Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29850 del 15/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29850 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Urgo Sisto Salvatore, nato a Torre Annunziata il 17/05/1982

avverso la sentenza emessa il 18/12/2013 dalla Corte di appello di L’Aquila

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Sisto Salvatore Urgo ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di
Chieti, in data 19/01/2010, nei confronti del suo assistito; l’Urgo risulta essere
stato condannato a pena ritenuta di giustizia per delitti ex artt. 81, 594, 56 e

Data Udienza: 15/05/2015

610 cod. pen., in ipotesi commessi in danno di Antonella Iacobacci (la parziale
riforma della decisione di primo grado riguarda la declaratoria di prescrizione di
un ulteriore addebito di molestie, stante la natura contravvenzionale del reato).
Nell’interesse del ricorrente si lamenta contraddittorietà ed illogicità della
motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’effettivo compendio
probatorio in atti; secondo la difesa, i giudici di secondo grado si sarebbero
appiattiti, al pari del Tribunale, su un acritico recepimento delle dichiarazioni
della persona offesa, ignorando sia le ragioni di gravame sia la necessità di

vaglio critico e di attendibilità. Un indice della precostituita volontà di aderire
alla ricostruzione della denunciante, in particolare, dovrebbe. rinvenirsi nella
particolare ed ingiustificata severità della pena inflitta, pari a mesi 6 di
reclusione, che nel ricorso viene definita «oltremodo gravosa e inaccettabilmente
punitiva».
Il difensore dell’Urgo deduce altresì omessa applicazione degli artt. 157 e
163 cod. pen., osservando che anche i reati di ingiuria e tentata violenza privata
risultano oramai prescritti, e che l’imputato – «certamente non apostrofabile nei
termini di abituale, incline o tendenziale soggetto proclive a delinquere» avrebbe meritato il beneficio della sospensione condizionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile, per genericità e manifesta
infondatezza dei motivi di doglianza.
Quanto alla credibilità riconosciuta alla Iacobacci, deve ricordarsi che,
secondo la giurisprudenza di legittimità, «le regole dettate dall’art. 192, comma
terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le
quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere
più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone» (Cass., Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012,
Bell’Arte, Rv 253214). Il massimo organo di nomofilachia ha inteso poi
precisare che – nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile può essere opportuno che le sue dichiarazioni vengano riscontrate da altri
elementi,

ergo

senza dunque richiedere che di riscontri ve ne siano

indefettibilmente.

2

sottoporre il contributo della Iacobacci – costituitasi parte civile – ad un rigoroso

Nel caso di specie, gli assunti della denunciante erano stati financo
confermati – come evidenziato dalla Corte territoriale – dalla testimonianza di
tale Mario D’Ettore (e, sul punto, il ricorrente nulla osserva); la sentenza
impugnata chiarisce altresì che la persona offesa riconobbe distintamente la voce
dell’imputato nell’ultima delle telefonate ricevute, mentre nei motivi di appello
era stata dedotta una situazione di incertezza sull’identità del presunto autore
delle minacce, e che il contenuto della minaccia, volta a far sì che la donna
ritirasse una querela già presentata, risultava univocamente e gravemente

proprio in merito alla denuncia de qua.
Si ..tratta di argomentazioni già ictu °cui/ sufficienti a superare le doglianze
della difesa dell’Urgo circa un presunto atteggiamento di prevenzione dei giudici
di merito: doglianze, peraltro, espresse in termini del tutto generici, laddove ad
esempio il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata, in quanto connotata
dalla pregiudiziale e apodittica adesione al narrato della Iacobacci, rivelerebbe un
«macroscopico travisamento della condotta contestata al ricorrente» e sarebbe
viziata «nel processo formativo del libero convincimento e quindi dell’apparato
argomentativo, fortemente condizionato da siffatta predisposizione intellettuale».
In ordine al trattamento sanzionatorio, deve ricordarsi che «la graduazione
della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di
merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai
principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la
censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della
congruità della pena» (Cass., Sez. III, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv
238851). A fronte degli argomenti evidenziati dal giudice di primo grado, si
palesava poi del tutto generico anche il motivo di appello con cui la difesa aveva
sollecitato la concessione all’Urgo del beneficio della sospensione condizionale: il
Tribunale, descrivendo chiaramente l’imputato come persona proclive a
commettere reati analoghi, aveva infatti sottolineato che egli risultava gravato
da precedenti specifici, per minacce e plurime molestie, e nella fattispecie
concreta si era reso responsabile di gravi e ripetute condotte (con un «numero
spropositato di contatti» che egli aveva cercato di realizzare con la persona
offesa). Nell’atto di gravame era invece formulata una richiesta, in estremo
subordine, di riduzione della pena, riconoscimento di attenuanti se concedibili e
sospensione condizionale: una richiesta, dunque, che non palesava in alcun
modo le ragioni a sostegno della ritenuta meritevolezza dell’Urgo in vista
dell’applicazione delle norme di favore anzidette.

3

indiziante proprio per l’Urso, pochi giorni prima escusso a verbale dagli inquirenti

2. Ne deriva che non appare possibile prendere atto della prescrizione dei
reati di ingiuria e tentata violenza privata, oltre a quella

– già rilevata e

dichiarata – della contravvenzione ex art. 660 cod. pen., malgrado i delitti in
parola risalgano al 25/10/2005.
La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata il 16/03/2014,
dovendosi tenere conto di cause di sospensione per complessivi 10 mesi e 22
giorni: ergo, dopo la pronuncia di secondo grado. Per consolidata giurisprudenza
di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta

rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc., pen.»
(Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266, relativa appunto ad
una fattispecie in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla
sentenza impugnata con il ricorso; v. anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV,
n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna dell’Urgo al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 15/05/2015.

infondatezza dei motivi o per altra ragione, «non consente il formarsi di un valido

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