Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29799 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29799 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LANCIERI VINCENZO, nato il 21/09/1960
avverso la sentenza n. 372/2014 CORTE APPELLO di CAMPOBASSO, del
17/07/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ANTONIO GIALANELLA che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. MICHELE URBANO del Foro di Larino, il quale ha
concluso chiedendo raccoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/7/2014 la Corte d’appello di Campobasso, ribadito il
giudizio di penale responsabilità, con le già concesse attenuanti generiche
considerate prevalenti sulla contestata aggravante, e la diminuente per il rito
abbreviato, riduceva a cinque mesi e dieci giorni di reclusione la pena inflitta a
Vincenzo Lancieri per il reato di cui all’art. 589 cod. pen. allo stesso ascritto per
avere cagionato, per colpa, la morte del pedone Giuseppa Salvatora Funiati,
investendolo con l’autobus di linea del quale era alla guida.
Secondo quanto accertato in giudizio la mattina del 21/7/2008, verso le ore

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Data Udienza: 18/06/2015

9,00, il Lancieri, alla guida dell’autobus, intento ad uscire a bassissima velocità
dal Terminal bus di Via Martiri della Resistenza in Termoli diretto verso Piazza del
Papa, giunto in prossimità dello svincolo di accesso alla predetta via, investiva prima con la parte anteriore destra del proprio veicolo e successivamente con la
ruota anteriore destra – la Funiati, la quale, benché subito soccorsa, decedeva
poche ore dopo per grave shock emorragico conseguente alle lesioni subite.
L’evento era ascritto a colpa generica e specifica del Lancieri, quest’ultima
per aver violato l’art. 140 cod. strada, perché, pur accortosi di persone ferme

aveva arrestato la propria marcia.
A fondamento del confermato giudizio di penale responsabilità rilevava la
Corte che il Lancieri aveva spontaneamente dichiarato che, mentre procedeva a
bassissima velocità, incanalato nella corsia che consente l’uscita dal terminal,
aveva notato sul marciapiede alla sua destra, diverse persone. Dopo aver dato
un colpo di clacson, aveva dunque rivolto il suo sguardo anche alla sua sinistra,
dove c’erano altre autovetture in manovra, al fine di ottenere la precedenza per
poter uscire. Nel corso di tale manovra veniva improvvisamente bloccato da un
urlo che lo faceva frenare e, in tale circostanza, notava delle persone che gli
facevano cenno di indietreggiare. Pur non comprendendone il motivo, faceva
retromarcia per qualche metro e solo allo scendere dal mezzo si accorgeva che a
terra si trovava una donna che sanguinava. Specificava che non si era accorto di
nulla al momento dell’investimento e che non era in grado di riferire se la signora
investita fosse o meno sul marciapiede insieme alle persone che aveva avvistato
prima di prendere la marcia, ma indicava con certezza che ella non proveniva
dalla sua sinistra.
Da ciò i giudici molisani desumevano che l’imputato era talmente impegnato
a guardare alla sua sinistra – nella preoccupazione di ottenere la precedenza che
gli competeva rispetto ad altri veicoli inopinatamente presenti in quell’area – da
avere il proprio sguardo puntato decisamente in quella sola direzione nel
momento del sinistro, in tal modo distraendolo dal lato destro, tanto da neppure
accorgersi dell’impatto a cose avvenute, essendone allertato solo dalle urla
provenienti dall’esterno.
L’assunto difensivo secondo cui nella circostanza il conducente aveva
osservato persino un maggior grado di prudenza, avendo guardato prima a
destra e poi a sinistra, era disatteso dalla Corte sulla base del rilievo che in
realtà egli non poteva pretendere di tenere contemporaneamente sotto costante
controllo, mentre continuava a marciare sia pure a bassa velocità, tanto il suo
lato destro che quello sinistro. La regola cautelare avrebbe piuttosto imposto in
quel contesto – particolarmente pericoloso per la mancanza di transenne ai
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lungo il marciapiede destro della sua corsia all’interno del terminal predetto, non

marciapiedi e la presenza di passeggeri di ogni età in movimento, circostanza di
cui lo stesso imputato era consapevole per sua stessa ammissione – di arrestare
il mezzo e verificare che almeno uno dei due lati fosse sgombro e libero da
pericoli per poter concentrare, allora sì, la sua costante attenzione sull’altro lato.
Per lo stesso motivo escludeva che la condotta della vittima, bensì colposa e
concorrente nella dinamica del sinistro, potesse assumere efficacia interruttiva
del nesso causale con la condotta ascritta all’imputato, non potendo essa
considerarsi causa eccezionale, atipica, non prevista e non prevedibile, da sola

In proposito la Corte giudicava irrilevante accertare se la vittima fosse o
meno con gli altri passeggeri ad aspettare sul marciapiede o stesse piuttosto
camminando nella sede stradale parallelamente al marciapiede stesso, così come
riteneva non condivisibile il rilievo, pur avvalorato dai carabinieri verbalizzanti e
dal consulente del PM, secondo cui la vittima per la sua bassa statura (1,64 m)
non avrebbe potuto essere vista dall’autista del bus neppure se avesse tenuto
costantemente puntato il proprio sguardo verso destra; in senso contrario
rilevava infatti che, se il Lancieri avesse mantenuto costante attenzione verso il
lato destro, soprattutto ad autobus in movimento, egli si sarebbe certamente
avveduto della presenza della donna che procedeva appiedata sul marciapiede o
nella sede stradale, provenendo da tergo, ben prima del punto e del momento
dell’impatto, e avrebbe pertanto avuto tutto il tempo di prendere le contromisure
che la prudenza del caso imponeva.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per mezzo del proprio
difensore, sulla base di(e motivi.
2.1. Con il primo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena
di nullità per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto utilizzabili le
dichiarazioni rese dall’imputato

contra se

a fondamento del giudizio di

responsabilità.
Rilevava che tali dichiarazioni erano state rese da esso ricorrente ai
carabinieri in fase di sommarie informazioni senza l’assistenza del difensore e
senza la formulazione degli avvisi previsti dagli artt. 63, 64 ss. e 350 cod. proc.
pen., come sarebbe stato necessario avendo egli assunto fin dall’inizio la qualità
di persona sottoposta alle indagini.
Rileva che, diversamente da quanto indicato dai verbalizzanti, tali
dichiarazioni non potevano essere considerate spontanee, ma bensì acquisite ai
sensi e per gli effetti dell’art. 350 cod. proc. pen., senza però il rispetto degli
obblighi posti a garanzia e tutela dell’indagato. Lamenta che sul punto la Corte
d’appello nulla osserva, omettendo così una necessaria verifica su di essa
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sufficiente a produrre l’evento.

incombente anche d’ufficio secondo costante giurisprudenza di legittimità.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione
all’affermazione di penale responsabilità.
Lamenta che i giudici del merito hanno completamente trascurato gli atti di
indagine compiuti dalla polizia giudiziaria e gli accertamenti svolti dallo stesso
consulente del PM, in sede di accertamento tecnico preventivo, preferendo
accreditare la relazione del perito di parte civile.
Censura come illogica e contraddittoria la motivazione offerta al riguardo

P.M. sarebbero frutto di una analisi della vicenda erroneamente limitata
all’aspetto statico della stessa; osserva che di contro appare più logico pensare
che la donna fosse giunta da una direzione assolutamente e tragicamente in
linea con il montante destro dell’autobus, tanto da risultare invisibile all’autista.
Sotto altro profilo rileva che erroneamente i giudici del merito hanno
considerato la manovra posta in essere dall’autista inosservante della regola
cautelare possa dall’art. 140 cod. strada. Assume che, al contrario, quella
condotta, oltre a essere stata osservante, era anche l’unica logicamente
possibile, rimarcando in particolare che egli non avrebbe potuto arrestare la
marcia ma anzi era costretto ad uscire dal terminal, come evidenziato anche dal
perito del P.M..

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. È infondato il primo motivo di ricorso.
L’art. 350, comma 7, cod. proc. peri. consente che le

«dichiarazioni

spontanee» rese alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono
svolte le indagini siano pienamente utilizzate nella fase delle indagini preliminari
(v. Sez. U, n. 1150 del 25/09/2008, dep. 2009, Correnti, Rv. 241884) e anche
nel giudizio abbreviato, attesa la natura peculiare dello stesso, caratterizzato
dallo svolgimento allo stato degli atti, implicando la relativa richiesta la rinuncia
a sollevare eccezioni sulla ritualità degli atti in base ai quali è documentato,
anche se trattasi di atti compiuti dalla polizia giudiziaria che non sarebbero di per
sé utilizzabili in eventuale accertamento dibattimentale (v. e pluribus Sez. 5, n.
44829 del 12/06/2014, Fabbri, Rv. 262192; Sez. 5, n. 6346 del 16/01/2014,
Pagone, Rv. 258961; Sez. 4, n. 1554 del 31/01/1997, Pedullà, Rv. 207872).
È bensì vero che, trattandosi di norma che fa eccezione alle disposizioni più
generali poste dai commi precedenti – e, in particolare, a quelle secondo cui le
notizie assunte sul luogo o nella immediatezza del fatto da persona nei cui
confronti vengono svolte indagini senza la presenza del difensore possono essere
4

dalla Corte territoriale secondo cui le conclusioni dei carabinieri e del perito del

utilizzate solo ai fini della immediata prosecuzione delle indagini mentre ne è
vietata ogni documentazione e ogni altra utilizzazione (commi 5 e 6) oltre che al
principio generale posto dagli artt. 63 e 64 cod. proc. pen. (ed al principio
generale del nemo tenetur se detegere)

essa è di stretta interpretazione e

come tale richiede una rigorosa verifica officiosa della ricorrenza in concreto
dell’elemento che la giustifica, ossia della effettiva

spontaneità

delle

dichiarazioni, le quali dunque non debbono risolversi sostanzialmente in risposte
a domande della polizia, salvo naturalmente che si tratti domande volte ad

19/11/2013, dep. 2014, Cuberi, Rv. 258368; Sez. 3, n. 36596 del 07/06/2012,
Osmanovic, Rv. 253575).
Nel caso di specie, tuttavia, non emergono elementi, né sono stati
concretamente dedotti, idonei a porre in dubbio che una tale verifica non sia
stata compiuta o che lo sia stata con esiti manifestamente illogici: elementi, cioè,
che possano indurre a smentire la qualificazione data dagli operanti – e
accreditata dai giudici di merito – alle dichiarazioni rese nell’immediatezza
dall’odierno ricorrente, come spontanee.
In tal senso non può risultare sufficiente la sola circostanza che tali
dichiarazioni non siano state rese nell’immediatezza del fatto ma a distanza di
alcune ore negli uffici del Comando Compagnia Carabinieri di Termoli, non
ricavandosi comunque dal verbale (al cui esame questa Corte ha diretto accesso
trattandosi di censura di natura processuale), né lo stesso ricorrente avendo
affermato, che egli vi si sia presentato perché convocato, né essendovi motivo
alcuno di sospettare che si sia trattato di dichiarazioni rese in risposta a richieste
dei verbalizzanti o, comunque, da questi sollecitate.

4. Rimane assorbito l’esame del secondo motivo di ricorso dal momento che
la condotta descritta dallo stesso ricorrente, con le richiamate dichiarazioni,
evidenzia un indubbio profilo di colpa causalmente efficiente nella
determinazione del sinistro, rappresentato dall’aver distolto lo sguardo dal lato
destro dell’autobus, mentre lo stesso era in movimento, pur nella
consapevolezza della presenza in quel lato di passeggeri di ogni età in attesa sul
marciapiede non protetto: situazione questa che rendeva certamente prevedibile
il rischio di movimenti o incursioni, ancorché avventate o imprudenti, di pedoni
nella sede stradale.
Può comunque rilevarsi che, pur indipendentemente dal superiore rilievo,
anche la seconda censura, in sé considerata, si appalesa destituita di
fondamento.
L’adesione prestata dai giudici di merito alla ricostruzione dell’accaduto
5

ottenere precisazioni su fatti spontaneamente dichiarati (v. Sez. 3, n. 2627 del

operata dal consulente tecnico della parte civile (secondo cui questo può
spiegarsi solo per il fatto che il conducente dell’autobus per colpevole distrazione
abbia omesso di vigilare con la dovuta attenzione i movimenti pedonali nell’area
della stazione posta a destra del mezzo, posto che, invece, ove tale costante
attenzione fosse stata prestata, egli avrebbe ben potuto notare i pur inconsulti e
imprudenti movimenti della vittima, se non nella sua tragica traiettoria finale
almeno nelle fasi antecedenti) risulta adeguatamente motivata all’esito di una
attenta considerazione anche della contrapposta tesi del consulente del PM

dal montante destro), la quale infatti viene espressamente disattesa in ragione
del rilievo, in sé del tutto plausibile e non specificamente contrastato in ricorso,
che questa in realtà è valutazione riferita solo alla parte finale del percorso
seguito dalla vittima.
Trattasi pertanto di valutazione tipicamente di merito come tale
insindacabile in questa sede, poiché congruamente motivata e non
manifestamente illogica.
Giova rammentare al riguardo che la Cassazione non è giudice delle prove,
non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto
i giudici di merito, ma deve stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre
direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano
esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e
convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell’interpretazione del
materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le
massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione
delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di
determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr. Sez. U, n. 930 del
13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999,
Guglielmi, Rv. 214567): il vizio di motivazione denunciabile ex art. 606, comma
1, lett. e) non può, cioè, consistere nella mera deduzione di una valutazione del
contesto probatorio ritenuta dal ricorrente più adeguata (Sez. 5, n. 45420 del
04/10/2004, Lebbiati, non mass.), ma deve essere volto a censurare
l’inesistenza di un plausibile e coerente apparato argomentativo a sostegno della
scelta operata in dispositivo dal giudicante.
Del resto – può incidentalmente osservarsi – ad apparire del tutto
implausibile è piuttosto la tesi del ricorrente, secondo cui, pur nell’ipotesi in cui il
conducente avesse costantemente prestato attenzione sul suo lato destro, egli
potrebbe non essersi accorto dell’anziana donna in quanto proveniente da un
imprecisato punto della zona e procedente in linea con il montante destro
dell’autobus, tanto da risultare invisibile all’autista.
6

(secondo cui la vittima non era invece visibile perché di bassa statura e nascosta

È infatti da ritenere inverosimile che possa esistere una parte dell’area da
cui l’autobus si muove e in particolare di quella posta a destra dello stesso dal
quale salgono e scendono i passeggeri che l’autista non possa avere sotto il
pieno controllo attraverso parabrezza, finestrini e specchio retrovisore.
A fortiori privo di pregio è poi l’assunto secondo cui il conducente non
potesse nell’occorso comunque condursi diversamente da come ha fatto e in
particolare non potesse non procedere in avanti, sia pure a passo d’uomo, per
liberare la corsia d’uscita dal terminal bus e dare spazio agli altri mezzi in

È appena il caso di rilevare in proposito che una siffatta esigenza di traffico
veicolare è ovviamente del tutto recessiva rispetto a quella di tutela della vita e
incolumità delle persone e non potrebbe giustificare di per sé una carenza di
attenzione e cautela a garanzia di tali valori primari: essa comunque non
avrebbe reso impossibile né pericoloso anche un arresto emergenziale del mezzo
nel momento in cui fosse stato avvertito per tempo il pericoloso avvicinarsi alla
sede stradale del pedone.
5. Alla luce delle esposte sussidiarie considerazioni appare evidente che le
dichiarazioni rese dal conducente non fanno altro che confermare quella che è la
più probabile e anzi l’unica logica e plausibile spiegazione dell’accaduto e con
essa anche, come detto, la colpa del conducente medesimo, in mancanza di
emergenza o allegazione alcuna di una condotta assolutamente abnorme e
imprevedibile dell’anziano pedone: abnormità e imprevedibilità anzi nel descritto
contesto assai difficilmente ipotizzabile se non anzi da escludere.
Mette conto rammentare al riguardo che il dovere di attenzione del
conducente teso all’avvistamento del pedone trova il suo parametro di
riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel principio
generale di cautela dettato dall’art. 140 cod. strada che informa la circolazione
stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello
di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di
mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della
strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la
comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per
gli altri utenti della strada (in particolare, proprio dei pedoni) (cfr., per
riferimenti, Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995). Trattasi di
obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione
di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente
imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell’attraversamento, quando
il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi
in violazione degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall’art. 190 cod.
7

continua entrata e uscita.

strada. Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l’obbligo di prevedere le
eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di
prepararsi a superarle senza danno altrui (Sez. 4, n. 1207 del 30/11/1992, dep.
1993, Cat Berro, Rv. 193014).
Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da
responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti
accertato un comportamento colposo (imprudente o in violazione di una specifica
regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe, invero,

rilevante per escludere la responsabilità del conducente: cfr. art. 41, comma
primo, cod. pen.), ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi
caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè
prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento (cfr. art. 41,
secondo comma, cod. pen.).
Ciò che può ritenersi solo allorquando il conducente del veicolo investitore
(nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi
generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di
diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne,
comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso,
imprevedibile. Solo in tal caso, infatti, l’incidente potrebbe ricondursi,
eziologicarnente, proprio ed esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa
totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia
rispetto a quest’ultima.
Condizione quest’ultima certamente insussistente nel caso di specie, quanto
meno e in via assorbente per le stesse caratteristiche del luogo, di per sé
deputato, come s’è ripetuto, alla presenza e al continuo e non protetto
movimento di passeggeri in transito.

6. Deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 18/6/2015

concausa dell’evento lesivo, come anche nella specie ritenuto, penalmente non

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