Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29829 del 13/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29829 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pedercini Liliana, nata a Milano il 23.1.1960, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Milano il 4.3.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito per la parte civile costituita, il difensore di fiducia, avv.
Raffaella De Vico, del Foro di Roma, che ha concluso per la
conferma della sentenza impugnata, depositando conclusioni
scritte e nota spese.

Data Udienza: 13/03/2015

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 4.3.2014 la corte di appello di

Milano, in data 29.3.2013, aveva condannato Pedercini Liliana alla
pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da
reato in ordine ai delitti di cui agli artt. 81, cpv., 582, 585, 594,
612, c.p., commessi in danno di Pannuccio Domenica,
rideterminava, su appello del pubblico ministero, in senso più
sfavorevole all’imputata il trattamento sanzionatorio, rigettando,
invece, l’appello proposto dalla Pedercini.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione la
Pedercini, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Alberto
Maraschi, del Foro di Milano, lamentando: 1) manifesta
contraddittorietà della motivazione nella parte in cui attribuisce
all’imputata l’uso di un’arma impropria (un taglierino), nonostante
tale circostanza non abbia trovato conferma in sede di istruttoria
dibattimentale, i cui esiti hanno, invece, evidenziato che tra la
ricorrente e la persona offesa si sviluppò una colluttazione a mani
nude; 2) erronea applicazione della circostanza aggravante di cui
all’art. 585, c.p., in sede di trattamento sanzionatorio,
determinato senza specificare la misura della pena base e degli
aumenti conseguenti al riconoscimento della suddetta aggravante
e della disciplina del reato continuato; 3) violazione dell’art. 539,
co. 2, c.p.p., in considerazione della entità della somma
riconosciuta a titolo di provvisionale dai giudici di merito nella
misura di 10.000,00 euro, ritenuta abnorme, tenuto conto che
l’unico danno di cui la parte civile ha dato prova è rappresentato

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Milano, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di

da una malattia di dieci giorni, riconosciuta dai medici del Pronto
Soccorso.
3. Con memoria depositata in udienza il difensore della costituita
parte civile Pannuccio Domenica, chiede che il ricorso sia

proprio assunto.
3. Il ricorso non può essere accolto.
4.

Ed invero, inammissibile, deve ritenersi il primo motivo di

ricorso, in quanto con esso il ricorrente ha esposto censure che si
risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza
individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di
ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali,
precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. I,
16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n.
36546, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, rv.
235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera della
I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente
unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice
di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e

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dichiarato inammissibile, illustrando le ragioni a sostegno del

valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256, rv.
234148).
La corte territoriale, peraltro, con motivazione approfondita ed
immune da vizi, ha evidenziato come l’uso di un taglierino sia

credibilità personale ed intrinseca attendibilità delle relative
dichiarazioni la ricorrente non ha formulato specifiche censure,
confortata da alcuni riscontri obiettivi – pur non necessari, ma
opportuni, in ragione dell’avvenuta costituzione di parte civile, in
quanto, come è noto, le regole dettate dall’art. 192, comma 3,
c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le
quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato (cfr. Cass.,
sez. un., 19/07/2012, n. 41461, rv. 253214) – rappresentati dal
contenuto della deposizione del testimone oculare Perduca, il
quale ha affermato di avere visto l’imputata “impugnare
qualcosa”, e dal rinvenimento, sul luogo dei fatti, da parte degli
agenti operanti di un manico di taglierino (cfr. pp. 6-7- della
sentenza oggetto di ricorso).
2. Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso.
Al riguardo si osserva che, come affermato dall’orientamento
prevalente nella giurisprudenza di legittimità, condiviso dal
Collegio, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo
edittali rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è
insindacabile in sede di legittimità, qualora il giudice abbia
adempiuto all’obbligo di motivazione, il quale, però, si attenua nel
caso in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor di più,
nel caso in cui la pena sia applicata in misura prossima al minimo,
in tal caso bastando anche il richiamo a criteri di adeguatezza, di

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dimostrato dalla narrazione della persona offesa, sulla cui

equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art.
133 c.p., tanto più se si consideri che l’applicazione del minimo
edittale non è correlata a un diritto assoluto dell’imputato. (cfr.
Cass., sez. IV, 25/09/2007, n. 44766, G.).

tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta, in una
fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (cfr. Cass., sez. IV,
14/07/2010, n. 36358, T.V.; Cass., sez. IV, 05/11/2009, n. 6687,
C. e altro; Cass., sez. III, 08/10/2009, n. 42314, E.).
Tali principi in tema di motivazione sulla entità del trattamento
sanzionatorio, come da tempo affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, si applicano anche nell’ipotesi di quantificazione della
pena in sede di applicazione della disciplina della continuazione
(cfr. Cass., sez. I, 14/02/1997, n. 1059, Gagliano).
Orbene, nel caso in esame, la corte territoriale, che è intervenuta
su impugnazione del pubblico ministero, di cui ha condiviso la
censura sulla eccessiva mitezza della condanna inflitta all’imputata
in primo grado, se rapportata alla gravità del fatto, ha fissato in
dieci mesi di reclusione la pena finale, ritenendola “congrua”
rispetto alla capacità a delinquere dell’imputata, desunta da una
serie di indici sintomatici, specificamente indicati, attinenti alla
gravità della condotta posta in essere dalla Pedercini in danno
della Pannuccio (cfr. p. 7 della sentenza oggetto di ricorso).
Tenuto conto che la pena inflitta in primo grado alla ricorrente era
stata determinata nella misura di sette mesi di reclusione,
partendo, in applicazione della disciplina della continuazione, da
una pena-base di dieci mesi di reclusione, per il delitto di lesione
personale volontaria aggravata, aumentata di giorni venti di
reclusione, in relazione al delitto di cui all’art. 612, c.p., e di

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Pertanto non è nemmeno necessaria una specifica motivazione

ulteriori dieci giorni per il concorrente delitto di ingiuria, appare
evidente che l’inasprimento del trattamento sanzionatorio è stato
talmente contenuto ed al di sotto del limite massimo di aumento
della pena consentito dalla circostanza aggravante di cui all’art.

una specifica motivazione, che, peraltro, la corte territoriale, come
si è detto, ha rigorosamente fornito.
D’altro canto, come affermato dal costante insegnamento della
Suprema Corte, in tema di determinazione della pena nel reato
continuato, da un lato non sussiste l’obbligo di specifica
motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati satellite,
valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione
della pena-base (cfr., ex plurimis, Cass., sez. II, 21.11.2014, n.
4707, rv. 262313); dall’altro l’aumento per la continuazione
operato sul reato più grave (e quindi sulla pena base) può essere
determinato anche in termini cumulativi, senza che sia necessario
indicare specificamente l’aumento di pena correlato a ciascun
reato satellite, non previsto dalla vigente normativa (cfr. Cass.,
sez. V, 13.1.2011, n. 7164, rv. 249710), per cui non dà luogo a
nessuna nullità l’aumento di pena per i reati satelliti determinato
in termini unitari e complessivi, e non distintamente, in relazione
a ciascuna delle violazioni (cfr. Cass., sez. II, 21.1.2015, n. 4984,
rv. 262290).
Identiche considerazioni valgono anche per la quantificazione
dell’aumento di pena imposto dalla riconosciuta sussistenza della
circostanza aggravante innanzi indicata.
Ed invero la graduazione della pena, anche in relazione agli
aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti
ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito,

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585, c.p. e dalla disciplina della continuazione, da non richiedere

che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai
principi enunciati negli artt. 132 e 133, c.p.,; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad
una nuova valutazione della congruità della pena la cui

illogico e sia sorretta, come nel caso in esame, da sufficiente
motivazione (cfr. Cass., sez. V, 30.9.2013, n. 5582, rv. 259142).
Peraltro, come sottolineato dal Supremo Collegio in un
condivisibile arresto, l’eventuale violazione della disposizione che
regola gli aumenti o le diminuzioni di pena in caso di concorso di
circostanze aggravanti dà luogo ad una mera irregolarità che non
vizia quindi la sentenza, se la pena irrogata, come nel caso in
esame, resta nei limiti di legge e non emerge l’inosservanza delle
norme che provvedono alla quantificazione della pena (cfr. Cass.,
sez. II, 17.4.2009, n. 27114, rv. 244788).
3. Inammissibile, infine, appare il terzo motivo di ricorso, in
quanto, per giurisprudenza assolutamente costante del Supremo
Collegio, non è deducibile con il ricorso per cassazione la
questione relativa alla pretesa eccessività della somma di denaro
liquidata a titolo di provvisionale (cfr. Cass., sez. IV, 23/06/2010,
n. 34791, rv 248348).
6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto
nell’interesse della Pedercini va, dunque, rigettato, con condanna
della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle
spese del procedimento, nonché alla rifusione, in favore della
parte civile costituita delle spese del presente giudizio di
legittimità, che, ai sensi del decreto del Ministro della Giustizia 20
luglio 2012 n. 140, “Regolamento recante la determinazione dei
parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale

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determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento

dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero
della giustizia”, si fissano in complessivi euro 2457,00, di cui euro
2000,00 per onorario, oltre spese e accessori come per legge.
P.Q.M.

spese processuali e al rimborso delle spese in favore della parte
civile, liquidate in complessivi euro 2457,00, di cui euro 2000,00
per onorario, oltre spese e accessori come per legge
Così deciso in Roma il 13.3.2015.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle

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