Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29798 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29798 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

suA ricorsa propos9 da:
MAINARDIS PAOLO N. IL 27/04/1966
MAGGIANI DAVIDE N. IL 03/10/1976
avverso la sentenza n. 130/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
03/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Greyerale in p,ersona del Dott.
che ha concluso per Arr –Lty,A10
/ZGo

Udito, per la parte civile, l’Avv
a‘.t-

Uditi difensotAvv.
o

Data Udienza: 18/06/2015

Ritenuto in fatto

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della
sentenza di primo grado, concessa l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., riduceva la
pena inflitta a MAGGIANI Davide e MAINARDIS Paolo, ritenuti responsabili in ordine al
reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in

stati subappaltale opere di controsoffittatura in un grande cantiere edile, in cui la ditta
appaltatrice era la EDILGUDO srl, della quale gli odierni ricorrenti erano, rispettivamente,
il legale rappresentante ed il coordinatore alla sicurezza in fase di esecuzione, dipendente
della stessa società ( fatto del 24 aprile 2008).

Secondo la ricostruzione dei fatti, il corpo del De Vita era stato trovato supino nel fondo
di una bocca di lupo di mt 5,60 di profondità, coperta da assi di legno non fissate, ma
solamente appoggiate da un lato sul cemento armato e dall’altro su delle traverse e la
causa dell’incidente veniva, pertanto, ravvisata nel ribaltamento delle tavole all’atto del
passaggio del lavoratore.

La colpa specifica del Maggiani veniva fondata su plurime violazioni del d.P.R. 164/56,
legate ai pericoli di caduta dall’alto, e soprattutto dell’art. 7 del d. Lgs 626 del 1994, sul
rilievo che lo stesso era venuto meno all’obbligo di cooperare all’attuazione delle misure
di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all’esecuzione dell’opera appaltata, e che
la posizione di garanzia non poteva ritenersi esclusa, contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa, dalla presenza di un capo cantiere in mancanza di una specifica delega
scritta e di un potere di spesa, oltre che degli altri requisiti normativamente previsti.

Con riferimento alla posizione del Mainardis, la Corte di merito affermava in premessa
che l’alta vigilanza demandata al coordinatore, imponeva allo stesso l’obbligo di adeguare
il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori.
La colpa specifica del Mainardis veniva, quindi, individuata nella violazione dell’art. 5 del
d. Lgs 626 del 1994, che gli imponeva il controllo tempestivo della conformità alle norme
di sicurezza delle strutture provvisorie di volta in volta realizzate nel cantiere, con il
conseguente obbligo di sospendere il passaggio, in caso di accertata difformità.
Il passaggio delle maestranze sulla bocca di lupo, dopo la rimozione del grigliato, per
raggiungere gli spogliatoi attraverso l’unica via di transito esistente, tramite la
realizzazione di un ponte provvisorio, realizzato con un assito; non soltanto era
prevedibile ma doveva essere realizzato dal coordinatore alla sicurezza in fase di
esecuzione, in relazione a quello specifico arco di tempo.
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danno del lavoratore DE VITA MUSOLINO Cristian, dipendente della ditta alla quale erano

Né valeva ad escludere la responsabilità dell’imputato la mera segnalazione dei dispositivi
di sicurezza, compiuta, peraltro, con riferimento ad altre situazioni.

Nella determinazione del trattamento sanzionatorio ( un anno per il Maggiani e due anni
per il Mainardis) il giudicante teneva conto, oltre della gravità del fatto, anche della

prevenzione antinfortunistica, caratterizzato da macroscopiche negligenze, evidente
approssimazione ed anche da maldestri tentativi di aggiustamento a posteriori della
vicenda.

Propongono ricorso per cassazione gli imputati.

I ricorsi vengono sotto sintetizzati, nei limiti imposti dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..

MAGGIANI Davide articola tre motivi.

Con il primo motivo lamenta l’ erronea applicazione dell’art. 7 d. Lgs 494/96 sul rilievo
che l’attività di cooperazione e di coordinamento non doveva essere svolta dal personale
dell’impresa appaltatrice. Nel caso in esame l’infortunio si era verificato a seguito di un
errore di installazione di una misura di protezione, la cui predisposizione spettava
all’impresa appaltatrice senza necessità di svolgere attività di cooperazione, non
sussistendo per quella specifica situazione alcun rischio da interferenza.

Con lo stesso motivo si duole della carenza di motivazione derivante da una non corretta
lettura degli artt. 1 e 3 del d.Lgs. 164/1956. Si sostiene che in sede di appello non era
stata posta la questione della validità della delega al capocantiere, mai conferita, ma
quella dell’autonoma posizione di garanzia dallo stesso rivestita, al quale era stata
affidata la gestione del rischio nel cantiere. Nella stessa prospettiva si evidenzia che la
Corte di merito aveva tralasciato di considerare che il Maggiani aveva assunto la qualifica
di legale rappresentante della società solo nel maggio 2007 quando il cantiere aveva un
proprio sistema di organizzazione e di sicurezza e tale ingresso in società era coinciso con
una fase di sistemazione generale del cantiere nell’ambito della quale era stato nominato
il nuovo capocantiere.
Nessuna violazione di regola cautelare era addebitabile all’imputato, giacchè la società di
cui era legale rappresentante aveva messo a disposizione il proprio materiale di natura
antinfortunistica e l’infortunio si era verificato a causa di un errato montaggio
dell’impalcato, realizzato il giorno prima dell’infortunio, e non per l’assenza di materiale

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situazione complessiva del cantiere e dell’approccio degli imputati alla materia della

idoneo nel cantiere.

Con il secondo motivo si duole della manifesta illogicità della sentenza sul giudizio di
prevedibilità, sostenendo che non era riconoscibile da parte dell’imputato la situazione di
pericolo nel cantiere. Dagli atti emergeva, infatti, che erano stati messi a disposizione
tutti ì mezzi prevenzionali per evitare la caduta dall’alto, ivi comprese le assi idonee a
coprire il buco, ma erano state erroneamente installate solo il giorno prima

mezzi di prevenzione.

Con il terzo motivo lamenta l’eccessiva entità della pena deducendo la carenza di
motivazione sulla specifica doglianza attinente il significativo scostamento del minimo
ed itta le.

MAINARDIS Paolo articola tre motivi.

Con il primo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 5 del d.lgs 494/96, avendo i
giudici di merito attribuito al coordinatore compiti di controllo quotidiano su ciascuna fase
di lavorazione, non previsti dalla norma.
In questo senso si sottolinea come inadeguato il passaggio motivazionale in cui la Corte
di merito ha affermato che il coordinatore, pur non essendo tenuto a verificare ora per
ora il rispetto delle condizioni di sicurezza, deve controllare la conformità alle norme di
sicurezza delle strutture provvisorie di volta in volta realizzate nel cantiere, così
tralasciando di considerare i diversi sopralluoghi nel cantiere effettuati dall’imputato al
fine di eseguire i controlli circa l’osservanza delle misure contenute nel piano di sicurezza
e coordinamento, nell’adempimento dell’attività di alta vigilanza allo stesso demandata.

La Corte di merito aveva altresì eluso il tema che la bocca di lupo era stata erroneamente
ricoperta solo nel tardo pomeriggio del giorno precedente l’infortunio.
Si prospetta che il richiamato art. 5 non prevede in capo al coordinatore per la sicurezza
uno specifico obbligo di tempestivo controllo e che illogicamente la sentenza non aveva
dato conto dei motivi per cui era stata ritenuta insufficiente la prescrizione impartita
all’esito del sopralluogo del 18 aprile 2008, in cui era stato prescritto al capocantiere di
mantenere efficienti tutte le opere provvisionali già presenti in cantiere, ripristinando
quelle momentaneamente manomesse.

Con il secondo motivo lamenta che la Corte di merito, nel formulare il giudizio sulla
prevedibilità dell’evento, non aveva tenuto conto che:il rischio di caduta dall’alto era stato
previsto e gestito nella documentazione di sicurezza ed era stato oggetto di verifica nel
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dell’infortunio; nessuna segnalazione era stata ricevuta dal Mainardi sulla carenza dei

corso dei sopralluoghi; l’avvenuta installazione non corretta delle assi non poteva
rientrare nella sfera di conoscibilità del coordinatore; neppure la presenza della ditta per
cui lavorava la vittima era concretamente prevedibile da parte dell’imputato in quella fase
delle lavorazioni.

Con il terzo motivo lamenta l’eccessiva entità della pena deducendo la carenza di
motivazione sulla specifica doglianza attinente il significativo scostarnento del minimo

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati giacchè la sentenza è in linea con l’apposita disciplina sulla
prevenzione dei rischi risultanti dall’eventuale presenza, simultanea o successiva, di varie
imprese o lavoratori autonomi nel medesimo contesto spaziale, dettata dal D.Lgs. 14
agosto 1996, n. 494 (di attuazione della direttiva 92/57/CEE, concernente prescrizioni
minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), applicabile
ratione temporis al caso in esame, ed attualmente regolata dagli artt. 88 e segg del
decreto legislativo n. 81 del 2008.

Quanto alla posizione del Maggiani, legale rappresentante della ditta appaltatrice, il fulcro
della tesi difensiva è nell’erronea applicazione dell’art. 7 d. Lgs 494/96: l’attività di
cooperazione e di coordinamento non doveva essere svolta dal personale dell’impresa
appaltatrice, non sussistendo nel caso specifico alcun rischio da interferenza in quanto
l’installazione della misura di prevenzione, regolarmente fornita dall’impresa appaltante,
spettava all’impresa appaltatrice.

La tesi difensiva tralascia, innanzitutto, di considerare alcune circostanze in fatto
emergenti dalle sentenze di merito, secondo la quale il cantiere era governato
direttamente dalla Edilgudo attraverso il proprio personale ( basti pensare che anche il
coordinatore per l’esecuzione era dipendente della predetta società) e che i ponteggi e le
opere provvisionali all’interno del predetto cantiere erano riconducibili alla predetta
società. Dalla sentenza di primo grado, richiamata da quella impugnata, emerge che le
strutture di protezione delle bocche di lupo erano state rimosse ben prima che iniziassero
i lavori di posa dei grigliati ed in assenza di qualsiasi pianificazione tra i diversi lavori.

E proprio la carenza strutturale dei ponteggi, da cui era derivata l’inadeguata protezione
della bocca di lupo in cui è caduto il lavoratore, è stata posta alla base dell’addebito a
carico del Maggiani.

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ed itta le.

La ricostruzione operata in sentenza, con l’individuazione dell’addebito colposo
riconducibile al Maggiani e della rilevanza causale di detto addebito rispetto alla
verificazione dell’evento mortale, non offre spazi per potere qui recepire l’assunto
difensivo che esclude l’applicazione al caso in esame dell’art. 7 della legge 626/94.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., tra le altre, Sezione III, 24
ottobre 2013, Gerna , rv. 258299, e prima ancora, Sezione IV, 15 dicembre 2005, n.

svolgano nello stesso cantiere predisposto dall’appaltatore, in esso inserendosi anche
l’attività del subappaltatore per l’esecuzione di un’opera parziale e specialistica, e non
venendo meno l’ingerenza dell’appaltatore e la diretta riconducibilità (quanto meno
anche) a lui dell’organizzazione del (comune) cantiere (non cessando egli di essere
investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria predetta qualità), sussiste la
responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro
osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo.

Solo ai fini di completezza espositiva, va ricordato che una esclusione di responsabilità
dell’appaltatore è configurabile, invece, solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato
lo svolgimento di lavori, ancorchè determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed
assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto ,all’appaltatore, non nel caso in
cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione
dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere (v. la citata sentenza Chimenti, rv.
233246)

Si tratta, come si vede, di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza
l’intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con
conseguente “estensione” dei soggetti onerati della relativa “posizione di garanzia” nella
materia prevenzionale allorquando l’omessa adozione delle misure antinfortunistiche
prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento.

Anche gli altri motivi sono infondati.

Non può qui farsi genericamente valere la presenza di altri titolari della posizione di
garanzia [ nella specie, il capocantiere, anch’egli titolare di una posizione di garanzia nei
confronti della vittima), escludendo il ruolo colpevole e causalmente efficiente
dell’imputato, perché la compresenza di più titolari della posizione di garanzia non è
evenienza che esclude, per ciascuno, il contributo causale nella condotta incriminata.

L’asserita esclusione di responsabilità dell’imputato, fondata sulla presenza del
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5977, Chimenti, rv. 233245), infatti, in caso di subappalto dei lavori, ove questi si

capocantiere e sull’autonoma posizione di garanzia dallo stesso rivestita, non tiene
adeguatamente conto del principio consolidato secondo il quale in tema di infortuni sul
lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero
destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto
che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa
applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale

Non è neanche utilmente invocabile nel caso in esame il principio di affidamento, in forza
del quale il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto
giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da
responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri,
(con)titolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia
fatto legittimo affidamento.

Come costantemente affermato da questa Corte ( v. da ultimo, Sezione IV, 24 gennaio
2012, n. 14413, Cova ed altri, rv. 253300), il principio di affidamento non è invocabile
sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della
salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia
(qui, per esempio, del lavoratore, “garantito” dal rispetto della normativa
antinfortunistica).

Tale principio, infatti, per assunto pacifico, non è invocabile allorchè l’altrui condotta
imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si
innesti sull’inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il
principio. In altri termini, non può invocarsi legittimamente l’affidamento nel
comportamento altrui quando colui che si affida sia (già) in colpa per avere violato
determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e,
ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella posizione di garanzia, elimini la
violazione o ponga rimedio alla omissione: laddove, infatti, anche per l’omissione del
successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire,
l’evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come
fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento (ai fini e per gli
effetti di quanto disposto, in tema di “interruzione del nesso causale”, dall’alt. 41 c.p.,
comma 2).

In questa prospettiva ermeneutica, è evidente

che il Maggiani, nella qualità di

appaltatore, non può utilmente invocare il principio dell’affidamento, per versare egli

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posizione ( v. Sezione IV, 9 febbraio 2012, Pezzo, rv. 253850).

stesso in una situazione di “colpa”, sostanziatasi nell’avere trascurato di esercitare
l’attività di coordinamento tra le imprese prevista dal citato art. 7.

Infondata è anche la censura sull’affermata riconoscibilità della situazione di pericolo da
parte del prevenuto e, pertanto, sulla prevedibilità dell’evento.

A prescindere dalla considerazione che la deduzione difensiva sull’epoca di copertura della

sottolineato, inoltre, che dalla sentenza di primo grado, richiamata da quella impugnata,
emerge un dato che appare in contrasto con tale ricostruzione del fatto, e cioè che le
strutture di protezione delle bocche di lupo erano state rimosse ben prima che iniziassero
i lavori di posa dei grigliati ed in assenza di qualsiasi pianificazione tra i diversi lavori.

Va poi rilevato che in tema di sicurezza del lavoro, vi è un aspetto particolare sulla
prevedibilità- applicato poi anche alla materia della protezione civile- che è quello che
impone all’imprenditore di effettuare una valutazione dei rischi – e quindi di prevederli: la
colpa dell’imprenditore va, pertanto, ravvisata anche se un’adeguata valutazione dei
rischi avrebbe rivelato la situazione di pericolo.

L’art. 96, comma 2, dlgs 81/2008 ha codificato tale principio laddove stabilisce che
l’accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del piano di sicurezza e di
coordinamento di cui all’art. 100, nonché la redazione del piano operativo di sicurezza
costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni
di cui all’art. 17, comma 1, lettera a), all’art. 26, comma i 1, lettera b), 2,3.5 ed all’art.
29, comma 3.

Il datore di lavoro è infatti tenuto a prevedere i rischi per la salute e la sicurezza dei
lavoratori ( v. art. 17 del decreto legislativo n. 81 del 2008, da cui emerge che la
valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore, con la conseguente
elaborazione del documento, previsto dall’articolo 28 dello stesso decreto, non è
delegabile)

La conseguenza di questa disciplina è che le inosservanze di queste norme cautelari
(omissione delle attività di previsione e prevenzione) costituiscono violazione di regole
cautelari normativamente previste e quindi ipotesi di colpa specifica.

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bocca di lupo, implica una valutazione in fatto non consentita in questa sede, va

E’ in questo quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove
ravvisa la colpa del Maggiani nella omessa adozione delle misure antinfortunistiche quale
conseguenza del rilevato omesso coordinamento.

Tale situazione è compiutamente descritta soprattutto nella sentenza di primo grado,
richiamata da quella impugnata, laddove sottolinea, anche alla luce della documentazione
fotografica in atti, macroscopiche ed evidentissime carenze sul piano della sicurezza e la

per operare sui ponteggi.

Non può accogliersi neppure la doglianza relativa al trattamento dosimetrico.

E’ sufficiente ricordare che
dosimetria della pena

la valutazione dei vari elementi

rilevanti ai fini della

rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio se

effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133 c.p. è censurabile in
cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
L’applicazione di tali principi non consente l’accoglimento della doglianza, avendo il
giudice motivato, nel rispetto dei parametri di cui all’articolo 133 c.p.,valorizzando la
gravità del fatto e negativamente anche la situazione complessiva del cantiere e
l’approccio degli imputati alla materia della prevenzione antinfortunistica, caratterizzato
da macroscopiche negligenze, evidente approssimazione ed anche maldestri tentativi di
aggiustamento a posteriori della vicenda.

Infondato è anche il ricorso proposto dal Mainardis.

L’ addebito contestato ed accertato a carico dello stesso è di non aver verificato
l’adeguatezza ed il rispetto del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene
l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi e di non aver adeguato il predetto
piano in relazione all’evoluzione dei lavori, omettendo di vigilare sul rispetto del piano
stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni.

In questa prospettiva i giudici di merito hanno sottolineato che la situazione del cantiere
evidenziava macroscopiche carenze sul piano della sicurezza e che tale situazione, come
emerge in particolare dalla sentenza di primo grado, permaneva almeno da quando nel
mese di marzo erano stati montati i ponteggi e che la copertura della bocca di lupo in
cui era caduto il De Vita aveva presentato sempre condizioni di intrinseca pericolosità, in
quanto non realizzata con tavole adeguatamente fissate ed era priva di parapetto.

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ripetuta presenza nel tempo di lavoratori non in regola e privi di qualsiasi qualificazione

Ciò soprattutto tenuto conto che le assi non servivano solamente per coprire la bocca di
lupo ma anche per il transito delle maestranze che dovevano recarsi nelle cantine
utilizzate come spogliatoi.

Il ricorrente contesta l’ asserita riconducibilità delle violazioni contestate alla sua
responsabilità, con la conseguente esclusione del nesso di causalità.

La figura professionale del coordinatore per l’esecuzione, per la prima volta
organicamente disciplinata dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (attuazione della direttiva
92/51 Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei
cantieri temporanei o mobili), è definita dall’ art. 2, del d.Lvo 494/1996, come “soggetto
incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui
all’art. 5” ( tale definizione è ora contenuta nell’art. 89 d.lgs 81/2008, che lo definisce
“coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell’opera”].

In base all’originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, al
coordinatore per l’esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei
lavori: art. 3, comma 4) era attribuito l’obbligo di “assicurare, tramite opportune azioni di
coordinamento, l’applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e
13 e delle relative procedure di lavoro” (lett. a) e quello di “adeguare i piani di cui agli
articoli 12 e 13 in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche
intervenute” (lett. b).

I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal d. Lvo 19 novembre 1999,
n. 528, applicabile ratione temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita
disciplina contenuta nell’art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l’esecuzione dei
lavori i compiti di “verificare” (e non più “assicurare”) l’applicazione da parte delle
imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di
cui all’art. 12 (lett. a) e quello di “adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in
relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute”.

Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti
degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo 1999/528 ( ora sostituito
dall’art.92 d.Lvo 9 aprile 2008, n. 81)

Tale posizione di garanzia gli impone, nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili
contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e

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Tale impostazione difensiva non è condivisibile.

committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela
antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di verificare sia l’applicazione
delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento che l’idoneità del piano operativo
di sicurezza (POS), che, con finalità complementare di dettaglio del PSC, deve essere
redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; di organizzare la cooperazione e il
coordinamento delle attività; di segnalare al committente o al responsabile dei lavori le
inosservanze, proponendo la sospensione dei lavori o arrivando finanche ad esercitare
personalmente il potere/dovere di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le

In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti
organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che
collaborano nella realizzazione dell’opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra
citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle
imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior
garanzia dell’incolumità dei lavoratori ( v. in tal senso Sezione IV, 14 giugno 2011, n.
32142, Goggi, rv. 251177).

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, si tratta di figure le cui posizioni di
garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della
sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione
di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia
dell’incolumità dei lavoratori.

Con la doverosa puntualizzazione che tali soggetti, a differenza del RSPP, hanno una
posizione di garanzia diretta, giacchè è prevista una diretta responsabilità penale per il
caso di inosservanza dei loro obblighi (cfr. articolo 158 del decreto legislativo n. 81).

Va, pertanto, chiarito che la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va
intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla
posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente
individuati dal citato art. 5 d.Lvo n. del 1999 ( ora art. 92 del citato d.lvo 81/2008), che
comprendono anche poteri a contenuto impedivo in situazioni di pericolo grave ed
imminente.

Le circostanze di fatto indicate dai giudici di merito, afferenti lo stato del cantiere in
generale e le condizioni in cui si trovava la bocca di lupo in cui è precipitato il De Vita,
non consentono dubbi sulla palese violazione degli obblighi sopra indicati da parte
dell’imputato, che, per sua stessa ammissione ha sostenuto in dibattimento di non essere

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singole lavorazioni (articolo 92 cit.).

nemmeno a conoscenza della presenza del De Vita e dell’impresa dal quale lo stesso
dipendeva, così palesandosi inequivocabilmente l’intrinseca pericolosità dell’attività in
corso e la commistione di soggetti non meglio individuati all’interno del cantiere.

Il ricorrente introduce, come nel ricorso trattato in precedenza, profili di merito, afferenti
l’epoca in cui venne realizzata la copertura della bocca di lupo, che non possono trovare
accoglimento, per quanto sopra esposto con riferimento ad analogo motivo proposto dal

Anche sulla censura afferente il trattamento dosimetri valgono le spesse considerazioni
sviluppate con riferimento all’altro ricorso.

Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso in data 18 giugno 2015

Il Consigliere estensore

Il Presid nte

coimputato.

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