: Cass. 1308/1980 rv. 147690; Cass.
1094/1984 rv. 167670; Cass. 7455/1992 rv. 190897; Cass. 1180/2008 rv.
238228.
In punto di fatto, risulta che:
a) le imputate riscossero i buoni postali in Italia: già la suddetta circostanza
è sufficiente a far ritenere la giurisdizione del giudice italiano in quanto una parte
dell’azione (la riscossione in mala fede prodromica alla appropriazione) avvenne
in Italia;
b) la riscossione avvenne con “modalità furtive” «all’insaputa della parte
offesa e sottacendo maliziosamente la morte della zia cointestataria Di Fabio
Ines» (pag. 4 sentenza di primo grado; situazione di mala fede confermata dalla
Corte Territoriale a pag. 2 della sentenza impugnata): alla stregua della suddetta
circostanza di fatto, deve ritenersi che anche la consumazione del reato avvenne
in Italia proprio perché la volontà di appropriarsi di tutto il denaro era presente
nelle imputate fin dal momento della riscossione dei buoni postali: di
conseguenza, è irrilevante che la diffida a restituire parte del denaro venne
inoltrata dalla parte offesa in un momento in cui le imputate si trovavano in
Francia e che da questo momento si sarebbe verificato, secondo l’assunto
difensivo, la interversione del possesso.

2.2.

MANIFESTA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE: la

censura è manifestamente

infondata.
Infatti, questa Corte osserva che la questione dedotta dalle ricorrenti ha
costituito oggetto di dibattito processuale in grado di appello (pag. 3 sentenza

2

2. I ricorsi sono manifestamente infondati.

impugnata), al quale la Corte territoriale ha dato una congrua risposta sulla base
di puntuali riscontri di natura fattuale e logica, disattendendo, quindi (in fatto e
in diritto), la tesi difensiva delle imputate, riproposta in modo tralaticio
nuovamente in questa sede di legittimità.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese incongruità,
carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte, la censura, essendo incentrata
tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va

3. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché
al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C
1.500,00 ciascuna.
La declaratoria di inammissibilità preclude la rilevabilità della prescrizione in
applicazione del principio di diritto secondo il quale «l’inammissibilità del ricorso
per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il
formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità
di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc.
pen.»: ex plurímis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass. 4/10/2007,
Impero; Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164; Sez. un., 28
febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400; SSUU, 12602/2016, Ricci;

P.Q.M.
DICHIARA
inammissibili i ricorsi e
CONDANNA
le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuna al versamento della
somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Sentenza a motivazione semplificata
Così deciso il 23/06/2016

dichiarata inammissibile.

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