Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29777 del 21/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29777 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANSELMI SIMONA N. IL 25/02/1973
avverso la sentenza n. 925/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
28/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per „erguttiv2,0uA

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Data Udienza: 21/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 28/3/2014,
confermò quella emessa dal Tribunale di Modena, in data 3/11/2010, con la
quale, giudicata Anselmí Simona colpevole del reato di lesioni colpose gravi,
con violazione della normativa antinfortunistica, ai danni di Aliko Robert
(operaio alle dipendenze della s.r.l. Tecno Inerti, della quale l’Anselmi era

sospesa a condizione che l’imputata pagasse la provvisionale, liquidata in
10.000 euro, nonché al risarcimento del danno in favore della p.c., da
liquidarsi in separata sede.
L’operaio aveva patito lesioni alla mano destra (esitate nell’amputazione
del secondo dito) finita all’interno dell’ingranaggio movente di un macchinario
utilizzato per trasportare e selezionare materiale pietroso e s’imputava al
datore di lavoro di non avere approntato le misure idonee, sia di tipo tecnico
che organizzativo, a ridurre al minimo i rischi connessi all’uso del macchinario
di cui s’è detto; in particolare, per non avere approntato adeguato sistema
segregativo del macchinario in esame, specie nella zona di rinvio tra nastro
trasportatore e puleggia, consentendo consolidata prassi pericolosa di pulizia
del nastro.

2. L’Anselmi propone ricorso per cassazione corredato da plurime
censure, denunzianti vizio motivazionale in questa sede rilevabile e violazione
di legge.

2.1. Con i primi due motivi, tra loro osmotici, la ricorrente assume
che l’istruttoria aveva dimostrato che un adeguato sistema di sicurezza, oltre
che consistere nell’apposizione di ostacoli fisici (carter protettivi), può essere
costituito dall’adozione di una procedura virtuosa. Procedura, nella specie
consistente nello spegnere il macchinario, che risultava essere stata adottata.
Ciò era stato spiegato nei corsi formativi e proprio quel giorno l’infortunato
era stato rìchiamato dal collega Vigato a non intervenire sulla macchina, per
liberarla da residui, a motore acceso. Sul punto la Corte di merito aveva reso
motivazione incerta e contraddittoria, prima ammettendo la procedura e poi
mettendola in dubbio,

2.2. Con il terzo motivo si sostiene che la Corte di merito,
rimproverando, in definitiva di non avere controllato il sistema di sicurezza

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legale rappresentante), l’aveva condannata alla pena stimata di giustizia,

(esistente), aveva condannato l’imputata contestandole un addebito diverso
rispetto a quello enunciato nel capo d’imputazione. Peraltro, nello
stabilimento, come constava dall’istruttoria, vi era un capo-fabbrica (il fratello
dell’imputata), incaricato di controllare. Né, alla luce delle dichiarazioni del
teste Vigato, poteva affermarsi che vi fosse una prassi tollerata contraria agli
imposti divieti.

2.3. Con il quarto motivo la ricorrente critica il governo della
prova operato dal Giudice d’appello. Non era dato sapere perché le

considerazione; nel mentre, quelle della persona offesa avrebbero dovuto
essere sottoposte ad un più rigoroso vaglio, proprio utilizzando le altre fonti di
prova.

2.4. Con il quinto motivo censura la decisione di non avere
considerato la condotta del lavoratore abnorme e, quindi, causa esclusiva
dell’evento; una tale connotazione, che rende l’evento non prevedibile e non
prevenibile, poteva trarsi dalla volontà dell’infortunato di violare
consapevolmente le regole cautelari poste a tutela della sicurezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Va osservato che dopo la sentenza di secondo grado è venuto a
maturare il termine massimo prescrizionale previsto dalla legge per il reato
contestato in relazione ad un quadro impugnatorio che non appare
inammissibile, in quanto i proposti motivi, sibbene, come si vedrà, non
meritevoli di accoglimento, tuttavia, legittimamente radicano il giudizio di
cassazione e, quindi, s’impone la declaratoria estintiva agli effetti penali.
Il fatto risale al 24/5/2007 e, pertanto, in base al comb. disp. degli artt. 157 e
160, cod. proc. pen., I reato si è prescritto il 24/11/2014.
Non emerge, d’altro canto, alcuna delle ipotesi che, ai sensi dell’art. 129,
cod. proc. pen., avrebbe importato declaratoria d’innocenza. Infatti, In tema
di declaratoria di cause di non punibilità nel merito in concorso con cause
estintive del reato, il concetto di «evidenza» dell’innocenza dell’imputato o
dell’indagato presuppone la manifestazione di una verità processuale chiara,
palese ed oggettiva, tale da consistere in un quid pluris rispetto agli elementi
probatori richiesti in caso di assoluzione con formula ampia (Cass. 19/7/2011,
n. 36064).
Il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p.
solo quando le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la
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dichiarazioni del Vigato e dell’ing. Silvestri non fossero state prese in

commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale
emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile (Cass. 14/11/2012,
n. 48642). Situazione che qui manifestamente non ricorre per quanto
appresso.

4. Quanto alle statuizioni civili deve osservarsi che le doglianze,
prese in analitico esame non meritano di essere accolte.

4.1. Le censure sintetizzate al § 2.1., in definitiva, sono tese a

ingranaggi in movimento, in azienda era vigente la regola che imponeva
d’intervenire sulla macchina solo dopo averla spenta. Procedura, questa, che
rendeva del tutto sicuro qualunque operazione sulle parti in movimento.
L’istruttoria, in realtà, non conduce alla predetta conclusione. Pur vero che nei
rari momenti formativi si era fatto cenno alla necessità di spegnere la
macchina prima di intervenire sulle parti in movimento, ma, appunto, si era
trattato di fugaci ed occasionali richiami, agevolmente interpretabili come
estrema ratio, allorquando l’operazione si fosse presentata particolarmente
complessa. Al contrario veniva tollerata la prassi, che non bloccava il ciclo
produttivo, di eliminare le ostruzioni che quotidianamente si presentavano,
stante la vetustà del macchinario, senza necessità di spegnere lo stesso.
Peraltro, proprio la testimonianza di Vigato Walter, prodotta dalla Difesa,
corrobora il superiore assunto. Il predetto teste, il quale si occupava da oltre
quattro anni della manutenzione del nastro trasportatore, pur vero che quella
mattina aveva raccomandato all’operaio poi infortunatosi di stare attento a
dove metteva le mani, stante che quest’ultimo era impiantista ed egli
meccanico, ma, allo stesso tempo, non ha fatto mistero dello stato di vetustà
del macchinario e dell’assenza di conformità dello stesso alle norme di
sicurezza, alla mancanza di direttive cogenti e, financo, alla rarità dei carkelli
di pericolo. Così, in definitiva, finendo per confermare, piuttosto che smentire,
le dichiarazioni dell’infortunato.

4.2. Anche il terzo motivo non merita accoglimento. Al contrario di
quel che asserisce la ricorrente con l’artifizio di un vero e proprio sofisma la
mancata previsione non costituisce un addebito diverso rispetto a quello
contestato (non aver adottato le misure tecniche organizzative del caso al fine
di prevenire l’infortunio), ma ne è proprio il cuore: in definitiva si contesta
all’imputata di non avere previsto il prevedibile, adottando gli strumenti
necessari. Non rileva, infatti, che in misura più o meno ripetuta si fosse
esternata la segnalazione di pericolo derivante dall’intervenire sugli ingranaggi

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dimostrare che, nonostante l’assenza di adeguati strumenti di protezione degli

senza prima spegnere il motore, quando una tale prassi era tollerata e,
comunque, in assenza di strumenti cogenti che impedissero simili malaccorti
interventi (carter protettivi, meccanismi di spegnimento automatico all’atto
dell’intrusione dell’arto, presenza costante ed effettiva di personale vigilante,
ecc.). Il fatto storico, in ogni caso, resta lo stesso: si addebita l’evento lesivo
all’imputata per non avere tenuto la condotta legalmente prevista, funzionale
alla salvaguardia della salute sul luogo di lavoro.

4.3. La ricorrente, contestando, con il quarto motivo, la

adeguato conto la norma processuale la quale consente riesame in sede di
legittimità del percorso motivazionale (salvo l’ipotesi dell’inesistenza) nei soli
casi in cui lo stesso si mostri manifestamente (cioè grossolanamente,
vistosamente, ictu ocu/i) illogico o contraddittorio, dovendo, peraltro, il vizio
risultare, oltre che dalla medesima sentenza, da specifici atti istruttori,
espressamente richiamati (art. 606, comma 1, lett. e).
Peraltro, in questa sede non sarebbe consentito sostituire la motivazione
del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo
apparisse di una qualche plausibilità.
Sull’argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta
dalla sentenza n.15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente
chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il
nuovo testo dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., come modificato dalla I.
20 febbraio 2006 n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di
apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”,
non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di
legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In
questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di
procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via
esclusiva al giudice del merito. Il “novum” normativo, invece, rappresenta il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il
cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione
giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal
procedere a un’inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle
prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde
verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza
travisamenti, all’interno della decisione.

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ricostruzione del fatto operata dal giudice, non mostra di aver tenuto in

L’Anselmi, in definitiva, pretende di efficacemente contrastare il riferito
costrutto motivazionale proponendo diversa ricostruzione, peraltro neppure
dotata di maggiore plausibilità.
Il Giudice, esaminate le emergenze istruttorie, ha, con motivazione
compiuta e non illogica, per un verso, assegnato piena credibilità alla
ricostruzione dell’episodio, siccome narrato dall’infortunato e, per altro verso,
congruamente affermato la posizione di garanzia dell’Anselmi, in uno alla
violazione della normativa antinfortunistica. Invero, il Giudice d’appello ha
tenuto conto non solo delle dichiarazioni della p.o., ma anche quelle del teste

ricorrente, non contraddicono quelle dell’infortunato. Ha pure tenuto conto
delle dichiarazioni dell’ing. Silvestri, consulente della Tecno Inerti in materia di
sicurezza sui luoghi di lavoro, tuttavia, logicamente osservando che aver
ricordato nei rari momenti formativi che prima di procedere alla pulizia dei
rulli la macchina andava spenta, non aveva di certo impedito l’evento, in
quanto, spinta dalla necessità praticamente quotidiana di sopperire ai continui
blocchi del nastro trasportatore, causati dalla obsolescenza del macchinario, si
era consolidata una prassi, resa agevole dall’assenza di carter protettivi e di
altri strumenti che rendessero effettivamente cogente l’astratto divieto,
d’intervenire per sbloccare l’ingranaggio con la macchina a motore acceso.

4.4. Il quinto ed ultimo motivo, come si è anticipato, ipotizza che
l’evento, in quanto frutto di condotta abnorme del lavoratore, non era
prevedibile e prevenibile dal garante.
Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del
28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità
(tra le tante, v. Sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. IV, 17 febbraio
2009, n. 15009; Sez. IV, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. IV, 19 aprile 2007,
n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. IV, 29 settembre 2005, n.
47146; Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale
ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la
violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a
osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità,
poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o
lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei
casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che
proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la
sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo
dei garanti.

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Anselmi, che, come si è sopra accennato, al contrario di quel che opina la

Pur non potendosi in astratto escludere che possa riscontrarsi abnormità
anche in ipotesi nelle quali la condotta del lavoratore rientri nelle mansioni
che gli sono proprie, ove la stessa sia consistito in un’azione radicalmente ed
ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti
scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, qui la detta ipotesi,
comunque, residuale, non ricorre.
Incombe sul datore di lavoro il precipuo obbligo d’impedire prevedibili
imprudenti condotte dei lavoratori e, comunque, di coloro che si trovino
legittimamente all’interno dell’area di lavoro, mediante utilizzo di strumenti e

individuali di protezione e, non ultimo, l’approntamento di personale di
vigilanza capace di negare l’accesso a procedure pericolose.
La circostanza che la vittima (aderendo con imprudenza ad un modo di fare
che certamente aveva assimilato sul luogo di lavoro) abbia contribuito alla
verificazione dell’evento non può considerarsi in alcun modo causa esclusiva
dell’evento, perché imprevedibile e imprevenibile, nel senso che prima si è
chiarito.
Infine, è utile ricordare che questa Corte ha avuto modo di affermare
reiteratamente l’estrema rarità dell’ipotesi in cui possa configurarsi condotta
abnorme anche nello svolgimento proprio dell’attività lavorativa, escludendola
tutte le volte in cui il lavoratore commetta imprudenza affidandosi a
procedura meno sicura, ma apparentemente più rapida o semplice, che non
gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Sez. IV, n. 952 del
27/11/1996; Sez. IV, n. 40164 del 3/672004; Sez. IV, n. 2614/07 del
26/10/2006).

5. Disposto, pertanto, annullamento della sentenza impugnata agli
effetti penali, essendo il reato contestato estinto per prescrizione, la
medesima statuizione, ai fini civili, deve essere confermata. La ricorrente deve
essere condannata a rimborsare alla parte civile le spese legali di questo
giudizio, nella misura, vista la notula, stimata congrua e di cui in dispositivo.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
intervenuta prescrizione; fa salvi gli effetti civili e condanna l’Anselmi alla
rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, Aliko
Robert, liquidate in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso •n Roma il 21/5/20
Il

j onsii li e estensore

Il Presidente

macchinari non agevolmente alterabili, l’uso obbligatorio di dispositivi

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