Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29715 del 21/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29715 Anno 2013
Presidente: MACCHIA ALBERTO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Casciani Giancarlo nato a L’Aquila il 21/5/1969
avverso la sentenza del 10/5/2012 della Corte d’appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Eduardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile;
udito l’avv. Giuseppe Campanelli per l’imputato che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 10/5/2012, la Corte di appello di L’Aquila, in

parziale riforma della sentenza del Tribunale di L’Aquila del 27/11/2007,
rideterminava la pena inflitta a Casciani Giancarlo in mesi cinque di
reclusione ed C 250,00 di multa per il reato di cui agli artt. 81, 646, 61 n. 11
cod. pen., previa assoluzione dello stesso dal medesimo reato limitatamente
all’appropriazione indebita dei telefoni cellulari e delle componenti di

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Data Udienza: 21/06/2013

personal computer, perché il fatto non sussiste.
1.1. La Corte territoriale respingeva, in parte, le censure mosse con l’atto
d’appello, in punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato in ordine al
reato allo stesso ascritto per la parte in cui ne veniva riconosciuta la penale
responsabilità.
2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando il seguente motivo di gravame: mancanza

e) cod. proc. pen., in relazione alla mancanza di motivazione in ordine alla
sussistenza della circostanza aggravante; fa, al riguardo, rilevare
l’insussistenza dell’aggravante dell’abuso della relazione lavorativa e
fiduciaria, in quanto il ricorrente, pur rivestendo la qualifica di
amministratore della società, non era nell’esclusivo possesso ed esclusiva
gestione della società, della quale lo stesso querelante deteneva l’80%
delle quote societarie. Si duole ancora il ricorrente che le dichiarazioni della
persona offesa non sarebbero state sottoposte al vaglio di attendibilità alla
luce del particolare interesse che la stessa aveva nella vicenda. Da ultimo
eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per essere

manifestamente infondato il motivo dedotto. Difatti la questione relativa
alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod.
peri, già era stata sollevata nei motivi di appello e rispetto ad essa la
motivazione della sentenza impugnata risulta esaustiva e priva di illogicità
manifesta; in tal senso la Corte territoriale dà atto di come le risultanze
univoche

dell’istruttoria

dibattimentale,

analiticamente

ricostruite,

conducano, come già ritenuto in primo grado, all’integrazione del reato di
appropriazione indebita aggravato dall’abuso della relazione lavorativa e
fiduciaria. Ed anche nella stessa sentenza di primo grado era contenuta una
specifica motivazione sul punto che, in questa sede, deve essere valutata
congiuntamente a quella di appello, evidenziandosi come la condotta posta
in essere dall’imputato dovesse considerarsi aggravata ai sensi dell’art. 61
n. 11 cod. peri., stante la palese violazione del rapporto fiduciario tra
imputato e persone offesa, in quanto il ricorrente in un caso era dipendente
della persona offesa e nell’altro ricopriva la carica di amministratore.

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e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.

Ed ancora la Corte territoriale dà, adeguatamente, atto del vaglio di
credibilità al quale sono state sottoposte la deposizioni della persona offesa
con motivazione immune da vizi di legittimità in relazione
all’appropriazione delle somme denaro. In tal senso si dà atto che il fatto
era emerso sulla base di una falsa quietanza sulla quale il ricorrente aveva
apposto la falsa sottoscrizione del Buccigrossi nonché attraverso le
dichiarazioni dei testi Papola Antonio e Maffei Felice.

Collegio che, alla data della pronuncia della sentenza impugnata non era
infatti ancora decorso il termine massimo di prescrizione, essendo stato il
reato stato commesso fino al 12/1/2005. L’inammissibilità del ricorso per
cassazione, che non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione
del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso
(Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266; sez. 4 n. 18641 del 20/1/2004,
Rv. 228349).
4.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi

dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla
luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,
sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in C 1.000,00 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso, il 21 giugno 2013

Ipqsigliere estensore

Il P esidente

Quanto all’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, rileva il

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