Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29802 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29802 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ADRAGNA FRANCESCO N. IL 29/10/1968
avverso la sentenza n. 2452/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 11/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
D
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv /zX.Uditi difensor Avv.

Q(212e•e_.

Data Udienza: 18/06/2015

Ritenuto in fatto

ADRAGNA Francesco ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe in data 11
dicembre 2014 che ha confermato quella di primo grado che lo ha riconosciuto
colpevole del reato di cui all’articolo 73 del dpr n. 309 del 1990 contestatogli
[detenzione illecita di circa 17 g. complessivi di sostanza stupefacente del tipo

propria persona e 9 g all’interno della propria abitazione]; fatto già in primo grado
qualificato come di “lieve entità” ex articolo 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990,
in ordine al quale l’Adragna, gravato di recidiva reiterata infraquinquennale, è stato
condannato alla pena ad anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 di multa ( fatto del
18.1.2010).

Quanto al trattamento sanzionatorio,la Corte di appello, affrontando il tema del
novum normativo rinvenibile ora nel disposto dell’articolo 73, comma 5, del d.P.R. n.
309 del 1990, come da ultimo modificato dal decreto legge n. 36 del 2014, convertito
dalla legge n. 79 del 2014, ha ritenuto che la pena inflitta dovesse essere confermata,
in quanto congrua e proporzionata all’entità del fatto, tenuto conto che l’imputato
risultava gravato da plurimi e gravi precedenti penali e che la condotta non era di
minima offensività.

Sull’invocata applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilitàdenegata dal primo giudice in mancanza della prova dello stato di tossicodipendenza
dell’Adragna-il giudice di appello- a seguito della rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale nel corso della quale l’appellante, previa produzione di
documentazione aveva dimostrato lo stato di tossicodipendenza- confermava il
diniego, sul rilievo che la richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva era stata
formulata dal difensore, non munito di apposita procura, e non dall’imputato, rimasto
contumace.

Con il ricorso si censurano, con il primo motivo, gli argomenti Cgtra2Tgnt.L.S
[quantitativo della sostanza, modalità di confezionamento, comportamento all’atto
dell’intervento della p.g., rinvenimento all’interno dell’abitazione di un bilancino]
utilizzati per fondare la dimostrazione della destinazione illecita, tralasciando di
considerare la condizione di tossicodipendenza dell’imputato.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione della legge penale con riferimento al
diniego dell’applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, prevista
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hashish, di cui 6 g. suddivisi in sei distinti involucri di cellophane che occultava sulla

dall’art. 73, comma 5 bis, d. P.R. 309/90, contestando la necessità della procura
speciale nel caso in cui la richiesta venga formulata dal difensore.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

Il primo motivo con cui si contesta l’affermazione di responsabilità, sostenendosi che

introduce, in realtà, una censura di merito sull’apprezzamento del compendio
probatorio che i giudici di merito hanno sviluppato in modo affatto illogico e, quindi, in
fatto incensurabile.

Del resto, la Corte di appello ha affrontato puntualmente il punto afferente la
destinazione della droga allo spaccio piuttosto che all’uso personale e lo ha risolto in
senso confermativo dell’apprezzamento conforme del primo giudice di merito,
attraverso il richiamo alla quantità e alle modalità di conservazione (Sezione VI, 25
febbraio 2011, Spagnolo).

In particolare, risulta una adeguata e non illogica motivazione basata non solo sul
quantitativo della droga [non certo esiguo], ma anche sulle circostanze dell’arresto
dell’imputato [avvenuto sulla pubblica via] e sulle modalità di rinvenimento e di
confezionamento della sostanza stupefacente (in parte, rinvenuta nell’abitazione ed in
parte suddivisa in involucri, singolarmente confezionati], che rendevano inverosimile
la tesi del rappresentato acquisto per uso personale.

Infondato è anche il secondo motivo che censura il diniego dell’applicazione della
sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.

Va ricordato che il lavoro di pubblica utilità trova la sua disciplina generale nell’articolo
54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, contenente le disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace: a tale disciplina, laddove non diversamente disposto
nell’articolo 73, comma 5 bis, e nei limiti della compatibilità, occorre fare riferimento
per ricostruire il meccanismo che va seguito per la “sostituzione” delle pene
detentiva e pecuniaria.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte ( v. per la sua completezza
Sezione VI, 27 giugno 2008, n. 34620, P.G. in proc. Piredda, rv. 240317) ,in tema di
reati concernenti gli stupefacenti, per procedere all’applicazione della sanzione del

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mancherebbe la prova della destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio,

lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 73, comma quinto bis, d.P.R. n. 309 del 1990, in
luogo della pena detentiva è necessario si verifichino contestualmente quattro
condizioni e cioè: a) che l’interessato sia tossicodipendente o comunque assuntore di
stupefacenti; b) che sia intervenuta sentenza di condanna o di patteggiamento la
quale abbia riconosciuto l’attenuante del fatto di lieve entità; c) che l’imputato abbia
espressamente richiesto, eventualmente anche in via subordinata ma comunque
prima della sentenza, la sostituzione delle pene irrogate con quella del lavoro di
pubblica utilità; d) che non ricorrano le condizioni per la concessione della

La richiesta dell’imputato è, pertanto, presupposto essenziale della “sostituzione”,
non potendo il giudice provvedere d’ufficio.

Nonostante il silenzio dell’articolo 73, comma 5 bis, deve ritenersi che la richiesta,
oltre che personalmente dall’imputato, possa essere presentata anche dal difensore,
purché munito di procura speciale ( v. in tal senso, Sezione III, 3 febbraio 2010,
Ourais, rv. 246977; Sezione VI, 16 giugno 2009, Braccini, rv. 244684).

Tale conclusione è confortata da un duplice ordine di considerazioni: da un lato, la
considerazione che la disciplina generale sul lavoro di pubblica utilità contenuta dalla
normativa sul giudice di pace non è, sul punto, incompatibile con il disposto
dell’articolo 73, comma 5 bis; dall’altro, l’ulteriore considerazione logico sistematica in
forza della quale, poiché la richiesta di sostituzione può essere formulata in occasione
della presentazione dell’istanza di patteggiamento, incomprensibile sarebbe il
consentire la presentazione da parte del difensore munito di procura speciale della
seconda (cfr. articolo 446, comma 3, c.p.p), ma non anche della prima.

La sentenza impugnata è in linea con i principi sopra ricordati e, pertanto, non va
censurata.

Solo per completezza, va rilevato che il giudice ha motivato congruamente sulla
durata della pena ritenuta congrua, avendo riguardo anche ai nuovi limiti edittali nelle
more introdotti [decreto legge n. 146 del 2013 e poi decreto legge n. 36 del 2014],
ritenendo però in modo incensurabile di dover confermare il primigenio giudizio.
Non si tratta, quindi di pena illegale e la determinazione non può essere censurata,
neanche d’ufficio, siccome ampiamente motivata alla luce dei parametri di cui
all’articolo 133 c.p.

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sospensione condizionale della pena

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 18 giugno 2015

Il Consigliere estensore

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