Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29816 del 06/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29816 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FARRIS COSTANTINO N. IL 18/08/1939
avverso la sentenza n. 1270/2013 CORTE APPELLO di CAGLIARI,
del 18/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO TUTINELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Klito VRA-ife.k.:(A A ‘
che ha concluso per a AA
Gut n -e,a,c3.3

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 06/04/2016

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 18 giugno 2015, la Corte di appello di Cagliari ha
confermato la dichiarazione di penale responsabilità di FARRIS Costantino già
resa dal Tribunale di Cagliari in data 25 maggio 2013.
La contestazione aveva oggetto il delitto di ricettazione di 10 pecore
denunciata come rubata da parte di CORDA Efisio in data 30 novembre 2015.
2. A fondamento della propria decisione la Corte ha posto il diretto
riconoscimento da parte del derubato delle pecore nonché la peculiarità che le

pone il codice identificativo che invece veniva ritrovato all’interno della coscia
delle stesse. Quale riscontro ulteriore, la Corte richiama il fatto che, nel gregge
esaminato, sono stati trovati ulteriori bovini oggetto di ulteriori precedenti furti.
A riscontro del riconoscimento, la Corte e richiamato anche le dichiarazioni del
teste FALCHI in ordine alla oggettiva possibilità di riconoscimento dell’animale da
parte del proprietario nonché il fatto che l’imputato non è stato in grado di
dimostrare la legittima provenienza dei capi né il motivo del taglio apportato alle
orecchie.
3. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l’imputato
lamentando violazione di legge e insufficienza della motivazione in ragione della
superficiale valutazione della testimonianza resa dal denunciante, della necessità
di valutare con maggiore spirito critico le dichiarazioni medesime, delle
contraddizioni del denunciante durante l’esame in ordine al fatto di aver visto le
pecore prima nell’ovile del FARRIS e poi nell’ovile del coimputato MELE, del
carattere parziale della valutazione della testimonianza FALCHI in ordine al fatto
che l’assoluta certezza di riconoscimento poteva aggiungersi solo col test del
DNA e non solo con il riconoscimento de visu.
Considerato in diritto
4. Va preliminarmente ricordato che, nell’apprezzamento delle fonti di
prova, il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria
valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi
ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito
una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle
deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica
nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di
determinate conclusioni a preferenza di altre (v. Cass. SU 13.12.1995 n. 930;
Cass. Sez. 6, 5.11.1996 n. 10751; Cass. Sez. 1, 6.6.1997 n. 7113; Cass.
10.2.1998 n. 803; Cass. Sez. 1, 17.12.1998 n. 1507; Cass. Sez. 6, 10.3.1999 n.
863). Dall’affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama
giurisprudenziale, discende una serie di corollari. In primo luogo, esula dai poteri

stesse presentavano di avere le orecchie tagliate proprio dove usualmente si

della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento
impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata
esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità
solo la verifica dell'”iter” argomentativo di tale giudice, accertando se
quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno
condotto ad emettere la decisione (Cass. Sez. 6, 14.4.1998 n. 1354). Inoltre, la
specificità della disposizione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) esclude che la

motivazione stessa, utilizzando la diversa ipotesi di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c);
l’espediente non è consentito: sia per i ristretti limiti nei quali la disposizione ora
citata prevede la deducibilità per cassazione delle violazioni di norme processuali
(considerate solo se stabilite “a pena di nullità, di inutilizzabilità, di
inammissibilità o di decadenza”), sia perché la puntuale indicazione contenuta
nella lett. e), riferita al “testo del provvedimento impugnato”, collega in via
esclusiva e specifica al limite predetto qualsiasi vizio motivazionale. Tantomeno
può costituire motivo di ricorso sotto il profilo dell’omessa motivazione il
mancato riferimento a dati probatori acquisiti. Se è vero che tale vizio è
ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della
sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento
fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all’analisi del giudice, il
concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere
ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori. Invero, un
elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce, non posto a
raffronto con il complesso probatorio, può acquisire un significato molto
superiore a quello che gli è attribuibile in una valutazione completa del quadro
delle prove acquisite. Ritenere il vizio di motivazione per l’omessa menzione di
un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di annullamento di
decisioni logiche, e ben correlate alla sostanza degli elementi istruttori
disponibili. Per ovviare ad un tale rischio, la Corte di legittimità dovrebbe
valutare la portata dell’elemento additato dalla difesa nel contesto probatorio
acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe nei compiti
riservati al giudice di merito (Cass. Sez. 1, 11.11.1998 n. 13528). Infine, in sede
di appello, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione ogni
argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi le
ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto
presente ogni fatto decisivo; ne’ l’ipotizzabilità di una diversa valutazione delle
medesime risultanze processuali costituisce vizio di motivazione, valutabile in
sede di legittimità (Cass. Sez. 5, 6.5.1999 n. 7588).

norma possa essere dilatata per effetto di regole processuali concernenti la

Da tale premessa risulta evidente l’inammissibilità del motivo che si risolve
nella riproposizione diffusa delle censure rivolte alla prima sentenza di merito e
nella deduzione generica di mancata risposta da parte dei Giudici d’appello.
5. I giudici del merito hanno infatti congruamente motivato in ordine alla
sussistenza degli elementi che hanno portato alla dichiarazione di penale
responsabilità evidenziando una pluralità di elementi convergenti e coerenti con
dichiarazioni e riconoscimenti del denunciante e in particolare: il fatto che – a
tutte le pecore fossero state tagliate le orecchie (sede tipica di apposizione del

affermato la (parziale) attendibilità del riconoscimento; dichiarazioni del M.Ilo
Viscogliosi in ordine alla presenza di un trasferimento sospetto di capi ovini dal
ricorrente a un terzo in orario notturno; compatibilità di tale trasferimento con
l’avvenuto furto.
La formulazione del ricorso in nulla inficia tale complessiva ricostruzione
limitandosi a incentrarsi su una unica circostanza (il riconoscimento diretto dei
capo di bestiame) che non costituisce tuttavia elemento esclusiva da cui è stata
desunta la penale responsabilità.
Deve allora ribadirsi che risulta inammissibile il motivo in cui si deduca la
violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125, 530 e 533
c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), per censurare l’omessa od erronea
valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva
atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro
istruttorio (Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 45249 dell’8 novembre 2012, Rv.
254274) posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione
valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del
complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che
consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi
oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto
argomentativo della motivazione (Sez. 2, Sentenza n. 9242 del 08/02/2013 Rv.
254988).
6.

Le considerazioni sopra richiamate fondano la dichiarazione di

inammissibilità del ricorso.
7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C
1.500,00.
P.Q.M.

codice identificativo); dichiarazioni del veterinario Bianca FALCHI, che ha

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla cassa delle ammende.
a, il 6 aprile 2016

Il Consiglie e estensore

Il Presid t

Così deciso in

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