Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29840 del 08/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29840 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto dalle parti civili:

CANDIDO Walter nato a Lecce il 22/02/1968
TORTORELLA Alessandra nata a Lecce il 19/08/1965

c/
AURELIO Andrea Cristina n. Brasile il 09/06/1973
avverso la sentenza emessa in data 18/05/2015 della Corte di Appello di Lecce
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore dell’imputata, avv. Stefania Mercaldi del foro di Lecce che ha
concluso associandosi alla richiesta del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 18/05/2015 la Corte di Appello di Lecce, a seguito di
appello proposto dalle parti civili Candido Walter e Tortorella Alessandra,
confermava la decisione del Tribunale di Lecce – sez. distaccata di Maglie con la
quale Aurelio Andrea Cristina era stata assolta dal reato di appropriazione
indebita di beni di valore perché il fatto non sussiste.
2. Avverso la sentenza, ai soli fini civili, hanno proposto ricorso per cassazione il
Candido e la Tortorella, tramite il comune difensore di fiducia, deducendo la
violazione dell’art. 606, prima comma lett. b) – per inosservanza ed erronea

Data Udienza: 08/06/2016

applicazione dell’art. 495 comma 4 e 194 cod. proc. pen. nonché per violazione
dell’art. 646 cod. pen – ed e) – per motivazione carente, illogica e
contraddittoria.
Hanno esposto a riguardo i ricorrenti che la corte territoriale con percorso
argomentativo tautologico aveva confermato la superfluità dei testi di lista e la
revoca dell’ordinanza ammissiva delle prove disposta dal primo giudice, senza
considerarne l’utilità ai fini dell’accertamento di responsabilità dell’imputata; che

anche delle doglianze proposte dagli appellanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato: esso si caratterizza in realtà per una
certa genericità ed è incentrato su due aspetti, entrambi relativi al compendio
probatorio.
Per un verso si assume la compressione del diritto di difesa a seguito della
decisione dei giudici di merito di non dare spazio ad ulteriore indagine istruttoria
– il tribunale aveva infatti revocato le prove dichiarative in precedenza ammesse
su richiesta delle parti civili – e per altro si deduca l’erronea valutazione del
quadro probatorio sotto il profilo del vizio motivazionale, rilevante ai sensi della
lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen.
2. Per quanto attiene al primo profilo la giurisprudenza di questa Corte ha già
avuto modo di rilevare che la parte che intende censurare con ricorso per
cassazione l’ordinanza del giudice che, all’esito dell’istruttoria, abbia revocato
una prova testimoniale già ammessa è tenuta, in ossequio al principio di
specificità di all’art. 581, comma primo, lett. c) cod. proc. pen. a spiegare il
livello di decísività delle prove testimoniali che il giudice ha ritenuto superflue
(Cass. sez. 6 sent. n. 15673 del 19/12/2011 – dep. 23/04/2012 – Rv. 252581;
nella specie, la Corte ha ritenuto inammissibile il motivo con cui la parte si
limitava ad affermare che la testimonianza revocata sarebbe stata
“potenzialmente contrastante” con quelle assunte).
Tali ragioni sono indicate dei ricorrenti in via generica ed ipotetica (“i testi
revocati avrebbero certamente potuto essere d’ausilio al tribunale prima ed alla
Corte di Appello poi”, “avrebbero potuto fornire quei riscontri estrinseci alle
dichiarazioni rese dal Candido”, “avrebbero potuto chiarire la natura dei
rapporti…della datio…”); è omessa invece l’indicazione dell’aspetto decisivo di tali
testimonianze rispetto all’ipotesi accusatoria, a fronte peraltro delle

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la corte aveva omesso qualsiasi verifica non solo del quadro probatorio in atti ma

argomentazioni della corte di appello tese a sottolineare la superfluità di un
prolungamento dell’indagine istruttoria.
Con motivazione immune da vizi logici il giudice di secondo grado ha infatti
ritenuto l’ordinanza di revoca processualmente corretta, avendo il tribunale
proceduto – in udienza e nel contraddittorio determinato dalla richiesta della
parte civile di procedere all’ascolto dei testimoni prima dell’esame dell’imputata a revocare perché superflue l’escussione di due testi, con riferimento al relativo

impugnata): sui rapporti tra l’imputata ed il Candido avevano infatti già deposto
quest’ultimo, una moglie ed un’amica di famiglia; altre circostanze sono state
ritenute incontestate (l’esistenza di una cassetta di sicurezza in uso alla Aurelio)
o conoscibili esclusivamente dagli interessati (la natura della datio dei beni mobili
da parte del Candido).
3. Per quanto riguarda la valutazione delle prove il ricorrente, sotto il profilo del
vizio di motivazione, tenta di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non
consentito anche dopo la modifica normativa dell’articolo 606 cod. proc. pen.
lett. e) di cui alla legge 20 febbraio 2006 n.46 che ha lasciato inalterata la natura
del controllo demandato alla corte di Cassazione, che può essere solo di
legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale
modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta giudice della motivazione.
Nel caso in esame, il giudice di appello ha esaminato lo stesso materiale
probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto delle censure
dell’appellante, è giunto, con riguardo alla posizione dell’imputata alla medesima
conclusione della sentenza di primo grado, sottolineando come dalle prove
dichiarative e documentali in atti è emersa innanzitutto l’inattendibilità
soggettiva del Candido, “non solo e non tanto per ragioni di natura economica
legate all’esercizio dell’azione civile quanto anche di natura psicologica e morale”
risultando “difficile pretendere dal Candido – che è ritornato a convivere con la
moglie e la figlia, dopo una parentesi nella quale si è inserito il rapporto di
frequentazione con l’imputata, qualificato dalla moglie come relazione

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capitolato di prova ed alle acquisizioni in atti (pagg. 4 e 5 della sentenza

extraconiugale – una spiegazione della consegna a quest’ultima dei monili, della
pelliccia e degli altri oggetti indicati nel capo d’imputazione”.
La corte ha altresì adeguatamente valutato l’assenza di spiegazioni plausibili da
parte del Candido del rapporto con la Aurelio e delle ragioni della consegna a
quest’ultima di beni di valore, ritenendo non sostenibile la tesi della mera
custodia.
Al contrario i ricorrenti si sono limitati a formulare ipotesi alternative

principio di “autosufficienza” del ricorso, operante anche in sede processuale
penale (il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di
una prova testimoniale ha l’onere infatti di suffragare la validità del suo assunto
mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese
dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime
l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto – Cass. Sez. 4, sent. n. 37982 del
26/06/2008, dep. 03/10/2008, Rv. 241023).
4. Per tali considerazioni, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento e ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.500,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 8 giugno 2016

Il Consigliere estensore

Il Pr id nte

menzionando stralci di dichiarazioni testimoniali, in violazione peraltro del

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