Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29786 del 31/05/2016

Penale Ord. Sez. 7 Num. 29786 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CORBO ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 5632/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/03/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO CORBO;iiii

Data Udienza: 31/05/2016

R. G. 2252/2016

Con l’epigrafata sentenza, la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza
di primo grado del Tribunale di Milano che aveva condannato A.A. per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali aggravate dal fine di
commettere il delitto di cui all’artt. 337 cod. pen., e gli aveva irrogato la pena di quattro
mesi di reclusione, ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati e previa concessione
delle attenuanti generiche. Precisamente, i giudici di merito hanno ritenuto che l’imputata,
mentre era insieme ad altre persone, aveva cercato di forzare il blocco opposto da una
pattuglia di Carabinieri per impedire a persone estranee di ostacolare le operazioni di
sgombero di alcuni alloggi di proprietà dell’A.L.E.R. abusivamente occupati, e, a tal fine,
aveva spinto l’appuntato Luigi Sozzi facendolo urtare contro il camion dei traslochi e
prcurandogli così una contusione all’emitorace destro giudicata guaribile in dieci giorni.
Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso l’avvocato Mirko Mazzali, quale
difensore di fiducia della A.A., deducendo quattro motivi: con il primo motivo, lamenta
violazione di legge penale e difetto di motivazione, in rapporto alla confermata
colpevolezza dell’imputato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, per l’assenza
degli elementi costituitivi della fattispecie, dovendo ritenersi la condotta dell’imputata
quale aggressione gratuita e non finalizzata ad opporsi ad attività di ufficio dei
Carabinieri; con il secondo motivo, lamenta violazione di legge penale e difetto di
motivazione, avendo riguardo alla confermata colpevolezza dell’imputato per il reato di
lesioni, in quanto il referto attesta contusioni, e, quindi, un esito di percosse; con il terzo
motivo, lamenta violazione di legge penale e difetto di motivazione, con riferimento
all’aggravante, contestata relativamente alle lesioni, di aver commesso il fatto al fine di
commettere il delitto di cui all’artt. 337 cod. pen., siccome l’imputata non aveva agito al
fine di incidere sull’attività delle forze dell’ordine; con il quarto motivo, lamenta
,violazione di legge penale e difetto di motivazione, in rapporto alla richiesta di ulteriore
mitigazione della pena.
Il ricorso è inammissibile perché contiene, nel primo, nel terzo e nel quarto motivo,
censure diverse da quelle consentite, e, nel secondo motivo, doglianze manifestamente
infondate. Quanto al primo motivo di ricorso, la sentenza di appello, nel confermare la
sentenza di primo grado con riferimento all’affermazione di colpevolezza per il reato di
resistenza a pubblico ufficiale, ha compiutamente descritto il fatto da essa ritenuto
accertato, esplicitando chiaramente la condotta riferita alla A.A. e le finalità da questa
perseguite, ed ha indicato puntualmente le fonti di prova posta a base della decisione, e le
ragioni dell’inattendibilità della versione addotta dall’imputata; le doglianze formulate in
ordine alla configurabilità e sussistenza del reato di cui all’art. 337 cod. pen., mirano,
pertanto, ad una mera rilettura delle prove, così ponendosi fuori dell’area dei motivi
consentiti in sede di legittimità. Il secondo motivo di ricorso, invece, è manifestamente
infondato, poiché, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità,
la contusione, in quanto alterazione anatomica e funzionale dell’organismo, costituisce
malattia ai sensi dell’art. 582 cod. pen. (così, tra le tante, Sez. 5, n. 22781 del 26/04/2010, L.,
Rv. 247518, in relazione a contusione giudicata guaribile in tre giorni, nonché Sez. 1, n.
7254 del 30/11/1976, dep. 1977, Saturno, Rv. 136118). Il terzo ed il quarto motivo, infine,
Concernenti, rispettivamente, la sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico, e la

Motivi della decisione

richiesta di rideterminazione di una pena più mite, si pongono anch’essi fuori dell’area dei
motivi consentiti in sede di legittimità: il terzo perché contrappone alla sentenza
impugnata (e a quella di primo grado) una propria, alternativa ricostruzione dei fatti; il
quarto perché consiste in una mera istanza di rivalutazione della pena, già fissata in
assoluta prossimità del minimo edittale.
All’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende,
che stimasi equo determinare in misura di 2.000,00 (duemila).

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa
delle ammende.
Roma, 31 maggio 2016

P. Q. M.

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