Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29830 del 08/06/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29830 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• GIULIVI Anna Maria nata a Perugia il 15/07/1960
avverso la sentenza emessa in data 11/11/2014 della Corte di Appello di Ancona
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona . del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio delle
sentenze di primo e secondo grado per nullità dei giudizi.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 11/11/2014 la Corte di Appello di Ancona confermava la
decisione emessa 1’11/05/2012 dal Tribunale di Ascoli Piceno – sez. distaccata di
San Benedetto del Tronto, con la quale Giulivi Anna Maria era stata condannata
alla pena di due anni, due mesi di reclusione ed C 800,00 di multa perché
ritenuta responsabile dei reati di truffa in danno di Lucchetti Giancarlo e di
ricettazione di un assegno postale, di origine furtiva, intestato a Cisbani Nicola
Andrea.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Giulivi tramite il
difensore di fiducia, sulla base di cinque motivi:
nullità di ordine assoluto del decreto di irreperibilità (violazione degli artt.
159 e 178 lett. c in relazione all’art. 606 lett. c cod. proc. pen) per

Data Udienza: 08/06/2016

l’approssimazione delle ricerche a base del provvedimento emesso dal P.M. il
7/12/2010;

violazione dell’art. 160 commi 1 e 2 cod. proc. pen. in riferimento alla
mancata emissione del decreto di irreperibilità necessario a perfezionare la
notifica dell’estratto contumaciale delle sentenza di primo grado presso il
difensore di ufficio; omessa notifica dell’estratto contumaciale all’imputato;
conseguente violazione dell’art. 178 lett. c) cod. proc. pen. in relazione

erronea applicazione della legge penale per errata qualificazione giuridica del
fatto come ricettazione anziché furto, in violazione dell’art. 521 comma 1
cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 648 e 624 cod. pen;

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione delle sentenza di
appello risultante dal testo del provvedimento impugnato ex art. 606 lett. e)
cod. proc. pen. in relazione all’individuazione degli elementi costitutivi della
ricettazione;

violazione ed errata applicazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen. in relazione
all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ precluso l’esame del primo motivo di ricorso perché non proposto in
appello.
In base all’orientamento di questa Corte infatti in tema di ricorso per cassazione,
la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609,
comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in
cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di
questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non
sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua ratio nella
necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione
della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non
investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di
gravame (Cass. Sez. 4^, sent. n. 10611 del 04/12/2012, dep. 07/03/2013, Rv.
256631).
Nel caso di specie la ricorrente ha dedotto – per la prima volta, appunto, in
cassazione – l’esistenza di vizi del decreto d’irreperibilità relativi al primo grado
di giudizio, sostenendo – peraltro genericamente – l’approssimazione delle
ricerche a tal fine espletate.

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all’art. 606 lett. c) cod. proc. pen;

Non considera tuttavia che, a seguito del reperimento presso il domicilio in Porto
San Giorgio ove il decreto di citazione in appello è stato ritualmente notificato,
ha perso lo status di irreperibile, e che nell’impugnazione proposta non ha
prospettato alcuna violazione relativa alla sua partecipazione al processo, con
conseguente compressione del diritto di difesa; nell’atto di appello infatti ha
articolato esclusivamente motivi di merito.
Se è vero pertanto – in termini generali – che le ricerche necessarie ai fini

cumulativamente in tutti i luoghi indicati dall’art. 159 cod. proc. pen. derivando,
diversamente, la nullità assoluta del decreto di irreperibilità e delle conseguenti
notificazioni, se attinenti alla citazione dell’imputato, è altresì indubbio che tale
nullità è comunque sanata quando la parte ha accettato gli effetti dell’atto ai
sensi dell’art. 183 lett. a) cod. proc. pen. partecipando al giudizio di appello
tramite il difensore, dopo aver ricevuto regolarmente presso il proprio domicilio
la notifica del relativo decreto di citazione, svolgendo difese di merito ed
omettendo qualsiasi rilievo in ordine alla regolarità del provvedimento che la
dichiarava irreperibile per il precedente grado di giudizio.
2. L’esame degli atti rivela l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso
con il quale si lamenta la mancata emissione del decreto di irreperibilità
necessario a perfezionare la notifica all’imputato dell’estratto contumaciale delle
sentenza di primo grado.
Non considera infatti la ricorrente che l’estratto contumaciale risulta
regolarmente notificato a mezzo del servizio postale in data 31/08/2012 presso il
suo domicilio in Porto San Giorgio al civico 72 di via Fratelli Rosselli, dove ella
effettivamente domiciliava come si deduce dall’attestazione dell’agente postale;
inoltre presso tale indirizzo la Giulivi, che ivi si trovava ristretta in regime di
detenzione domiciliare, ha ricevuto poco tempo dopo la notifica del decreto di
citazione in appello.
Nel caso di specie, dunque, la notizia del domicilio della Giulivi e la regolare
notifica dell’estratto contumaciale hanno escluso – attesa, appunto, la sua
reperibilità – la necessità di nuove ricerche, ai fini dell’eventuale emissione di un
nuovo decreto di irreperibilità, attesa l’inefficacia di quello in precedenza emesso
ai sensi dell’art. 160, secondo comma cod. proc. pen.
3. Sono fondati invece il terzo ed il quarto motivo di ricorso relativi alla
qualificazione giuridica del reato di ricettazione di cui al capo B) presentando sul
punto la motivazione evidenti profili di contraddittorietà.

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dell’emissione del decreto di irreperibilità devono essere eseguite

Indubbiamente le risultanze processuali consentono di ritenere accertata una
duplice circostanza in fatto: il possesso illecito dell’assegno da parte della Giulivo
e l’illegittimo uso del titolo (la stessa ricorrente non solleva censure a riguardo,
incentrando i motivi in esame esclusivamente sulla configurabilità del delitto di
ricettazione sulla base della suddetta condotta).
La corte territoriale ha sostenuto che secondo le dichiarazioni testimoniali del
Cisbani – ritenute precise e coerenti – la Giuliani si impossessò del carnet di
assegni dal quale era stato staccato il titolo in oggetto, approfittando del

Sembra quindi che la ricorrente sia stata responsabile della sottrazione,
escludendosi – di conseguenza – la provenienza del possesso da altra fonte,
conclusione contrastante con l’affermata conferma della condanna per
ricettazione.
La contraddizione interna al percorso argomentativo del giudice di appello ha
una rilevanza più ampia, ravvisandosi una discordanza nella valutazione della
testimonianza del teste nelle due pronunce di merito.
La sentenza di primo grado riporta infatti (pag. 8) che il Cisbani riferì “che
l’imputata aveva abitato insieme ad un’amica per diverso tempo in un
appartamento di sua proprietà, così da poter avere nella circostanza agevole
accesso alla copia del contratto di locazione e ad altri documenti d’identità
recanti la sua firma”, senza alcun riferimento al carnet di assegni (risultando
altresì inverosimile che esso si trovasse presso un luogo nella disponibilità di
terzi).
La pronuncia di appello aggiunge quindi un dato rilevante e determinante ai fini
della qualificazione giuridica della fattispecie (la sottrazione del carnet dalla casa
del Cisbani dove la Giuliani abitava temporaneamente) senza indicare gli
elementi di prova a base di tale conclusione, estranea al ragionamento del
tribunale, secondo cui – al contrario – doveva ritenersi acquisita la prova della
consapevolezza da parte dell’imputata della ricezione di una cosa proveniente da
delitto (pag.9).
La sentenza impugnata va pertanto annullata limitatamente alla qualificazione
giuridica del fatto contestato sub B) con conseguente rinvio ad altro giudice di
appello perché provveda a riguardo, dando adeguatamente conto della
valutazione del quadro probatorio in relazione alla fattispecie normativa di
riferimento, con eventuale rideternninazione del trattamento sanzionatorio.
4. Per tale aspetto – ed in relazione all’ultimo motivo di ricorso che attiene al
diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. – deve rilevarsi che la

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possesso delle chiavi dell’abitazione del teste (pag. 5 della sentenza impugnata).

motivazione risulta del tutto congrua, avendo la corte territoriale tenuto conto
degli elementi di fatto che ne giustificavano l’esclusione e, in particolare
dell’importo dell’assegno (C 4.850,00) in conformità con l’indirizzo
giurisprudenziale secondo cui l’attenuante ex art. 62, n.4 cod. pen. ricorre solo
quando il danno patrimoniale subito dalla parte offesa come conseguenza diretta
e immediata del reato sia di valore economico pressoché irrilevante (Cass. sez.
2, sent. n. 15576 del 20/12/2012 – dep. 04/04/2013 – Rv. 255791).
Il motivo è pertanto infondato.

al capo A), attesa la mancanza di motivi – diversi da quelli processuali esaminati
in precedenza – relativi alla conforme affermazione di responsabilità sul punto.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica del
fatto contestato al capo B) con rinvio alla Corte di Appello di Perugia anche per
eventuale rideterminazione della pena.
Dichiara nel resto inammissibile il ricorso e definitiva l’affermazione della
responsabilità della ricorrente per il reato di truffa di cui al capo A).

Così deciso in Roma il giorno 8 giugno 2016

Il Consigliere estensore

Il Presid t

5. Il ricorso deve essere infine dichiarato inammissibile per il reato di truffa di cui

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