Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29800 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29800 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SUDAE MERLYN N. IL 17/06/1969
avverso la sentenza n. 5111/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
19/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore enerale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv/
Udii difensor2Avv:30
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Data Udienza: 18/06/2015

Ritenuto in fatto

SUDAE MERLYN ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di
primo grado, resa in esito a giudizio abbreviato, l’ha riconosciuta colpevole del reato di
detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo metanfetamina

[shaboo

o ice]

[grammi 7,5 lordi, con percentuale di purezza del 96,66%, utile per il confezionamento

La doppia conferma statuizione di responsabilità valorizzava, per quanto interessa, le
circostanze dell’acquisto della droga, cui pure materialmente non aveva partecipato
l’imputata, rimasto sull’autovettura, durante l’acquisto,
dimostrato dalla presenza in loco,

il ruolo compartecipativo,

il quantitativo complessivo della droga e la

suddivisione dello stesso in due bustine, tale da non accreditare la versione difensiva
dell’imputata [l’avere dato 50 euro al coimputato che provvedeva all’acquisto per una
porzione di droga da utilizzare per uso personale], la qualità di assuntrice di sostanze
stupefacenti non era stata comunque dimostrata.

La Corte di merito negava l’ipotesi della lieve entità del fatto valorizzando il quantitativo
della droga, ma anche la gravità della condotta, definita come denotante un’attività di
spaccio organizzata sia pure rudimentale [sul punto venivano considerate sia la presenza
di tre correi, ma anche la disponibilità di strumenti atti al frazionamento della droga, nella
disponibilità di uno dei correi].

Con il ricorso si censurano gli argomenti posti a supporto della condanna di cui si sostiene
l’insussistenza ai fini di una condanna al di là di ogni ragionevole dubbio.

Si ripropone l’assenza di prova del contributo causale e la tesi dell’acquisto per uso
personale.

Si invoca la qualificazione del fatto ex articolo 73, comma 5, del dpr n. 309 del 1990.

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato, perché, al di là della ricchezza degli argomenti
spesi in fatto, si è in presenza di una doppia statuizione di responsabilità, assistita da
motivazione che non può essere censurata in quanto non è affatto manifestamente
illogica e risulta peraltro anche adottata in ossequio ai principi vigenti in materia.

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di 68 dosi medie singole], in concorso con altri due coimputati, separatamente giudicati.

La Corte territoriale ha ricostruito il ruolo concorsuale efficiente che, come è noto, può
essere fornito anche da chi senza avere materialmente commesso o partecipato a
commettere il fatto incriminato con la sua presenza in loco. Ciò in ossequio al principio
pacifico secondo cui, in tema di concorso di persone nel reato, mentre la connivenza non
punibile postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, si ha
concorso nel reato, penalmente rilevante, ogni qualvolta l’agente partecipa in qualsiasi
modo alla realizzazione dell’illecito e, quindi, anche quando con la propria presenza

In questa prospettiva, non è in cassazione che può procedersi a rinnovarsi
l’apprezzamento sviluppato dal giudice di merito.

Ciò vale anche in relazione alla finalità illecita della condotta incriminata [non
arbitrariamente desunta dal quantitativo della droga, dal possesso dello strumentario atto
a confezionare le dosi] e alla parallela smentita – con argomenti non illogici, siccome
desunti principalmente dalle modalità di confezionamento della droga- della tesi
dell’acquisto per uso personale.

E’ noto, in proposito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’articolo 73 del
dpr 9 ottobre 1990 n. 309, non è la difesa a dover dimostrare l’uso personale della droga
detenuta, ma è invece l’accusa, secondo i principi generali, a dover provare la detenzione
della droga per uso diverso da quello personale. Infatti, la destinazione della sostanza allo
“spaccio” è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale,
deve essere provata dalla pubblica accusa, non spettando all’imputato dimostrare la
destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente di cui sia stato trovato in
possesso (di recente, Sezione VI, 10 gennaio 2013, Proc. gen. App. Catanzaro in proc.
Grillo). Il giudice, in questa prospettiva, in caso di contestazione della detenzione
illecita deve prendere in esame, oltre alla quantità di principio attivo, tutti gli indici
indicati dalla norma (modalità di presentazione, peso lordo complessivo, confezionamento
frazionato, altre circostanze dell’azione: cfr. ora l’articolo 75, comma 1 bis del dpr n. 309
del 1990). L’apprezzamento sviluppato è incensurabile laddove assistito da adeguata
motivazione.

Ciò che qui deve ritenersi, non essendovi spazio per la lettura alternativa, opinabile,
offerta nel ricorso, avendo il giudice, del resto in modo conforme rispetto alla decisione di
primo grado, considerate come significative le suindicate circostanze fattuali.

In questa prospettiva, anche il profilo del possibile uso personale, proposto già in sede di
merito, ha trovato una risposta non illogica.

agevola o rafforza il proposito criminoso altrui (Sezione V, 24 giugno 2008, Venuto).

Inaccoglibile è la doglianza relativa al fatto di lieve entità.

Il giudicante ha fatto corretta e logica applicazione del principio in forza del quale, in
tema di sostanze stupefacenti, il fatto di lieve entità (articolo 73, comma 5, del dpr 9
ottobre 1990 n. 309) può essere riconosciuta solo in ipotesi di “minima offensività
penale” della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri

conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge,
diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri. Ciò in quanto la finalità dell’attenuante
si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante dall’articolo 3 della Costituzione, che
impone – tanto al legislatore, quanto all’interprete- la proporzione tra la quantità e la
qualità della pena e l’offensività del fatto (Sezione IV, 13 maggio 2010, Lucresi).

Qui, il giudicante ha ampiamente motivato sulle

ragioni che deponevano per

l’insussistenza dell’attenuante e il relativo giudizio regge al vaglio di legittimità anche a
fronte di motivazione sicuramente satisfattiva, siccome basata su una “complessiva” ed
attenta disamina dei diversi profili della condotta, con conseguente valorizzazione
negativa – nei termini suindicati- di quelli ritenuti significativi, con particolare riguardo al
quantitativo della droga, ma senza trascurare la riferita pericolosità della condotta.

Nessuna conseguenza, sotto questo specifico profilo, deriva dal

novum

normativo

introdotto dal decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio
2014 n. 10, con scelta confermata dal decreto legge n. 36 del 2014, convertito dalla
legge n. 79 del 2014, in forza del quale quella che prima era, pacificamente, una
circostanza attenuante, è stata trasformata in reato autonomo.

Infatti, i presupposti del reato autonomo sono rimasti quegli stessi che potevano
giustificare [o, per converso, negare] la concessione dell’attenuante.

Va affermato con chiarezza, infatti, che nella “ricostruzione” della nuova fattispecie
autonoma di reato sono utilizzabili gli stessi parametri che caratterizzavano la previgente
previsione di circostanza attenuante. Il fatto di “lieve entità”, cioè, deve essere
apprezzato considerando i mezzi, le modalità e
qualità e quantità delle

le circostanze dell’azione nonché la

sostanze stupefacenti, riproponendo l’ormai consolidato

orientamento della giurisprudenza, che vale tuttora per cogliere il proprium

anche della

nuova fattispecie di reato. I principi cardine, in proposito, sono quelli della “valutazione
congiunta” dei parametri normativi e della rilevanza ostativa anche di un solo parametri
quando risulti “esorbitante” e cioè chiaramente dimostrativo della “non lievità” del fatto.
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parametri richiamati dalla norma (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la

La valutazione congiunta, infatti, consente di apprezzare, in modo equilibrato, il fatto in
tutte le sue componenti, senza peraltro trascurare le connotazioni particolari che
assumono, nel concreto, ì singoli parametri di riferimento.

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa della ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna della ricorrente medesima al -pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e a quello della somma di 1000,00 euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 18 giugno 2015

Il Consigliere estensore

favore della cassa delle ammende.

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