Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29787 del 18/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29787 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GRECO GIOVANNI N. IL 09/01/1988
avverso la sentenza n. 1195/2009 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 26/09/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Data Udienza: 18/06/2014

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Fatto e diritto

GRECO GIOVANNI ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella
di primo grado, resa in esito a giudizio abbreviato, lo ha riconosciuto colpevole [in
concorso con altro soggetto, non ricorrente] del reato di detenzione illecita di sostanze

addosso al coimputato] e del tipo cocaina [grammi 4,5, suddivisa in 10 dosi singole,
rinvenuta nascosta in un calzino dello stesso GRECO].

La Corte motivava il giudizio sulla corresponsabilità di entrambi per l’intero quantitativo
e sulla destinazione illecita attraverso la valorizzazione delle circostanze del controllo,
avvenuto in luogo pubblico, sul numero di dosi ricavabili, sulle modalità di occultamento
sulle circostanze del fatto, caratterizzato dal controllo in strada del prevenuto, in esito al
quale questi veniva trovata in possesso di un “rilevante” quantitativo di droga, di cui non
forniva giustificazione- negava la possibilità di concedere l’ipotesi attenuata in ragione
del rilevato quantitativo ponderale.

La doglianza afferisce sia all’affermazione di responsabilità, che al diniego dell’ipotesi
attenuata.

Il ricorso è manifestamente infondato nel merito, a fronte di decisione corretta e
satisfattivamente motivata.

In particolare, satisfattiva è la spiegazione fornita, convergentemente in primo e secondo
grado, circa la codetenzione della droga e circa la destinazione illecita, con argomentata
ed incensurabile ricostruzione delle circostanze del fatto e, tra queste, del dato ponderale

stupefacenti del tipo marijuana [grammi 101 circa, divisa in due pezzi, rinvenuta

e delle modalità del sequestro.

Inaccoglibile è altresì la doglianza sul diniego dell’ ipotesi attenuata.

Il giudicante ha fatto corretta e logica applicazione del principio in forza del quale, in
tema di sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante del fatto di lieve entità
(articolo 73, comma 5, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309) può essere riconosciuta solo in
ipotesi di “minima offensività penale” della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e
quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma (mezzi, modalità e
circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto
, degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri. Ciò in

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quanto la finalità dell’attenuante si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante
dall’articolo 3 della Costituzione, che impone – tanto al legislatore, quanto all’interpretela proporzione tra la quantità e la qualità della pena e l’offensività del fatto (Sezione IV,
13 maggio 2010, Lucresi, che ha ritenuto corretto il diniego dell’attenuante basato
proprio sulla gravità della condotta di spaccio).

Qui, il giudicante ha ampiamente motivato sulle

ragioni che deponevano per

fronte di motivazione sicuramente satisfattiva.

Nessuna conseguenza deriva, quanto al fatto lieve, dal

novum

normativo introdotto a

partire dal decreto legge n. 146 del 2013, convertito dalla legge n. 10 del 2014, per
completarsi con il decreto legge n. 36 del 2014, convertito dalla legge n. 79 del 2014: è
pur vero che l’ipotesi attenuata è stata trasformata in reato autonomo e ne è stata
progressivamente ridotta la pena, ma i presupposti del reato sono rimasti gli stessi che
potevano giustificare [o, per converso, negare] la concessione dell’attenuante.

Né vi è spazio per fare applicazione qui degli effetti della sentenza n. 32 del 2014 della
Corte costituzionale, ove si consideri che si verte in ipotesi di condotta avente ad oggetto
[anche] una droga “pesante”.

Ed è noto che il ritorno alla disciplina sanzionatoria anteriore alla legge Fini-Giovanardi n.
49 del 2006 determina che per le droghe “pesanti” [tabelle I e III] devono ora applicarsi
le sanzioni della reclusione da otto a venti anni e della multa da euro 25822 a euro
258.228 (articolo 73, comma 1, del dpr n. 309 del 1990): si è in presenza un
trattamento sanzionatorio aggravato quanto alla pena della reclusione, giacchè la Fini Giovanardi aveva rideterminato la pena stabilita nel comma 1 dell’articolo 73 stabilendo
nella misura da “sei a venti anni di reclusione”. Ciò che esclude ab imis alcun problema

l’insussistenza dell’attenuante e il relativo giudizio regge al vaglio di legittimità anche a

di possibile applicabilità dell’articolo 2, comma 4, c.p.
Infatti, la contestuale riduzione della pena che la sentenza della Corte costituzionale ha
determinato per le droghe “leggere”, qui non potrebbe risolversi in concreto a favore
dell’imputato, giacchè dovrebbe a tal fine procedersi alla riqualificazione del fatto
configurando, in concorso formale, i reati di cui all’articolo 73, commi 1 e 4,
eventualmente unificabili a titolo di continuazione, ma dovendo ovviamente considerarsi
come reato più grave quello di cui al comma 1 dell’articolo 73.

Da ciò la non configurabilità dei presupposti per l’applicabilità dell’articolo 2, comma 4,
c.p.

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1

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.

P. Q. M.

processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio in data 18 giugno 2014

Il Consigliere estensore

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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