Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29849 del 15/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29849 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANNARILE GRECO GIUSEPPE N. IL 08/04/1962
avverso la sentenza n. 1347/2009 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 03/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/05/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Eugenio Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 3

all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato Cannarile Greco Giuseppe a pena
di giustizia per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commessa
quale amministratore della Cannarile srl, dichiarata fallita il 7/11/2003.
Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, il
Cannarile, operando nella qualità anzidetta, distrasse dalle casse sociali la
somma di C 125.489,29, giustificata dall’imputato con pagamenti effettuati a
favore di lavoratori non registrati, nonché una somma non esattamente
quantificata, ma inferiore ai 99.000 euro, a titolo di “rimborso spese
amministratore”. Inoltre, tenne le scritture contabili in modo da non rendere
possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
I giudici hanno disatteso le giustificazioni addotte dall’imputato, in quanto:
– l’esborso di C 125.489,29, asseritamente corrisposti “in nero”, nel corso di circa
un decennio, ai dipendenti, non trova riscontro nella documentazione societaria e
non è provato dalla documentazione – dichiarazioni dei dipendenti – prodotta in
primo grado dall’imputato, trattandosi di dichiarazioni provenienti da soggetti
che non erano stati tempestivamente indicati agli inquirenti (e per questo non
erano stati da questi escussi);
– non trovano giustificazione i prelievi per cassa effettuati dal Cannarile nei mesi
antecedenti il fallimento per euro 99.820 a titolo di “rimborso spese
amministratore” (salvo una loro riduzione – non quantificata – per duplicazione di
voci), poiché l’esborso di C 49.910 per carburanti non è giustificato dagli impegni
gravanti sull’amministratore, in quanto non è verosimile che egli, residente a
Martina Franca, dove era pure la sede sociale, abbia potuto spendere in
carburanti una somma tanto rilevante, peraltro non adeguatamente
documentata.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Giuseppe Semeraro per violazione di legge e vizio di
motivazione.
2.1. Si duole, con un primo motivo, del fatto che la Corte d’appello non abbia
accolto la richiesta di rinnovazione istruttoria mediante riesame del cojisuiente

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marzo 2014, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Taranto,

tecnico del Pubblico Ministero, al fine di acquisirne il parere sulla integrazione
probatoria effettuata – in primo grado – con le produzioni documentali di parte
privata.
2.2. Con altro motivo lamenta che non sia stata tenuta nella debita
considerazione la documentazione – costituita da dichiarazioni dei lavoratori prodotta all’udienza preliminare. Sulla base di detta documentazione la Corte di
merito avrebbe dovuto ritenere raggiunta la prova di un uso lecito delle risorse
sociali – in particolare della cospicua somma di C 125.489,29 – siccome

1991 fino ad epoca prossima al fallimento. Lamenta che l’efficacia probatoria di
detta documentazione sia stata esclusa in base a considerazioni illogiche (il fatto
che non era annotata nei libri sociali; il fatto che su di essa il Pubblico Ministero e
i giudicanti non avessero svolto indagini, per inerzia o perché relativa a soggetti
non rintracciati; il fatto che fosse di importo pressoché coincidente con quello
della presunta distrazione) e senza affermarne e dichiararne la falsità.
2.3. Con un terzo motivo eccepisce la prescrizione del reato di bancarotta
patrimoniale, siccome relativo a prelievi indebiti effettuati – secondo l’accusa negli anni dal 1991 al 1998; “prelievi” che, secondo il ricorrente, rappresentano
altrettanti pagamenti a favore dei lavoratori.
2.4. Col quarto censura l’affermazione – fatta dalla Corte d’appello – che sia
“inverosimile” la spesa di C 49.910 per carburanti, laddove la distanza tra la sede
sociale e la sede operativa rende più che plausibile l’importo sopra documentato
per spese di trasporto. Lamenta, inoltre, che sia stato ritenuto distrattivo il
prelievo per cassa della somma di C 5.521 sebbene il consulente tecnico del
Pubblico Ministero abbia accertato che somme consistenti (per C 24.980) furono
versate dall’amministratore ai creditori sociali per evitare il fallimento e che i
pagamenti suddetti non sono stati, secondo il C.T., “rilevati nelle scritture
contabili della società pur avendone ridotte le disponibilità finanziarie”.
2.5. Col quinto motivo lamenta una “insufficiente e contraddittoria” motivazione
in ordine alla bancarotta documentale, la cui sussistenza sarebbe smentita secondo il ricorrente – dalla “oggettiva circostanza dell’avvenuta ricostruzione
dei bilanci in forma precisa ed approfondita da parte del C.T.”.
2.6. Da ultimo, si duole – sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di
motivazione – della misura della pena, “essendo quella inflitta, in ogni caso,
decisamente eccessiva in relazione ai fatti e all’eventuale gravità del reato”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.

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corrisposta “in nero” ai lavoratori che avevano prestato la loro opera a partire dal

1. Esaminando i motivi di ricorso nell’ordine in cui sono stati proposti, è
manifestamente infondato il primo motivo. Con la richiesta di riesame del
consulente tecnico del Pubblico Ministero la difesa dell’imputato intendeva
sottoporre all’esperto la documentazione da lei prodotta, sul presupposto ritenuto – che fosse idonea a mutare il giudizio del consulente intorno alle
bancarotte contestate. Così proposta l’istanza era chiaramente esplorativa e
fondata su una erronea interpretazione del ruolo del consulente, che non è quello
di guidare il giudice nella decisione che questi è chiamato ed emettere, ma di

espressamente ritenuto, ben poteva essere in grado di leggere la
documentazione in questione, interpretarla e apprezzane l’incidenza nella
ricostruzione del fatto. La motivazione con cui l’istanza è stata rigettata fa
corretta applicazione dei principi della logica ed è adeguata al livello (basso) di
complessità della materia trattata, per cui si sottrae alle censure di illogicità con
cui è stata censurata, fermo restando che nessuna violazione di legge è in
astratto ipotizzabile intorno al diniego – espresso dal giudice d’appello – di
riesame di un consulente, come non è censurabile la decisone di non ammettere
una perizia: decisioni che vanno scrutinate per la loro intrinseca ragionevolezza e
per i motivi che sono a base del diniego, in quanto il diritto alla prova,
riconosciuto alle parti dall’ordinamento, è soggetto a scrutinio, nel suo concreto
esercizio, dal giudicante, a cui compete di valutare la rilevanza delle prove
dedotte e la loro pertinenza alla re iudicanda. Nel giudizio d’appello, poi,
informato al principio della tendenziale completezza dell’istruttoria di primo
grado, la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in tanto può
essere accolta, in quanto si dimostri la decisività della nuova prova o della sua
riassunzione: circostanza su cui il ricorrente tace del tutto, salvo attribuire alla
rinnovazione da lui richiesta, in maniera apodittica e assertiva, una decisività che
non viene minimamente illustrata.

2. La prova della distrazione è stata desunta dalle stesse scritture contabili della
società fallita, il cui esame ha evidenziato che vi era, nel 2003, uno sbilancio tra
le attività e le passività di oltre 483.000 euro, compensato contabilmente, poco
prima del fallimento, con l’annotazione di una uscita di cassa di importo
corrispondente.
I giudici hanno ritenuto che si trattasse di somme, almeno in parte, distratte,
perché non hanno ritenuto credibile la giustificazione fornita dall’imputato: il
fatto, cioè, che si sia trattato, fondamentalmente, di esborsi effettuati a favore di
dipendenti assunti “in nero” e di spese sostenute dall’amministratore per recarsi
presso un punto vendita dell’azienda, sita in ecce. E tanto hanno ritenuto perché
gli esborsi a favore dei lavoratori sono stati giustificati con documentazione
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formulare un parere, se e in quanto richiesto dal giudicante, il quale, come ha

(ricevute dei prestatori d’opera) che non ha trovato sempre riscontro nelle
dichiarazioni dei percettori (i lavoratori, interrogati dalla Guardia di Finanza,
hanno attestato la percezione di somme per 165.510 euro, a fronte di un
esborso dichiarato di 291.000 euro) e perché la documentazione
successivamente prodotta non è stata ritenuta attendibile, bensì confezionata
apposta per giustificare il residuo ammanco. Tale conclusione non è censurabile
in termini di logicità, perché rappresenta il logico sviluppo dell’atteggiamento
ondivago e contraddittorio dell’imputato. Questi aveva infatti, in un primo

di somme per 291.000 euro. Una volta accertato che vi era prova di esborsi per
soli 165.510 euro, ha prodotto altre dichiarazioni, attestanti la percezione della
differenza. Delle due l’una, pertanto (tale il pensiero inespresso del giudicante):
o erano false le prime dichiarazioni, o lo sono le seconde, oppure le une e le
altre.
Né è censurabile la decisione dei giudici di merito per la ragione che, in sede di
giudizio abbreviato, non hanno ritenuto necessario disporre la citazione dei
soggetti apparentemente firmatari delle dichiarazioni, posto che il giudizio sulla
non attendibilità delle dichiarazioni determinava l’esaurimento – per il giudicante
– della rilevanza probatoria delle stesse; competeva invece alla difesa
dell’imputato, ove avesse voluto creare i presupposti di una prova
concretamente apprezzabile, chiedere l’escussione dei soggetti predetti,
offrendo, nel contraddittorio delle parti, una prova “forte” e – salvo un motivato
apprezzamento di inattendibilità della testimonianza in tal modo acquisita anche vincolante per il giudice. Non va dimenticato che grava, nella soggetta
materia, sull’imprenditore l’onere di dare la prova della destinazione a fini sociali
delle risorse di cui ha avuto la disponibilità e che tale obbligo non può essere
assolto a rate, secondo le convenienza della difesa, ma deve essere adempiuto
con puntualità e tempestività, in modo da consentire l’espletamento – in
relazione alla scansione del procedimento penale – dei controlli che si rendono
necessari.
Quanto alla somma di C 99.820 – che è stata comunque ridimensionata dalla
Corte d’appello per aver riconosciuto che alcune voci, calcolate dal consulente
del Pubblico Ministero, erano state duplicate -, nessun appunto può essere
mosso alla sentenza impugnata per il fatto che è stata disattesa la spiegazione
difensiva – basata, si ripete, sulla allegazione di spese per carburanti
ammontanti alla bella cifra di 49.910 euro dal momento che “le spese per
carburanti” vanno documentate con la produzione di documentazione idonea,
formata in concomitanza al sostenimento della spesa. Tranciante è, in ogni caso,
il rilievo – non contestato – che quei prelievi furono “effettuati
dall’amministratore unico nei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento”
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momento, depositato dichiarazioni di vari collaboratori, attestanti la percezione

(pag. 8): il che smentisce radicalmente l’affermazione che si è trattato di somme
utilizzate negli anni per gli spostamenti dell’amministratore.

3. Inconferente è l’argomento sviluppato nel terzo motivo di ricorso, posto che
né il Tribunale né la Corte d’appello hanno dato credito all’affermazione contenuta in ricorso – che una parte delle somme mancanti sia stata utilizzata
per ricompensare alcuni lavoratori (quelli indicati a pag. 7 della sentenza) in
violazione della par condicio creditorum. Al contrario, sia i giudici di primo che

ammanchi all’iniziativa distrattiva dell’amministratore, per cui non hanno rilievo
alcuno le disquisizioni fatte in ricorso intorno all’intervenuta estinzione, per
prescrizione, di una ipotizzata – dal ricorrente – bancarotta preferenziale.

4.

Solo assertiva è la “oggettiva circostanza dell’avvenuta ricostruzione dei

bilanci in forma precisa ed approfondita da parte del C.T.”. Al contrario, la
sentenza impugnata dà atto delle “notevoli difficoltà incontrate dal consulente
tecnico nel ricostruire il movimento degli affari e i flussi di entrata e di uscita
della società fallita”, ed evidenzia che proprio la documentazione prodotta
dall’imputato nel corso del processo – e mai prodotta al curatore – per
giustificare gli ammanchi e i consistenti esborsi effettuati a favore di “lavoratori
in nero” (anche se •non nella misura dichiarata) danno essi stessi conto della
volontaria, irregolare tenuta della contabilità e della consapevolezza che,
attraverso di essa, non sarebbe stato possibile ricostruire il patrimonio e il
movimento degli affari.

5. Inammissibili, infine, per totale genericità, sono le doglianze relative al
trattamento sanzionatorio, formulate senza lo sviluppo di un qualsiasi
ragionamento e senza tener conto che la pena è già stata applicata nel minimo
edittale, che sono state concesse attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle
aggravanti contestate e applicate nella massima estensione; che è stata
concessa la sospensione condizionale della pena.

6. Alle considerazioni sopra esposte segue il rigetto del ricorso atteso che i
motivi attinenti alla prova della responsabilità, pur se non manifestamente
inammissibili, risultano infondati per le ragioni sin qui esposte; ai sensi dell’art.
592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p il ricorrente va condannato al pagamento
delle spese del procedimento.

6

quelli di secondo grado hanno – per quanto è stato sopra detto – ricondotto gli

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 15/5/2015

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