Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29773 del 10/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29773 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) SIVIERO ANDREA, N. IL 26.6.1956,
avverso la sentenza n. 9851/2012 pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli il
17/4/2013;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. M. G. Fodaroni, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Giuseppe Stellato, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli ha
confermato la pronuncia emessa nei confronti di Verrazzo Francesco e di Siviero
Andrea dal Tribunale di S.M.C. Vetere, che in relazione all’infortunio mortale
occorso a D’Addio Antonio 1’11.10.2005, aveva mandato assolto il primo e
condannato il secondo.
Secondo la non contestata ricostruzione dell’accaduto, alla guida di un
furgoncino sul quale erano caricate due matasse di tubi in polietilene, ciascuna
del peso di circa cento chilogrammi, il D’Addio era giunto presso il cantiere della
Verrazzo Francesco Costruzioni aperto in via dell’Aeroporto, in Capua, nell’orario
nel quale il medesimo era ormai chiuso per la cessazione quotidiana delle
lavorazioni. Era quindi venuto a contatto con De Rosa Bartolomeo, dipendente

Data Udienza: 10/04/2015

della ditta Verrazzo, il quale gli aveva chiesto di attendere prima di scaricare le
matasse e si era allontanato per verificare se vi fossero ancora lavoratori
utilizzabili per l’operazione. Ma mentre si allontanava il De Rosa aveva sentito un
forte rumore e tornato sul posto aveva scorto il D’Addio a terra schiacciato dai
tubi caduti dal portabagagli. Anche alla luce delle risultanze della consulenza
autoptica i giudici di merito concludevano che il D’Addio era caduto dal tetto del
furgoncino, probabilmente a seguito della perdita di equilibrio, dove era salito
per sciogliere la corda che legava le matasse, e nella caduta al suolo aveva

materiale caduto dal furgone, subendo lesioni che ne avevano provocato
l’immediato decesso.
Per quel che qui rileva, al Siviero, legale rappresentante della CDM Plast
2004, alla quale il Verrazzo si era rivolto per la fornitura dei tubi, é stato ascritto
di aver cagionato la morte del D’Addio, suo collaboratore, per colpa consistita nel
non aver impartito al proprio dipendente disposizioni precise circa ciò che
avrebbe dovuto fare e su come farlo ed inoltre nell’aver fornito allo stesso un
mezzo inadeguato al trasporto e allo scarico dei materiali in condizioni di
sicurezza.
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2.1. Ricorre per cassazione tW1.ìii1ti, con atto sottoscritto dal difensore,
avv. Giuseppe Stellato.
Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 40,
589 cod. pen. e 530 cod. proc. pen., nonché vizio motivazionale.
Rileva il ricorrente che la Corte di Appello ha posto a carico del Siviero un
inesistente obbligo di coordinamento con l’impresa rifornita; evidenzia che i
materiali era stati nella maggioranza dei casi ritirati direttamente dalla ditta
Verrazzo presso la CDM Plast 2004; che la fornitura in questione non era inserita
in un generale programma, essendo meramente occasionale; che al
coordinamento era stato preposto dalla ditta Verrazzo apposito professionista.
In merito all’obbligo di vigilanza ritenuto gravante sul Siviero, rileva
l’esponente che la Corte di Appello non ha esaminato il tema della
consapevolezza dell’imputato della fornitura in questione e delle modalità con le
quali questa sarebbe stata eseguita; i DPI (scarpe antinfortunistiche e casco),
ritenuti indebitamente non forniti al lavoratore, non erano nella specie necessari,
perché il D’Addio avrebbe dovuto limitarsi al trasporto dei tubi sino al cantiere.
La Corte di Appello, poi, avrebbe dovuto motivare in ordine alla prevedibilità e
prevenibilità dell’evento prima di poter affermare che il Siviero aveva omesso di
vigilare, posto che l’esistenza del rapporto di fiducia tra il Siviero ed il D’Addio in forza del quale questi godeva di una certa autonomia decisionale – riduce

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subito lesioni al capo e subito dopo gli era stato schiacciato il torace dal

l’ambito della culpa in vigilando, specie nel caso in cui l’attività svolta in concreto
esorbiti dall’attività ordinaria. Lamenta, ancora, l’esponente che non sia stata
data replica agli argomenti difensivi che rimarcavano la necessità di ricostruire i
rapporti intercorrenti tra i diversi soggetti interessati alle opere presso il cantiere
in questione.
2.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello abbia
respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche facendo
riferimento al divieto normativo di valorizzazione dello stato di incensuratezza,

ritenendo non sufficiente a giustificare il negativo giudizio il riferimento fatto alla
pluralità di violazioni.
2.3. Con un terzo motivo si lamenta la non rispondenza della pena inflitta
alle ‘complessive circostanze del caso’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Giova premettere che al Siviero erano state mosse dall’accusa plurime
contestazioni. Nei capi da F) a M) si elencavano e descrivevano: l’omessa
redazione e trasmissione del POS prima dell’inizio dei lavori al coordinatore per
l’esecuzione; l’omesso coordinamento con la ditta GRB Costruzioni; l’omessa
visita medica preventiva del D’Addio; l’omessa dotazione di DPI al D’Addio;
l’omessa formazione ed informazione del D’Addio circa i rischi connessi
all’ambiente di lavoro ove prestava l’opera; l’omessa fornitura al D’Addio dei
necessari ed appropriati mezzi per il sollevamento di carichi pesanti.
Il primo giudice ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del Siviero
per tutte le cennate contravvenzioni per essere le medesime estinte per
prescrizione, mentre lo ha condannato per il solo delitto.
La pronuncia nei confronti del Siviero é stata appellata dal solo imputato,
con motivi che non hanno investito la declaratoria di non doversi procedere.
3.2. Tanto rilevato mette conto esplicitare che la censura mossa dal
ricorrente in merito all’addebito della violazione dell’obbligo di coordinamento
previsto per i casi di sussistenza di rischio interferenziale si confronta con una
motivazione nella quale si rinviene effettivamente menzionato un

“dovere del

Siviero non solo di coordinarsi con il destinatario della fornitura per organizzare
le operazioni di consegna e scarico della merce …”.

Tuttavia é necessario

considerare che la sentenza di primo grado in realtà fonda il giudizio di
responsabilità del Siviero sulla mancata assicurazione dell’adeguatezza del
mezzo di trasporto anche rispetto alla fase dello scarico della merce, sulla
mancata fornitura al lavoratore di mezzi di protezione individuali atti ad evitare

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rilevando che il fatto risulta commesso prima della evocata novella legislativa; e

la caduta dall’alto (cfr. pg . 21) ed inoltre sulla mancata formazione ed
informazione del lavoratore circa i rischi connessi all’attività da svolgere.
Pertanto risulta evidente che anche a ritenere fondata la lagnanza difensiva
(ed in effetti alla luce dei rapporti tra la ditta rifornita e quella del Siviero, così
come descritti nelle sentenze di merito, non sembra possa trovare spazio la
disciplina concernente il rischio interferenziale), la pronuncia di condanna trova
adeguato fondamento nelle violazioni prevenzionali sopra rammentate. Ed infatti
la Corte di Appello, subito dopo essersi espressa come sopra riproposto, ha

dipendente disposizioni precise circa ciò che avrebbe dovuto fare e su come farlo
…”, esplicando nel prosieguo della motivazione i concreti contenuti di tale
dovere.
3.3. In sostanza, ciò che i giudici di merito hanno ascritto al Siviero é di aver
lasciato che il D’Addio utilizzasse un mezzo di trasporto non adeguato allo scarico
dei materiali in condizioni di sicurezza e di non essersi attivato perché
l’operazione avvenisse in tutta sicurezza. E’ in tale quadro che si colloca sia il
richiamo alla mancata fornitura di un mezzo adeguato al trasporto: anche se il
sinistro é avvenuto nella fase di scarico dei materiali, la Corte di Appello ha ben
rimarcato che il D’Addio aveva perso l’equilibrio perché rimasto impigliato con il
piede destro nella seconda matassa, così evidenziando che l’accaduto trova un
antecedente causale anche nella inidoneità del mezzo a contenere
adeguatamente le due matasse; sia la sottolineatura dell’inadeguatezza del
mezzo alle operazioni di scarico in condizioni di sicurezza: in effetti il veicolo era
privo di gruetta o di un qualche strumento di sollevamento meccanico,
indispensabile in considerazione del peso delle matasse.
Il rilievo difensivo secondo il quale ciò presupporrebbe la dimostrazione che
il Siviero fosse a conoscenza della consegna non tiene conto della circostanza assunta dall’esponente medesimo a fondamento di talune censure – che la
fornitura era stata fatta dal D’Addio non come lavoratore autonomo ma come
dipendente e comunque per conto della ditta del Siviero. Il quale, pertanto, non
può invocare a propria discolpa di non aver saputo con quale mezzo il D’Addio
avrebbe fatto la consegna, con quali modalità avrebbe provveduto allo scarico
dei materiali, incombendo sul medesimo l’obbligo di assicurarsi che le attività
lavorative eseguite per conto dell’impresa della quale era legale rappresentante
si svolgessero in condizioni di sicurezza. Il principio costantemente ribadito da
questa Corte é che, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di
lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le
direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne
costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la

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proseguito “… ma prima ancora era obbligo del Siviero impartire al proprio

superficiale tentazione di trascurarle (Sez. 4, Sentenza n. 34747 del 17/05/2012,
Parisi, Rv. 253513).
L’insistita sottolineatura della necessità di accertare se il D’Addio avesse
eseguito la fornitura per averla direttamente concordatoucon il Verrazzo sollecita
l’analisi di una circostanza invero irk .sonferente, come correttamente ritenuto
anche dai giudici di merito. Il Tribunale ha ritenuto accertato che il trasporto dei
tubi in questione presso il cantiere del Verrazzo doveva essere inizialmente
eseguito direttamente dalla ditta produttrice e che solo per un equivoco essi

aveva dovuto curare la consegna in cantiere. Ha altresì affermato che il D’Addio
era stato portato a conoscenza dal Siviero dell’ordine eseguito dal Verrazzo e che
il lavoratore aveva la libera disponibilità del furgone, “sicché anche il non aver
impedito la consegna, certamente non imprevedibile da parte de/lavoratore ed
anzi rientrante nelle proprie attribuzioni, sarebbe di per sé equivalente al
conferimento di uno specifico mandato da parte del datore di lavoro”.
In queste parole, richiamate anche dalla Corte di Appello laddove rimarca la
grandissima autonomia lasciata dall’imputato al D’Addio, trova replica l’assunto
difensivo, che ipotizza un dato fattuale escluso dall’accertamento (che per la
consegna fosse stato concordato l’uso di mezzi della ditta Verrazzo), non
cogliendo la ratio essendi delle decisioni.
D’altronde, neppure l’esponente evoca l’ipotesi che il D’Addio abbia eseguito
l’operazione contro la volontà del Siviero, sicchè essa sarebbe stata
imprevedibile per l’imputato; la tesi che si sia trattato di un comportamento
abnorme é poi del tutto destituita di fondamento, atteso che la costante
giurisprudenza di questa Corte ricorda che é sempre esclusa l’abnormità di una
condotta pur negligente, imperita o imprudente di un lavoratore che svolga i
compiti assegnatigli (da ultimo, Sez. 4, Sen tenza n. 22249 del 14/03/2014,
Enne e altro, Rv. 259227). Anche su questo punto la sentenza impugnata non
merita le censure avanzate con il ricorso.
Né merita che le venga ascritto di non aver preso in esame la deduzione
difensiva della rilevanza della ricostruzione dei rapporti tra le diverse ditte
interessate alle opere in esecuzione nel cantiere di via Aeroporto. Invero si tratta
di questione del tutto priva di rilievo ai fini del presente giudizio, che chiama in
causa violazioni prevenzionistiche del datore di lavoro nei confronti del proprio
dipendente; sicchè quei rapporti potrebbero al più far emergere ipotesi di
correità. Ma si tratta di evenienza che – ferma restando la sua irrilevanza in
questa sede – é rimasta del tutto astratta, posto che neppure l’esponente offre
indicazioni al riguardo.

furono portati presso il Siviero; sicchè quest’ultimo, diversamente dal solito,

3.4. Anche il secondoinfondato. Pur se il richiamo operato dalla Corte di
Appello al divieto normativo per un fatto commesso 1’11.10.2005 é errato perché questo trova applicazione solo per i fatti commessi successivamente
all’entrata in vigore, risalente al 26.7.2008, della L. n. 125 del 2008, che ha
integrato l’art. 62bis c.p. mediante l’introduzione di un comma 3 che così recita:
“In ogni caso l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del
condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione
delle circostanze di cui al comma 1” (Sez. 1, Sentenza n. 23014 del 19/05/2009,

stato comunque fondato sulla gravità del complessivo comportamento del
Siviero. Si tratta di motivazione confermata dalla pluralità delle violazioni ascritte
all’imputato (si ricordi che si é formato il giudicato ‘interno’ in merito alle
molteplici contravvenzioni estinte per prescrizione), non manifestamente illogica
e in linea con il principio per il quale, nel motivare il diniego della concessione
delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e
altri, Rv. 248244).
3.5. Quanto al motivo concernente l’entità della pena, esso é aspecifico, non
concretandosi in puntuali censure a quanto esplicitato dalla Corte di Appello
quale fondamento della commisurazione della pena.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10/4/2015.

P.G. in proc. Nwankwo, Rv. 244121) -, il diniego delle attenuanti generiche é

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