Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29851 del 15/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29851 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRENTUNZI ROCCO N. IL 25/07/1964
avverso la sentenza n. 3363/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
23/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/05/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Eugenio Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, con sentenza confermata
dalla Corte di appello, ha ritenuto Trentunzi Rocco responsabile di tentato furto
aggravato e lo ha condannato a pena di giustizia.

Trentunzi si recò, insieme ad altri tre giovani, in via Carducci di Altamura, con
una Fiat Uno, dalla quale scese uno degli occupanti, il quale, con un martelletto
diamantato, mandò in frantumi prima il lunotto posteriore di una Fiat Bravo
parcheggiata in strada, poi il finestrino anteriore lato sinistro, quindi si sporse
all’interno dell’abitacolo, allorché sopraggiunse il carabiniere Fiore, in abiti civili,
che tentò di bloccarlo, senza riuscirvi. Con l’aiuto di una pattuglia di colleghi in
transito il carabiniere bloccò, però, i tre occupanti della Fiat Uno, all’interno della
quale l’esecutore materiale aveva lanciato, prima di darsi alla fuga, il martelletto
diamantato utilizzato per rompere i finestrini dell’auto presa di mira.

2.

Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per

Cassazione l’imputato con due motivi.
Col primo lamenta falsa applicazione della legge penale, vizio di
motivazione e “inattendibilità dell’unico teste dell’accusa”. Deduce che la
ricostruzione dell’episodio è avvenuta sulla base delle dichiarazioni di un unico
teste (il carabiniere Fiore), prevenuto nei confronti dell’imputato in virtù dei
precedenti penali di quest’ultimo e smentito dai testi a discarico (Lucatuorto e
Manfredi).
Col secondo si duole della qualificazione del fatto, da ricondurre, a suo
giudizio, all’ipotesi dell’art. 635 cod. pen. e come tale improcedibile per
mancanza di querela.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
L’affermazione di responsabilità del Trentunzi è fondata sulla chiara e congruente
testimonianza del carabiniere Fiore, il quale vide l’auto (una Fiat Uno di color
bianco), su cui viaggiava l’imputato, sopraggiungere in via Carducci di Altamura
ed eseguire una manovra di parcheggio anomala, perché l’auto veniva
posizionata, in uno stallo a “spina di pesce”, con la parte anteriore verso la
strada. Il carabiniere vide anche un giovane scendere repentinamente dall’auto

2

Secondo la ricostruzione operata dai giudici di primo e secondo grado, il

suddetta, percorrere rapidamente una decina di metri e avvicinarsi ad una Fiat
Bravo parcheggiata sullo stesso lato della strada, mandare in frantumi i vetri
della stessa e introdurre il busto all’interno del veicolo. L’immediato intervento
del Fiore costrinse il giovane a desistere dall’azione e a tornare verso l’auto con
cui era giunto sul posto, all’interno della quale lanciò il martelletto con cui aveva
operato sulla Fiat Bravo. Il carabiniere non riuscì a bloccare il giovane, che,
divincolandosi, riuscì a fuggire, ma ebbe modo di fermare, con l’aiuto di una
pattuglia di colleghi in transito, gli altri tre occupanti della Fiat Uno, tra cui il

sentenza di primo grado, richiamata da quella d’appello).
In questa ricostruzione dell’episodio, chiaramente descritto dal teste
Fiore, vi sono tutti gli elementi fondanti del giudizio di responsabilità, sia in
ordine alla qualificazione del fatto che alla responsabilità di Trentunzi, perché
provano inequivocabilmente che i giovani giunti sul posto con la Fiat Uno erano
tutti d’accordo nell’eseguire il reato (non si spiegano altrimenti le manovre prima descritte – di parcheggio ed il possesso di un martelletto ad opera del
gruppo) e che il loro scopo era rubare la Fiat Bravo, posto che nessuna relazione
è stata dimostrata tra gli stessi e il proprietario dell’auto presa di mira, che faccia
pensare ad una volontà di danneggiamento; volontà contraddetta, peraltro, dal
tentativo dell’autore materiale di introdursi nel veicolo.
La motivazione con la quale si è affermata la sussistenza della condotta dolosa
dell’imputato in relazione al reato di furto è quindi tutt’altro che manifestamente
illogica, mentre solo assertiva – e persino arbitraria – è l’affermazione che il
carabiniere fosse “prevenuto” nei confronti del Trentunzi, perché nulla di
congruente è stato detto per suffragare una simile affermazione, in quanto la
conoscenza del Trentunzi da parte dell’appartenente alle forze dell’ordine, in
ragione dei trascorsi penali dell’imputato, avvalora soltanto “la percezione” avuta dal carabiniere – delle condotte poste in essere dal quartetto e non
introduce alcun elemento di sospetto a suo carico; sospetto chiaramente
originato da una visione distorta della funzione pubblica da parte del ricorrente.
Infine, la circostanza che “testi a discarico” avrebbero spiegato diversamente la
presenta di Trentunzi sul posto è frutto di pura fantasia, posto che nella sentenza
del Tribunale è detto chiaramente (pagg. 3-4) che Lucatuorto e Manfredi – citati
nel ricorso – non sono stati in grado di riferire nulla di significativo intorno alla
vicenda per cui è processo, essendosi limitati a dichiarare di aver incontrato
tempo prima (tra le sei e le sette del pomeriggio) il Trentunzi, che era in auto
insieme a Parisi e D’Agostino, e di essersi intrattenuti a conversare con costoro
per circa un minuto. Logicamente il racconto dei due testi è stato ritenuto
ininfluente nella ricostruzione dei fatti, data l’approssimazione con cui hanno
deposto sull’orario dell’incontro.

3

Trentunzi, che sedeva sul sedile anteriore, lato passeggero (pag. 2 e seg. della

Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto della natura delle doglianze
sollevate, si reputa equo quantificare in C 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Così deciso il 15/5/2015

spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.

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