Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2976 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2976 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Corrado Marco Junior, nato a Cuba il 15-03-1994
avverso la sentenza del 05-02-2014 della Corte di appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli che ha
concluso per l’annullamento con rinvio sul trattamento sanzionatorio. Rigetto nel
resto;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 05/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Marco Junior Corrado ricorre per cassazione impugnando la sentenza
indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Genova ha confermato
quella emessa dal tribunale della Spezia che, ritenuta d’ipotesi del comma 5
l’articolo 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 stimata prevalente sulle contestate
aggravanti ed esclusa la recidiva, aveva condannato il ricorrente alla pena di
anni due di reclusione ed euro 4000 di multa perché ritenuto responsabile del

perché, in concorso con altre persone, cedeva sostanza stupefacente ad
Emanuela Palumbo, Davide Porcu e al minore Mattia Delogu. In La Spezia il 6
novembre 2011.

2.

Per la cassazione dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il

difensore, solleva i tre seguenti motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi
dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la
motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione relativamente
all’integrazione del reato di cui all’articolo 73 d.p.r. 309 del 1990, sul rilievo
dell’assenza di prova nei confronti del ricorrente circa l’offerta della sostanza
stupefacente che sarebbe stata fatta dall’imputato nel proprio appartamento.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione relativamente alla
mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’inosservanza e l’erronea
applicazione della legge penale in relazione all’articolo 73 d.p.r. 309 del 1990
come modificato a seguito della sentenza numero 32 del 2014 della Corte
costituzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato sulla base del terzo motivo, che assorbe il secondo.
Il primo motivo di impugnazione è invece infondato.

2. Quanto al primo motivo, la doglianza, con la quale il ricorrente lamenta
che i Giudici del merito hanno ritenuto la responsabilità sulla base di meri indizi
stimati, a suo avviso, insufficienti per l’affermazione della colpevolezza, è
destituita di fondamento.

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reato previsto dagli articoli 73, comma 5, ed 80 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309

La Corte territoriale, con adeguata e logica motivazione, ha premesso che la
polizia giudiziaria fece irruzione nell’appartamento ove il ricorrente era ristretto
in regime di arresti domiciliari, perché sospettato di spacciare stupefacenti.
Appena entrati nell’appartamento, composto da un unico vano, gli agenti
notarono tale Eduardo Campbell vicino alla finestra che cercava di disfarsi di un
involucro contenente 0,8 grammi di hashish nonché altre persone tra cui un
minore, seduti sul letto; infine il Corrado. Sul piano della cucina gli agenti
notarono un piatto di ceramica con una striscia di cocaina e una banconota

di cellophane con un buco corrispondente all’involucro detenuto dal Campbell.
Quest’ultimo veniva trovato in possesso di altro hashish detenuto in tasca e
diviso in più pezzi.
La Corte d’appello ha tenuto conto della condizione dei luoghi (i fatti si
erano svolti in un unico locale), dell’ esposizione evidente della droga in detto
luogo (lo stupefacente era alla vista di tutti gli occupanti), della presenza di tutti
gli strumenti necessari per consumare la droga (piatto con la cocaina/ banconota
arrotolata per fiutarla, il bilancino e cutter sporchi di hashish). Questo scenario è
apparso chiaramente dimostrativo del fatto che il Corrado, titolare
dell’appartamento nel quale vi erano quei reperti, aveva messo a disposizione
dei consumatori una struttura logistica per il consumo della droga, emergendo
quindi un quadro univocamente indicativo di un consumo collettivo nel quale il
padrone di casa aveva offerto il ricovero, gli attrezzi e la sostanza, mentre un
altro ospite (il Campbell) era in possesso di diverse confezioni di hashish (alcune
rinvenutegli indosso a seguito della perquisizione) collegate anche al padrone di
casa dall’involucro proveniente dal cellophane custodito nella abitazione. Siffatta
univoca interpretazione dei fatti ha poi trovato conferma nelle affermazioni di
uno degli ospiti, Davide Porcu, il quale ha ammesso che tutti insieme avevano
consumato la cocaina.
Neppure evocato il consumo collettivo di gruppo (che, per la sua irrilevanza
penale, necessariamente richiede (Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, Galluccio,
Rv. 255258), che: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto avvenga
sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin
dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la
sostanza per mezzo

di

uno dei compartecipi, contribuendo anche

finanziariamente all’acquisto), va solo precisato, in diritto, che l’art. 73 d.p.r. n.
309 del 1990, così come le previgenti fattispecie della legge n. 685 del 1975,
prende in considerazione, fra le condotte punibili in via alternativa, la sola offerta
di stupefacenti, che può essere anche generica, come quando l’offerente inviti
altri al consumo di sostanze stupefacenti che detenga o che sia in grado di

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arrotolata, un bilancino con residui di hashish, due taglierini sporchi e una busta

procacciare, con la conseguenza che essa è, di per sé sola, generatrice di
responsabilità.

3. Il terzo motivo è fondato ed assorbe il secondo.
Osserva il Collegio che, dopo l’emanazione della decisione impugnata, è
entrata in vigore la legge 16 maggio 2014, n. 79 di conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36 che, da un lato, ha
confermato la natura di titolo autonomo di reato (già sancita dal decreto legge

lieve entità e, dall’altro, ha ulteriormente modificato il profilo sanzionatorio
fissando, tanto per le droghe leggere quanto per quelle pesanti, la pena della
reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032,00 a euro
10.329,00 (art. 1, comma 24-quater, lett. a).
Quindi, quando i giudici del merito hanno determinato, nel caso di specie, il
trattamento sanzionatorio, essi hanno tenuto conto della cornice edittale più
severa rispetto a quella prevista dall’art. 73, comma 5, d.p.r. 9 ottobre 1990, n.
309 come modificato la legge 16 maggio 2014, n. 79.
Sicché l’utilizzazione di parametri edittali diversi, rispetto a quelli stabiliti
dalle leggi successive, comporta che la pena dovrà essere nuovamente
determinata dal giudice del merito e siffatta operazione è necessitata perché è
stata considerata una pena base illegale in quanto commisurata entro un limite
edittale minimo e massimo superiore rispetto a quello previsto dallo

ius

superveniens.
Infatti, il giudice, nel determinare la pena, normalmente valuta, con
riferimento alla congruità in concreto della sanzione irrogata, sia il limite minimo
che quello massimo, avendo come riferimento, per la commisurazione, la pena in
astratto stabilita, con la conseguenza che, mutato il parametro di riferimento, il
giudice del merito deve inderogabilmente esercitare il potere discrezionale
conferitogli dagli artt. 132 e 133 cod. pen. anche perché l’irrogazione di una
pena base pari o superiore alla media edittale richiede una specifica motivazione
in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati
ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva
della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153) e ciò in
sintonia con la giurisprudenza costituzionale sull’art. 27 Cost., comma 3.
Tale compito deve pertanto essere assolto anche quando il trattamento del
caso specifico rientri nella forbice edittale di cui alla disposizione di favore
sopravvenuta.

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23 dicembre 2013 n. 146, conv. in legge 21 febbraio 2014, n. 10) dei fatti di

4. Le Sezioni Unite hanno infatti ribadito (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015,
Jazouli) che, nel valutare l’ambito entro cui può parlarsi di illegalità della pena,
occorre fare riferimento al principio di proporzione tra illecito e sanzione.
Sul punto, la Corte costituzionale ha osservato che il principio di uguaglianza
«esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in
modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione della
difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (Corte cost., sent.
n. 409 del 1989); inoltre, al principio di proporzionalità il Giudice delle leggi ha

costituzionale del minimo edittale previsto per la fattispecie di oltraggio (Corte
cost., sent. n. 391 del 1994), in cui si è ribadito che la finalità rieducativa della
pena non è limitata alla sola fase dell’esecuzione, ma costituisce

«una delle

qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto
ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione
normativa, fino a quando in concreto si estingue» e inoltre implica la presenza
costante del “principio di proporzione” tra qualità e quantità della sanzione, da
una parte, e offesa, dall’altra (Corte cost., sent. n. 313 del 1990 e, da ultimo,
sent. n. 105 del 2014).
Quindi, le nuove comminatorie impongono, secondo le Sezioni Unite Jazouli,
necessariamente di riconsiderare la pena proprio in attuazione del principio di
proporzionalità, altrimenti verrebbe legittimata l’applicazione di una pena al di
sopra della misura della colpevolezza (…). Sicché la pena edittale deve, in linea
di massima, risultare correlata alla gravità del fatto di reato (…). In altri termini,
la pena è costruita sulla gravità del fatto e giustificata da essa, nelle sue
componenti oggettive (importanza del bene, modalità di aggressione, grado di
anticipazione della tutela) e soggettive (grado di compenetrazione fatto-autore),
come sua variabile dipendente: una distonia nel rapporto o addirittura uno iato
tra i due fattori sarebbero costituzionalmente intollerabili.

5. L’illegalità della pena comporta che la questione è rilevabile d’ufficio,
indipendentemente dalla fondatezza del ricorso o dalla sua ammissibilità (Sez. U,
n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207).
Nel caso di specie, la doglianza, circa il lamentato trattamento
sanzionatorio, è stata specificamente sollevata ed essa è perciò fondata sulla
base dello ius superveníens.
Il secondo motivo di “gravame” è tuttavia assorbito in quanto la
concedibilità della pena sospesa può dipendere dalla definizione in concreto del
trattamento sanzionatorio a seguito del giudizio di rinvio, posto che la
precedente commisurazione della pena, in presenza di una condanna per rapina

5

fatto espresso riferimento nella sentenza che ha dichiarato l’illegittimità

ad anni uno e mesi sei di reclusione, rendeva, come correttamente evidenziato
dalla Corte d’appello, il beneficio non applicabile.

6. Ne consegue che la sentenza va annullata con rinvio ad altra sezione della
Corte di appello di Genova, limitatamente alla determinazione della pena, con
rigetto del ricorso nel resto.

Annulla con rinvio limitatamente alla determinazione della pena la sentenza
impugnata ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 05/11/2015

P.Q.M.

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