Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29831 del 13/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29831 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
La Greca Marco, nato a Eboli il 13.9.1978, avverso la sentenza
pronunciata dal tribunale di Vallo della Lucania il 25.2.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale

dott.

Mario

Fraticelli,

che

l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO

ha

concluso

per

Data Udienza: 13/03/2015

1. Con sentenza pronunciata il 25.2.2014 il tribunale di Vallo della
Lucania confermava, in qualità di giudice di appello, la sentenza
con cui il giudice di pace di Vallo della Lucania, in data
10.10.2012, aveva condannato La Greca Marco alla pena ritenuta

ordine al delitto di cui all’art. 612, c.p., commesso in danno dello
zio La Greca Aldo.
2. Avverso la sentenza del tribunale, di cui chiede l’annullamento,
ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il La Greca Marco,
a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Raffaele De Simone, del
Foro di Napoli, lamentando violazione di legge e vizio di
motivazione, in quanto, da un lato, in violazione dell’art. 420 ter,
c.p.p., il tribunale non comunicava al difensore di fiducia
dell’imputato l’avviso contenente la data del rinvio della
trattazione del giudizio di appello all’udienza del 25.2.2014, in cui
veniva pronunciata la sentenza impugnata, rinvio disposto alla
precedente udienza del 22.10.2013, per legittimo impedimento
del difensore, che, quindi, era stato senza sua colpa assente alla
successiva udienza, senza avere nemmeno provveduto alla
nomina di un sostituto processuale, dall’altro alla mancata
applicazione del disposto dell’art. 34, d.lgs. n. 274 del 2000, in
tema di inoffensività della condotta, profilo assolutamente non
considerato dal giudice di pace.
3. Il ricorso non può essere accolto, per infondatezza dei motivi
che lo sostengono.
4. Ed invero, con riferimento al primo motivo di ricorso, ne va
rilevata l’infondatezza, in quanto, come si evince dagli atti ed, in
particolare dal verbale di udienza del 22.10.2013, consultabile in
questa sede di legittimità, essendo stato dedotto un

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error in

di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in

procedendo,

la data del rinvio alla successiva udienza del

25.2.2014 era contenuta nell’ordinanza di cui veniva data lettura
alla suddetta udienza del 22.10.2013, in presenza del difensore di
ufficio, nel frattempo nominato, ai sensi dell’art. 97, co. 4, c.p.p.,

difensore di fiducia.
Reso, pertanto, edotto della data del rinvio il difensore di ufficio,
nessuna violazione del diritto di difesa può essere invocata da
parte del difensore di fiducia, non essendovi, in questo caso,
nessun obbligo a carico dell’autorità giudiziaria procedente di
informare della data del disposto rinvio il difensore di fiducia
dell’imputato, assente per legittimo impedimento e, per tale
ragione, sostituito da un difensore di ufficio.
Come affermato, infatti, da un condivisibile orientamento,
prevalente nella giurisprudenza di legittimità, il difensore che
abbia ottenuto la sospensione o il rinvio dell’udienza per legittimo
impedimento a comparire, ha diritto all’avviso della nuova udienza
solo quando non ne sia stabilita la data già nella ordinanza di
rinvio, posto che, nel caso contrario, l’avviso è validamente
recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato
in sostituzione, ai sensi dell’art. 97, co. 4, c.p.p., il quale esercita i
diritti ed assume i doveri del difensore sostituito e nessuna
comunicazione è dovuta a quest’ultimo (cfr. Cass., sez. II,
5.12.2013, n. 51427, rv. 258065; Cass. sez. VI, 9.5.2014, n.
20398, rv. 261478).
5. Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Al riguardo va osservato che la previsione contenuta nell’art. 34
d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 attribuisce al giudice il poteredovere di chiudere il procedimento, sia prima che dopo l’esercizio

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per sopperire all’assenza, per legittimo impedimento, del

dell’azione penale, quando il fatto incriminato risulti di “particolare
tenuità”, rispetto all’interesse tutelato.
Ai fini dell’applicazione di tale causa di improcedibilità, la
particolare tenuità del fatto deve essere appezzata per mezzo di

gli elementi normativamente indicati, che si individuano
nell’esiguità del danno o del pericolo, nell’occasionalità della
condotta, nel basso grado di colpevolezza e nell’eventuale
pregiudizio sociale per l’imputato, avuto riguardo non alla
fattispecie astratta di reato, ma a quella concretamente realizzata
(cfr. Cass., sez. IV, 28/04/2006, n. 24249, rv. 234416; Cass.,
sez. IV, 28/04/2006, n. 24387, rv. 234577; Cass., sez. IV,
10/07/2008, n. 38004).
Tanto premesso non può non rilevarsi come la pronuncia del
tribunale sul motivo di appello volto a far valere l’inoffensività
della condotta del reo, incentrata sulla natura oggettivamente
minacciosa della locuzione “ti taglio la testa”, rivolta dall’imputato
allo zio, non sembra perfettamente consona all’indagine che il
giudice di merito deve svolgere al fine dell’applicazione della
menzionata causa di non punibilità; tuttavia tale sfasatura trova
giustificazione nell’avere interpretato il motivo di appello sul
punto, come volto a contestare l’insussistenza di una vera e
propria minaccia (cfr. p. 2 della sentenza oggetto di ricorso).
In ogni caso quel che più conta è che il motivo di appello si
presentava assolutamente generico e, quindi, essendo viziato da
inammissibilità originaria, non meritevole di specifica risposta da
parte del tribunale (cfr. Cass., sez. III, 25.11.2014, n. 10709, rv.
262700), proprio perché con esso l’appellante si limitava ad
indicare l’improcedibilità come scelta opportuna per non

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un giudizio sintetico sul fatto concreto, elaborato alla luce di tutti

compromettere i rapporti familiari tra zio (persona offesa) e
nipote (imputato), evidenziando come il giudice di primo grado si
sarebbe assunto arbitrariamente la responsabilità di condannare,
il La Greca, così “contribuendo a far inriplodere definitivamente

In tal modo l’appellante si è soffermato solo sul profilo del,
peraltro eventuale, pregiudizio sociale che l’imputato avrebbe
patito, senza soffermarsi, se non in termini assolutamente
apodittici e, per l’appunto, generici (come, del resto, avvenuto
anche nei motivi di ricorso), sulla sussistenza degli altri elementi
normativamente previsti, ed in particolare della esiguità del danno
dell’interesse protetto dalla norma penale, in relazione alla
minaccia proferita; minaccia, che si badi bene, non può ritenersi
“esigua” sol perché il giudice di primo grado, ai fini della
determinazione del trattamento sanzionatorio, ha ritenuto i fatti
per cui si è proceduto di non particolare rilevanza, in quanto ciò
che si richiede per l’applicazione della causa di improcedibilità di
cui si discute è la dimostrazione in positivo della “particolare
tenuità” del fatto, che non si identifica in un fatto non
particolarmente grave, ma, appunto, in un fatto particolarmente
tenue, tale da cioè, da arrecare in misura minima, quasi
insignificante, la lesione del bene giuridico protetto dalla norma
violata.
6. Il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con
condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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una dinamica familiare già ex se compromessa”.

Così deciso in Roma il 13.3.2015.

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