Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29837 del 24/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29837 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRARI CLAUDIO N. IL 09/05/1955
MANZINI MILENA N. IL 21/04/1962
nei confronti di:
MONTIPO’ MARCO N. IL 21/03/1982
TOSI SILVIA N. IL 17/07/1982
avverso la sentenza n. 30/2012 TRIBUNALE di REGGIO EMILIA, del
05/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Q’x-o
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che ha concluso per C,k
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U o, per la parte civile, l’Avv
Udit. difensoreAvv. 4.ti

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Data Udienza: 24/04/2015

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 05/11/2013 il Tribunale dì Reggio Emilia, in riforma della
decisione di primo grado, ha assolto Marco Montipò e Silvia Tosi dal reato di
ingiuria contestato come commesso in danno di Claudio Ferrari e Milena Manzini.
Il Tribunale ha rilevato che le frasi offensive attribuite agli imputati (e il gesto
offensivo riconducibile alla sola Tosi), fossero non punibili, ai sensi dell’art. 599,
comma secondo, cod. pen., in quanto, nel corso di una discussione tra il Montipò
e il fratello Luca, il Ferrarí, prima aveva lanciato un vaso all’indirizzo

reazione di Marco Macripò e della moglie, la Tosi, all’indirizzo del medesimo
Ferrari e della moglie di quest’ultimo, Manzini Milena, che aveva incitato il marito
a sparare.
2. È stato proposto ricorso per cassazione nell’interesse delle parti civili, Ferrari e
Manzini, con il quale si lamentano vizi motivazionali e violazione dell’art. 599
cod. pen.
I ricorrenti sottolineano: a) che è assai discutibile che spianare un’arma scarica
per sedare una lite furibonda fra terzi rappresenti un fatto ingiusto e
provocatorio; b) che del tutto illogicamente il Tribunale aveva ritenuto
dimostrato che il Ferrari avesse lanciato un vaso all’indirizzo di Marco Macripò,
senza tenere conto della concitazione del momento e ritenendo
immotivatamente inattendibili le dichiarazioni delle parti civili, rispetto alle
interessate affermazioni degli imputati e del teste Luca Macripò, anch’egli
coinvolto nel litigio; c) che, in ogni caso, anche ammettendo come sussistenti tali
evenienze fattuali, comunque illegittimamente era stata ritenuta sussistente la
causa di non punibilità di cui all’art. 599, comma secondo, cod. pen., perché
applicata in favore di un soggetto non destinatario di tali comportamenti
provocatori (l’imputata Tosi) e con riguardo a condotte dirette verso un terzo (la
parte civile Manzini) che non aveva posto in essere alcun fatto ingiusto.
3. È stata depositata, nell’interesse degli imputati, memoria con la quale si
deduce l’inammissibilità del ricorso perché proposto dal difensore delle parti civili
privo di procura speciale e perché sono comunque insussistenti i vizi lamentati.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile in quanto la procura originariamente conferita dalle
parti civili al difensore non contiene alcuna indicazione idonea ad esprimere una
volontà diversa da quella, presunta ai sensi dell’art. 100, comma 3, cod. proc.
pen., di limitarla ad un determinato grado del processo.
Si legge in essa, infatti, semplicemente che viene conferita “procura speciale a
che si costituisca parte civile e li difenda nel procedimento di cui sopra”.

1

dell’imputato e quindi aveva puntato un fucile, in tal modo provocando la

2. Per pura completezza, va aggiunto che il ricorso è inammissibile in ogni caso,
dal momento che: a) manifestamente infondata è la tesi secondo la quale
spianare un’arma (e se fosse o non scarica in quel momento poteva saperlo solo

chi la impugnava) non costituirebbe un fatto ingiusto, ravvisato condivisibilmente
in qualunque condotta connotata dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa
come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali
nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con
riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale (Sez. 1,

Tribunale relativa al lancio del vaso da parte del Ferrari è del tutto generica e, in
definitiva, si traduce nella pretesa ad una rivisitazione delle risultanze istruttorie,
inammissibile in sede di legittimità, dovendosi, al riguardo, ribadire che gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del
significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del
21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del
19/12/2012, Consorte); c) la causa di non punibilità è stata correttamente
ritenuta applicabile in favore di un soggetto non destinatario di tali
comportamenti provocatori (l’imputata Tosi), giacché il fatto ingiusto altrui può
costituire provocazione anche se diretto verso persona diversa da colui che
reagisce, ma a costui legata, o verso un gruppo determinato di persone tra le
quali colui che reagisce sia chiaramente incluso (Sez. 5, n. 4664 del 12/02/1992,
Carrara, Rv. 189859); d) manifestamente infondata è anche la questione relativa
all’applicabilità della causa di non punibilità con riguardo alle ingiurie indirizzate
nei confronti della Manzini e ciò sia in generale (e la considerazione è
assorbente), poiché, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’art.
599, comma secondo, cod. pen. opera anche nel caso in cui la reazione
dell’agente sia diretta nei confronti di persona diversa dal provocatore e quando
quest’ultimo sia legato all’offeso da rapporti tali da giustificare la reazione
offensiva nei suoi confronti (Sez. 5, n. 12308 del 28/11/2012 – dep.
15/03/2013, Fusaro, Rv. 255183), sia, nello specifico, perché, come ricordato
dal Tribunale, nel ripercorrere il contenuto delle deposizioni, la Manzini era
rimasta tutt’altro che inerte spettatrice, incitando il marito a sparare (v.
deposizione di Emanuela Manzini e, in termini più cauti, anche le dichiarazioni del
teste Luca Macripò).
3. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la
condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché
al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in
2

n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454); b) la critica alla ricostruzione del

ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00. Del
pari, i ricorrenti, in solido tra loro, vanno condannati, ai sensi dell’art. 541,
comma secondo, cod. proc. pen., alla rifusione delle spese sostenute dagli
imputati nel giudizio di legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono
liquidate in euro 2.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa

delle spese processuali sostenute dall’imputato nel giudizio di legittimità, che
liquida in euro 2.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 24/04/2015

Il Componente estensore

Il Presidente

delle Ammende; condanna inoltre i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione

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