Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29804 del 31/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29804 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CORBO ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TORRETTA FILIPPO MARIA N. IL 22/07/1981
avverso la sentenza n. 698/2013 CORTE APPELLO di GENOVA, del
12/03/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO CORBO;

fr.)/

Data Udienza: 31/05/2016

R. G. 2543 / 2016

Con l’epigrafata sentenza, la Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza
del Tribunale di Genova che aveva condannato Filippo Maria Torretta per i reati di
resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate in danno dei vigili urbani Marcello
Mancuso e Daniele Marongiu, per avere usato, in data 12 marzo 2009, violenza nei
confronti di predetti, mediante pugni, calci e strattonamenti, al fine di impedire ai
medesmi di procedere alla sua identificazione, e gli aveva irrogato la pena di sette mesi di
reclusione, unificati reati per il vincolo della continuazione, esclusa la recidiva, e
riconosciute le attenuanti generiche.
Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso l’avvocato Fabio Taddei, quale
difensore di fiducia del Torretta, deducendo, con il primo motivo, violazione di legge
processuale, travisamento della prova e difetto di motivazione, in rapporto alla
confermata colpevolezza dell’imputato, per la ritenuta attendibilità delle dichiarazioni
delle due persone offese, nonostante le discrepanze delle stesse con il verbale di arresto le
smentite ricevute dalle deposizioni dei testi Giuseppe Cardinale ed Enrico Arado, e, con il
secondo motivo, mancata assunzione di prova decisiva e difetto di motivazione, avendo
riferimento alla mancata acquisizione di relazione sanitaria aggiornata alla data del
processo di appello sulle condizioni fisiche dell’imputato, al fine di dimostrare
l’impossibilità per lo stesso di porre in essere le condotte violente contestate. In data 13
maggio 2016, l’avvocato Taddei ha depositato memoria contenente motivi aggiunti;
nell’atto si ribadiscono e si precisano le censure esposte nei due motivi del ricorso.
Il ricorso è inammissibile perché contiene, nel primo motivo, censure diverse da
quelle consentite, e, nel secondo motivo, doglianze manifestamente infondate. Invero, la
sentenza di appello, nel confermare la sentenza di primo grado con riferimento
all’affermazione di colpevolezza, ha compiutamente descritto il fatto da essa ritenuto
accertato, esplicitando chiaramente la condotta riferita al Torretta e le finalità da questi
perseguite, ed ha indicato puntualmente le ragioni da cui inferire l’attendibilità delle
dichiarazioni delle persone offese, escusse nuovamente nel giudizio di appello, spiegando
in dettaglio anche perché tali deposizioni debbono ritenersi avvalorate e non smentite da
quelle del Carabiniere Enrico Arado, non «in netto contrasto» con quelle del teste
Giuseppe Cardinale, per di più sentito a grande distanza dall’episodio in contestazione, né
confutate dalle dedotte condizioni fisiche dell’imputato. Di conseguenza, le doglianze
formulate nel primo motivo implicano una richiesta di rivalutazione dei fatti addebitati
all’imputato e restano perciò estranee alle tipologie dei motivi previsti dall’art. 606 cod.
proc. pen. Le censure proposte con il secondo motivo, invece, sono manifestamente
infondate, perché attengono ad una prova relativa alle condizioni fisiche dell’imputato
all’epoca del giudizio di appello – nel ricorso si riferisce di «una relazione medica
aggiornata (successiva al giudizio di primo grado)» – avente la funzione di «integrare» «la
copiosa documentazione medica acquisita in primo grado»: di qui, la palese assenza del
carattere di decisività della prova invocata, tanto più che la sentenza impugnata qualifica
come «del tutto infondato l’assunto» della impossibilità dell’imputato di porre in essere le
condotte addebitategli alla luce delle sue condizioni fisiche, evidenziando in particolare
che «ciò urta con la deposizione di tutti i testi, anche dell’Arado».

Motivi della decisione

All’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende,
che stimasi equo determinare in misura di euro 2.000,00 (duemila).
P. Q. M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processualì e della somma di euro duemila in favore della cassa
delle ammende.

Roma, 31 maggio 2016

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