Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29837 del 08/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29837 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Lambiase Vincenzo, nato a Nocera Inferiore il 22/05/1955,
avverso la sentenza del 11/12/2014 della Corte di Appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per
prescrizione ed in subordine l’annullamento con rinvio;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Salerno confermava la
sentenza del Tribunale di Salerno che aveva condannato l’imputato per il reato di
ricettazione di un assegno di provenienza illecita.
1

Data Udienza: 08/06/2016

La Corte riteneva provato che l’imputato avesse avuto il possesso ingiustificato di
un assegno denunciato come smarrito e l’avesse girato a tale Rocco Giovanni che
lo poneva all’incasso, non ritenendo credibile la versione resa dal medesimo
imputato e confermata dalle dichiarazioni del di lui fratello Antonio, secondo cui
era stato quest’ultimo a consegnare l’assegno al ricorrente.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo:
1) vizio della motivazione per avere la Corte ingiustamente ritenuto inattendibili
le dichiarazioni rese da Lambiase Antonio, fratello del ricorrente, in ordine alla

essendo neanche dimostrato che l’imputato l’avesse compilato;
2)

vizio della motivazione con riferimento alla sussistenza dell’elemento

soggettivo del reato, secondo la prospettiva adottata dal ricorrente in ordine alla
consegna del titolo dal di lui fratello, che avrebbe dovuto valorizzarsi a
dimostrazione della sua buona fede dovuta al rapporto di fiducia che lo legava al
germano.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Deve, in primo luogo, rilevarsi, tenuto conto delle conclusioni adottate dal
Procuratore generale che il reato non è prescritto.
Al termine di dieci anni, tenuto conto della proroga, deve, infatti, sommarsi il
periodo di sospensione pari a complessivi anno uno, mesi tre e giorni sedici,
sicché, a decorrere dal 28.5.2005, data del commesso reato, detto termine non
risulta decorso alla data odierna.
2. In secondo luogo, occorre sottolineare che il ricorrente è stato ritenuto
colpevole del reato ascrittogli in entrambi i gradi del giudizio di merito con
motivazione conforme.
La doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato, ha decisivo
rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in cassazione del vizio di
travisamento della prova lamentato dal ricorrente.
E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può essere
dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme,
sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute
nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo
giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del
merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in
termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di
2

circostanza che fosse stato il teste a consegnare l’assegno al congiunto, non

entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel
contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n.
44765 del 22/10/2013, Buonfine).
La sentenza della Corte di Appello è immune da vizi logico-giuridici rilevabili in
questa sede nel senso appena indicato.
Avendo sottolineato, nel merito, che la testimonianza a discarico resa dal
fratello dell’imputato – secondo cui era stato costui a consegnare l’assegno di
provenienza illecita al ricorrente, che ha ammesso di averlo a sua volta

attendibile, tenuto conto delle potenti incertezze che avevano contraddistinto le
sue dichiarazioni, sia in ordine al possesso del titolo, in un primo tempo
addirittura negato, sia alla indicazione,

non pervenuta, del soggetto che lo

avrebbe consegnato al dichiarante, il quale, peraltro, non risultava che lo
avesse firmato prima di consegnarlo al fratello.
Ne consegue che, come correttamente rilevato dalla Corte, il possesso del titolo
illecito da parte del ricorrente era rimasto privo di ogni giustificazione,
circostanza idonea a far ritenere sussistente il dolo di ricettazione del quale si è
dubitato con il secondo motivo di ricorso, ancorandosi alla menzionata tesi
difensiva priva di supporto probatorio e peraltro di puro merito.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro millecinquecento/00
alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso
ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 08.06.2016.
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

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consegnato ad altro soggetto individuato -non poteva essere giudicata

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