Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29836 del 08/06/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 29836 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
Bianchi Fabio, nato a Pietrasanta 1’01/04/1980,
avverso la sentenza del 05/02/2015 della Corte di Appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Franco Solaro, che ha concluso riportandosi ai motivi di
ricorso e chiedendone l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Firenze, confermava la responsabilità
1

Data Udienza: 08/06/2016

dell’imputato per il reato di cui all’art. 12 Legge n. 143 del 1991 concedendogli le
circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva specifica e diminuendo
la pena inflitta in primo grado.
La Corte riteneva provato che il Bianchi avesse indebitamente utilizzato una
carta di credito oggetto di sottrazione al suo titolare, effettuando presso un bar
l’acquisto di una bottiglia di champagne per il valore di 135,00 euro, non andato
a buon fine perché il sistema informatico non aveva convalidato la transazione

2. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo:
1) violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, con
violazione della regola che prevede la correlazione tra accusa contestata e
sentenza, e conseguente nullità di quest’ultima, poiché l’imputazione avrebbe
avuto ad oggetto solo il tentativo del reato di cui all’art. 12 L. n. 143 del 1991,
mentre la condanna del ricorrente, in entrambi i gradi del giudizio di merito,
sarebbe avvenuta per il reato consumato.
Inoltre, secondo il ricorrente, la sentenza andrebbe dichiarata nulla perché
sarebbero state violate le norme regolative della competenza a decidere da parte
del giudice, radicata in quella del Tribunale in composizione collegiale anziché
monocratica;
2) vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta responsabilità dell’imputato,
non avendo la Corte valorizzato tutte le incertezze emerse al processo in ordine
alla individuazione del soggetto che aveva asportato la carta di credito al suo
titolare ed in ordine alla individuazione dell’imputato quale autore del reato;
3) violazione di legge con riguardo alla applicazione della recidiva specifica, che
non sarebbe stata contestata con riguardo al reato per cui è stata affermata la
responsabilità del ricorrente (capo 2), ma solo per quello di furto (capo 1) in
ordine al quale, fin dal primo grado di giudizio, era stata emessa sentenza di non
doversi procedere per difetto di querela.
In ogni caso, la recidiva non sarebbe stata contestabile perché riveniente da
sentenza di applicazione della pena.
Quand’anche si dovesse ritenere contestata la recidiva anche con riguardo al
reato di cui al capo 2), andrebbe esclusa la sua connotazione qualificata, tenuto
conto della diversa oggettività giuridica del detto reato rispetto al precedente
penale produttivo della recidiva.
Con la conseguenza che, esclusa la recidiva o la sua qualificazione come
“specifica”, andrebbe dichiarata la prescrizione del reato;
4)

vizio della motivazione con riguardo alla mancata concessione della

circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen.;

2

per assenza di fondi.

5) applicazione dell’art. 131 bis cod.pen., deducibile in questa sede in quanto
introdotto successivamente alla data di emissione della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1.Quanto al primo motivo, la Corte di Appello non ha ritenuto che l’imputazione
contenesse la contestazione della sola ipotesi del tentativo di reato di cui all’art.

rubrica “indebitamente tentava l’utilizzo della Carta di credito…” come riferentesi
alla circostanza, non realizzatasi in concreto, della riuscita della transazione, che
riteneva ininfluente ai fini della consumazione del reato.
Tale motivazione risulta del tutto convincente, tenuto conto non soltanto del
fatto che nell’enunciazione del titolo di reato contestato non è stato indicato l’art.
56 del cod.pen., ma anche per il fatto che, richiamando la somma oggetto
dell’operazione illecita ascritta (euro 135,00), è evidente che l’imputato aveva
utilizzato la carta di credito in suo possesso per effettuare la transazione – che
presuppone la digitazione dell’importo – poi non andata a buon fine per assenza
di fondi; circostanza effettivamente ininfluente ai fini della consumazione del
reato, secondo l’oramai costante giurisprudenza di legittimità condivisa dal
collegio (Sez. 2, n. 7019 del 17/10/2013, Balestra, Rv. 259004; Sez. 2, n. 45901
del 15/11/2012, Tracogna, Rv. 254358; Sez. 5, n. 16572 del 20/04/2006,
Sabau, Rv. 234460, quest’ultima con particolare riguardo alla consumazione del
reato anche in assenza della necessità di digitare un codice segreto).
Nessun dubbio, inoltre, che, come la Corte correttamente ha rilevato, il reato di
cui all’art. 12 L. n. 143 del 1991, vigente all’epoca dei fatti (accaduti prima
dell’introduzione dell’art.

55 D.L.vo n.

231 del 21.11.2007, dunque

impropriamente richiamato dal ricorrente) fosse di competenza del Tribunale in
composizione monocratica e non collegiale, tenuto conto di quanto previsto dagli
artt. 33-bis e 33-ter cod.pen., che attribuiscono al primo, salvo casi particolari
tra i quali non rientra quello di specie, la competenza a decidere in relazione ai
reati puniti con pena fino a dieci anni di reclusione.
Tale obbiettiva e logica lettura del capo di imputazione risolve la questione sotto
il profilo meramente formale.
Essa, inoltre, si conforma a ciò che risulta essere effettivamente avvenuto sulla
base dell’accertamento di merito.
Vale a dire che l’imputato aveva utilizzato la carta di credito in suo possesso,
precedentemente oggetto di sottrazione al legittimo titolare, introducendola
nell’apparecchio telematico del bar ove avrebbe voluto acquistare una bottiglia di
3

12 L. 143/1991, interpretando l’impropria terminologia contenuta nel testo della

champagne del costo prima indicato, non riuscendo nell’intento per mancanza di
fondi.
Peraltro, dalla motivazione della sentenza impugnata si ha conferma del fatto
che l’operazione era stata effettivamente posta in essere, perché il titolare della
carta aveva ricevuto un SMS sul suo cellulare che lo avvisava della transazione
effettuata con la sua carta di credito prima trafugatagli.
Da tale accusa, sotto il profilo sostanziale – ed in funzione della verifica del pieno

proc. pen. e la regola della necessaria correlazione tra accusa contestata e
sentenza – risulta che l’imputato si era difeso a tutto campo, come emerge, a
tacer d’altro, dal rilievo della Corte secondo cui egli aveva confessato l’addebito
prima del processo al testimone che ne aveva riferito al dibattimento.
2. Siffatta confessione – che il ricorrente censura sotto il profilo della spontaneità
con argomentazioni di puro merito, non verificabili in questa sede e che neanche
risultano essere state prospettate nella loro sede naturale con i motivi di appello
– consente di superare le generiche deduzioni difensive, contenute nel secondo
motivo di ricorso, volte a contestate l’affermazione di responsabilità del
ricorrente; pur a fronte di accertamenti decisivi quali quelli rivenienti dalla
individuazione fotografica dell’imputato da parte del gestore del bar, avvenuta in
fase di indagini, riferita dai testi e non smentita dal diretto interessato (che al
dibattimento non aveva serbato un preciso ricordo della vicenda), nonché dalla
identificazione dell’automobile con la quale l’imputato si era recato al bar
indicato, circostanza alla quale il ricorrente non ha fatto cenno.
L’identificazione dell’autore del furto della carta, come correttamente ha rilevato
la Corte, non aveva alcuna influenza rispetto al fatto di reato commesso dal
ricorrente e per il quale questi è stato ritenuto responsabile.
3. Anche il terzo motivo è infondato.
La recidiva specifica risulta contestata al termine dell’imputazione e si riferisce
ad entrambi i reati; e ciò anche con riguardo alla sua qualificazione, posto che il
reato di cui all’art. 12 L. n. 143 del 1991, era inserito in una legge volta a
sconfiggere fenomeni particolari di riciclaggio, un reato contro il patrimonio posto
a tutela anche di altri oggetti giuridici come l’ordine pubblico economico e la fede
pubblica.
Essa poteva essere calcolata sulla base di una precedente sentenza di
patteggiamento, tenuto conto degli effetti penali di quest’ultima equiparati a
quelli di una sentenza di condanna secondo quanto prevede l’art. 445 cod. proc.
pen. e l’interpretazione giurisprudenziale condivisa dal Collegio (Sez. 3, n. 7939
del 04/06/1998, Dotti Rv. 211684; Sez. 5, n. 1510 del 28/01/1992 Masciulli).

4

esercizio della difesa cui sono ispirate le norme di cui agli artt. 517 e segg. cod.

Tale circostanza aggravante ad effetto speciale (in quanto comportante un
aumento di pena fino alla metà) – non esclusa dai giudici di merito ma ritenuta
dalla Corte di Appello equivalente alle circostanze attenuanti generiche e,
pertanto, da valutare con riguardo al calcolo della prescrizione – non consente di
ritenere maturato il termine prescrizionale alla data odierna, tenuto conto che
esso è pari a nove anni – calcolando la proroga ex art. 161, comma 2 cod. proc.
pen. – ed il reato risulta commesso il 19 settembre del 2007.
4. Quanto alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62

sede, l’ha esclusa riferendosi all’entità “potenziale” del danno, pari ad euro
135,00, al contrario ritenuta tenue dal ricorrente con i motivi di appello, che solo
su questa valutazione prospettica avevano posto la questione, senza tenere
conto che pure la prospettata complessa oggettività giuridica del reato implica
che questo abbia leso la fede della collettività, l’ordine pubblico economico e non
soltanto il patrimonio della persona offesa.
5. Infine, quanto alla invocata applicazione dell’art. 131 bis cod.pen., introdotto
nell’ordinamento penale successivamente alla sentenza impugnata, essa va
esclusa perché la recidiva specifica aumenta il calcolo della pena edittale per il
reato contestato oltre il limite legale previsto dal comma 4 della norma citata per
la concessione del beneficio.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 08.06.2016.
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari
1444

Avm

Il Presi en e
Antonio res9p o

n. 4 cod.pen, la Corte di Appello, con giudizio di merito insindacabile in questa

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA