Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29832 del 13/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29832 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Campanaro Nicola, nato a Nicotera il 17.1.1954, avverso la
sentenza pronunciata dalla corte di appello di Milano il 9.12.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito per il ricorrente, il difensore di fiducia, avv. Angelo
Gioacchino Maria Pagliariello, del Foro di Monza, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 13/03/2015

1. Con sentenza pronunciata il 9.12.2013 la corte di appello di
Milano riformava solo in punto di trattamento sanzionatorio in
senso più favorevole al reo, applicando la diminuzione per il rito

sentenza con cui il tribunale di Monza, in sede di giudizio
abbreviato, aveva condannato Campanaro Nicola alla pena
ritenuta di giustizia in ordine al delitto di cui agli artt. 619, co. 1, e
616, co. 1, c.p., nella forma del tentativo, con riferimento ad un
rilevante quantitativo di corrispondenza, composta sia da posta
destinata al macero, sia da posta non destinata al macero, che il
suddetto imputato, in qualità di addetto al servizio delle poste con
incarico di caposquadra portalettere dell’ufficio di Monza, aveva
trasportato in luogo diverso da quello istituzionalmente destinato
alla eliminazione della posta che poteva essere legittimamente
distrutta, materiale rinvenuto prima che venisse distrutto da una
pattuglia della polizia di Stato, in parte depositato per strada, in
parte ancora contenuto in un autocarro del servizio postale,
condotto dallo stesso Campanaro.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il
Campanaro, a mezzo del suo difensore di fiducia, contestando il
valore di corrispondenza ai fini penali del materiale destinato al
macero, costituito solo da stampe e da inviti diretti ad una
collettività indeterminata di destinatari (le famiglie di Monza),
nonché il vizio di travisamento della prova, con riferimento alle
dichiarazioni del teste Scutiero, le cui dichiarazioni riportate
nell’annotazione di servizio cui fa riferimento la corte territoriale
(“diciamo che è quasi tutta posta intestata pubblicitaria, ma,

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abbreviato scelto dall’imputato, non disposta in primo grado, la

porca miseria, questa no, andava in consegna e non è mai andata
neanche come primo tentativo”), non si ritrova nel verbale di
sommarie informazioni rese dallo stesso il 17.1.22007, che il
ricorrente ha allegato, unitamente alle dichiarazioni di Mariani

tutte che smentiscono la ricostruzione accusatoria.
Inoltre il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, rilevando
come il riconoscimento della recidiva non possa trovare
giustificazione, tenuto conto che l’unico precedente penale del
Campanaro (per furto) risale al 1999, data a partire dalla quale
quest’ultimo non si è dedicato al crimine, ma ha lavorato come un
buon padre di famiglia e si è applicato con molto impegno allo
svolgimento delle mansioni di capo sala portalettere, motivo per il
quale le circostanze attenuanti generiche andrebbero riconosciute
in favore dell’imputato, con giudizio di prevalenza, ed al predetto
andrebbe concesso anche il beneficio della sospensione
condizionale della pena, profilo, quest’ultimo, sul quale la corte
territoriale non si è pronunciata, pur avendo formato oggetto di
uno specifico motivo di impugnazione in appello.
3. Il ricorso non può essere accolto.
4.

Un primo quesito da risolvere attiene alla definizione del

significato da attribuire al termine “corrispondenza”, che
costituisce l’oggetto della condotta illecita di cui all’art. 616, co. 1,
c.p., contestata, sub specie della “distruzione”, all’imputato, nella
sua qualità di addetto al servizio delle poste, giusto il disposto
dell’art. 619, c.p.
Il difensore del ricorrente, partendo da una ricostruzione dei fatti
parzialmente difforme da quella fatta propria dalla corte

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Monica e di Chiarenti Gabriele, addetti alla cartiera, dichiarazioni

territoriale, evidenzia come il materiale cartaceo oggetto della
menzionata condotta illecita, con particolare riferimento alle
“stampe sottofascia indirizzata da recapitare già ripartita” ed agli
“invii non indirizzati della società The Place diretti alle famiglie di

corrispondenza, nozione, quest’ultima, che non può essere
attribuita non solo alle espressioni di pensiero destinate a
rimanere nella sfera personale del soggetto che le compie, ma
anche a quelle espressioni di pensiero destinate a uscire dalla
sfera personale del soggetto che le compie per trasferirsi nella
sfera conoscitiva non di uno o più soggetti determinati, ma di una
collettività indeterminata di persone.
Le stampe, dunque, non rientrerebbero, ad avviso del ricorrente,
nella nozione di corrispondenza epistolare definita dall’art. 19,
reg. post. 18 aprile 1940, n. 689, come “qualsiasi invio fornito
d’indirizzo contenente comunicazioni con carattere attuale e
personale”
Orbene, a prescindere dal fatto che, come evidenziato dalla corte
territoriale, tra i documenti destinati al macero, come rilevato
dallo Scutiero, responsabile del controllo postale, in presenza
dell’agente di polizia locale Calò Davide (cfr. pp. 1 e 4 della
sentenza impugnata), vi era anche della posta da consegnare
nella misura di quaranta chilogrammi, la cui natura di
corrispondenza epistolare non appare revocabile in dubbio, ritiene
il Collegio che, ove anche si volesse condividere la ricostruzione in
punto di fatto prospettata dal ricorrente, riconoscendo che
quest’ultimo ha tentato di mandare al macero “solo delle stampe”,
in ogni caso non se ne potrebbe condividere la conclusione offerta
in punto di diritto, dovendosi affermare la natura di

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Monza”, sia costituito solo da stampe, non qualificabili come

corrispondenza epistolare anche del materiale cartaceo innanzi
indicato, sia pure con alcune precisazioni.
Ed invero premesso che il delitto previsto dall’art. 616, co. 1, c.p.,
è stato configurato dal Legislatore come un reato a condotte

delle possibili manifestazioni della corrispondenza previste dallo
stesso art. 616, co. 4, c.p. (le altre sono quella telegrafica,
telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni
altra forma di comunicazione a distanza), sarebbe riduttivo, oltre
che contrario alla stessa lettera della legge, ritenere la
disposizione in questione dettata esclusivamente a tutela del
segreto epistolare, dovendosi, piuttosto, ritenere che l’oggetto
della protezione apprestata dall’ordinamento sia rappresentato
dalla corrispondenza in quanto tale, da intendere, con la migliore
dottrina, come una particolare forma di comunicazione, della
quale rappresenta il profilo statico, vale a dire la materializzazione
del pensiero su di un supporto fisico.
L’art. 616, co. 1, c.p., infatti, sanziona le condotte di violazione,
sottrazione e soppressione non solo quando hanno ad oggetto
una corrispondenza “chiusa”, nel qual caso esse vulnerano in
maniera evidente anche il segreto epistolare, ma pure quando il
loro oggetto è costituito da una corrispondenza “aperta”, come,
per l’appunto, nel caso di distruzione o soppressione, condotte,
queste ultime, che assumono rilevanza penale per il semplice
fatto di avere ad oggetto una corrispondenza, chiusa o aperta che
sia, e non soltanto, come pretenderebbe il ricorrente, quando
incidono su di una corrispondenza protetta da una busta chiusa
(cfr. p. 5 del ricorso).

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alternative e che la comunicazione epistolare rappresenta una

In questa prospettiva interpretativa la “distruzione” della
corrispondenza lede il principale ed immediato oggetto della
protezione giuridica, individuabile non nel segreto eventualmente
affidato alla corrispondenza, ma, piuttosto, nell’interesse e

recapito della corrispondenza medesima, indipendentemente dalla
natura della comunicazione in essa contenuta, trovando conferma
tale valutazione conclusiva alla stregua della disciplina positiva dei
reati configurati negli artt. 619 e 620, c.p.
Ciò posto, occorre a questo punto verificare se le stampe
rientrano nella nozione di “corrispondenza” il cui effettivo recapito
rappresenta, come già detto, l’oggetto principale ed immediato
della tutela apprestata dall’art. 616, co. 1, c.p.
La risposta a tale quesito, ad avviso del Collegio, non può che
essere positiva.
Il dato normativo (art. 18 del Codice postale – Regolamento del
1940), infatti, include nella “denominazione di corrispondenza”
anche le stampe, la cui ispezione è ammessa per fini di verifica di
corretta applicazione della tariffa agevolata: tale ambito di
definizione è ribadito e precisato anche nel regolamento adottato
con d.p.r. 29/05/1982, n. 655, che, nell’art. 24, considera
“corrispondenza epistolare qualsiasi invio chiuso, ad eccezione dei
pacchi, e qualsiasi invio aperto che contenga comunicazioni aventi
carattere attuale e personale”.
Orbene, come è stato puntualmente rilevato, da un condivisibile
arresto del Supremo Collegio, i canoni esplicativi dei requisiti della
corrispondenza epistolare richiamati nell’art. 24 del d.p.r. n. 655
del 1982 (della attualità e della personalità) sono riscontrabili
anche nell’inoltro di stampe.

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nell’aspettativa del mittente, come del destinatario, all’effettivo

L’evidente individuazione di specifici destinatari, infatti, qualifica,
come nel caso in esame, il carattere personale delle stampe
soppresse dall’imputato; mentre le modalità della riproduzione “a
stampa” del contenuto delle comunicazioni inoltrate non

riconducibili ad irrilevanti esigenze rappresentative dello stesso
contenuto, ripetuto nei confronti di una pluralità di soggetti
interessati alla relativa comunicazione, anche quando siano
discrezionalmente individuati o prescelti dal mittente (cfr. Cass.,
sez. V, 10.12.2004, n. 14552, rv. 231429)
Può, dunque, concludersi che, quanto meno con riferimento alle
“stampe sottofascia indirizzata da recapitare già ripartita”, la
condotta dell’imputato sia riconducibile al paradigma normativo di
cui all’art. 616, co. 1, c.p., rientrando, per le ragioni già esposte,
le stampe, che avrebbero dovuto essere recapitate ad indirizzi e,
quindi, a destinatari già individuati, nella nozione di
corrispondenza epistolare penalmente rilevante, il cui effettivo
recapito rappresenta l’oggetto della tutela giuridica apprestata in
via immediata e diretta dall’art. 616, c.p., a prescindere dalla
circostanza che le stampe fossero o meno contenute in una busta
chiusa.
Tale conclusione rende del tutto irrilevanti i rilievi difensivi sulla
infondatezza delle dichiarazioni dello Scutiero sulla presenza di
altra corrispondenza mandata al macero, che avrebbe dovuto
essere recapitata.
Del resto lo stesso Scutiero nel verbale di sommarie informazioni
rese il 17.12.2007, allegato al ricorso, ha precisato che nella
corrispondenza destinata al macero vi erano “stampe non

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escludono la correlativa attualità per i singoli destinatari, ma sono

periodiche (corrieri di sottofascia) che doveva essere
regolarmente recapitata.
5. Infondati devono ritenersi anche i motivi attinenti alla
determinazione del trattamento sanzionatorio.

del riconoscimento della recidiva nella circostanza che la condotta
criminosa del colpevole, valutata anche alla luce della precedente
condanna per il reato di furto subita, dimostra “un reiterato ed
inquietante disprezzo per i diritti e le aspettative altrui in ordine ai
beni materiali”, da parte del Campanaro, che giustifica un giudizio
in termini di “più intenso disvalore criminale dell’azione”
imputabile al ricorrente.
Si tratta di una valutazione, rispetto alla quale i rilievi difensivi
appaiono inammissibili perché incentrati su profili di merito, che
non possono essere prospettati in questa sede di legittimità, che
legittima anche il mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, in ordine alle quali la corte territoriale
evidenzia anche la mancanza di elementi positivi di segno
contrario, e del beneficio della sospensione condizionale della
pena, negato con motivazione implicita, ma non per questo meno
chiara.
Ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti generiche,
infatti, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed
atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché
anche un solo elemento, attinente alla capacità a delinquere del
colpevole, quale l’esistenza di un precedente penale rilevante ai
fini del riconoscimento della recidiva, può essere sufficiente in tal

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La corte territoriale ha individuato le ragioni che militano a favore

senso (cfr. Cass., sez. IV, 29/01/2014, n. 8093; Cassazione
penale, sez. H, 07/12/1985, Ganci)
Infine, poiché compete al giudice, nell’esercizio del potere-dovere
di verificare, alla stregua dei criteri previsti dalla norma

concessa, l’impossibilità di formulare un giudizio favorevole sulla
prognosi che l’imputato si asterrà per l’avvenire dal commettere
ulteriori reati, può ben formare oggetto di una motivazione
implicita, quando risulta evidente che tale prognosi sia smentita,
come nel caso in esame, proprio dal giudizio negativo formulato
dal giudice sulla capacità a delinquere e sulla pericolosità sociale
del reo.
6. Il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con
condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13.3.2015.

sostanziale, se la sospensione condizionale possa o meno essere

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