Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29703 del 06/06/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29703 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
LATINO GIUSEPPE, nato a LECCE, il 4.4.1959 ;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce ( sez. distaccata di Taranto ) del 23.4.2015 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Balsamo che ha
concluso per il rigetto del ricorso ;
udito per l’imputato gli Avv.ti Massimo Manfreda e Giulio De Simone, che hanno concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso ;

RITENUTO IN FATTO
1.Con la

sentenza impugnata la Corte d’Appello di Lecce, in parziale riforma del

provvedimento emesso dal Tribunale collegiale di Taranto in data 2.12.2011 ed appellato da
LATINO GIUSEPPE, ha assolto quest’ultimo per l’ipotesi distrattiva dei crediti per euro
120.841,12 per non aver commesso il fatto, e ha confermato nel resto la impugnata sentenza
per il reato di cui agli artt. 216, comma 1 n. 1, 219 comma1, 223 R.D. 16.3.1942 n. 267.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa a due motivi di doglianza.
1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, lett. b, c ed e, c.p.p.,
inosservanza di norme di legge ovvero degli art. 216 I. fall., degli artt. 192 e 533 c.p.p. e vizio
di motivazione. Deduce la parte ricorrente che, affinché possa contestarsi la violazione del
precetto di cui all’art. 216 I. fall., è necessaria la prova piena della previa esistenza del bene
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Data Udienza: 06/06/2016

oggetto di distrazione od occultamento, non ritenendosi sufficiente la mera indicazione, nel
dato contabile, del bene ; che erroneamente la Corte distrettuale aveva fondato il
convincimento della sua penale responsabilità per le scorte inerti non ritrovate sulla mera
circostanza della mancata contestazione del dato da parte del Ct della difesa e sulla sua stessa
confessione che aveva in realtà indicato al 13.09.2005 la presenza delle predette rimanenze e
delle quali non aveva, poi, saputo fornire spiegazioni in ordine alla loro destinazione finale ;
che, invece, era accreditabile la diversa ed alternativa ricostruzione dei fatti secondo cui il

della società Irta srl, giacché l’azienda gestita dalla società fallita era stata collocata presso il
detto impianto ; che, in realtà, era emersa la circostanza secondo cui il curatore non aveva
intrapreso alcuna iniziativa diretta a verificare che le predette rimanenze fossero collocate
presso gli impianti della Irta srl ; che, peraltro, anche sulla scorta della procura speciale
conferita al Nastasia, era verosimile che le predette scorte fossero state alienate da
quest’ultimo ; che dunque non poteva sapere se tra il 13 gennaio 2005, epoca della
restituzione dell’azienda condotta in affitto alla società Irta srl, alla data del fallimento,
26.7.2005 ovvero alla data dell’inventario del curatore intervenuto il 13.09.2005, le predette
scorte fossero state prelevate da terzi e che pertanto non aveva potuto neanche formalizzare
una denunzia di furto in tal senso ; che, inoltre, vi era stato da parte del giudice d’appello un
travisamento della prova atteso che non aveva rilasciato dichiarazioni confessorie in ordine alla
sua penale responsabilità atteso che aveva solo confermato la mera indicazione di quel
materiale nelle scritture contabili, benché lo stesso fosse già da tempo non più esistente.
1.2 Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b, c ed e,
c.p.p., inosservanza e falsa applicazione della legge penale sempre in relazione all’art. 216 I.
fall. e agli artt. 192 e 533 c.p.p.. Evidenzia il ricorrente che aveva candidamente ammesso
l’esistenza, sino ad una certa data, delle rimanenze di magazzino e aveva lealmente confessato
di averne perso il controllo materiale ; osserva che, pertanto, mancava l’elemento psicologico
del reato contestato e che, al più, le sue condotte potevano essere circoscritte nell’alveo di
applicazione dell’art. 217 c.p. come condotte imprudenti.
1.3 Con ulteriore memoria datata 19.5.2016 l’imputato propone ulteriori tre motivi di
doglianza, in parte ripetitivi dei precedenti.
1.3.1 Con il primo motivo denunzia violazione dell’art. 597, comma 1, c.p.p.. Evidenzia il
ricorrente che la Corte territoriale gli aveva imputato la residuale ipotesi distrattiva dei
materiali inerti a titolo commissivo anziché a titolo omissivo, senza che sul punto vi fosse stata
alcuna impugnazione da parte del Pm.
1.3.2 Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 11, 111, 117, comma 1, Cost. e 6
CEDU, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b e c, c.p.p.. Si deduce, di nuovo, il
travisamento della prova in ordine all’effettiva esistenza del materiale inerte in questione,
perché solo indicato in bilancio, e ciò non giustificava l’addebito penale non essendo attendibile
il dato contabile.
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materiale inerte di cui al capo di imputazione doveva trovarsi già al 2003 presso l’impianto

1.3.3 Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 192 c.p.p., 42 e 43 c.p., nonché
dell’art. 27, comma 1, e 3 Cost. in tema di omesso accertamento del dolo. Rileva il ricorrente
che mancava un accertamento in capo all’imputato della volontà di distrarre ovvero di
occultare il materiale inerte non rintracciato dal curatore.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.

già assolto, innanzi al primo giudice, per l’ipotesi distrattiva del macchinario dell’escavatore originariamente contestata – giacché il detto macchinario era stato, successivamente,
rintracciato nel patrimonio aziendale. Ed invero, ad analoga conclusione assolutoria si era
pervenuta in relazione anche alla cd. distrazione dei “crediti”, e ciò nel giudizio di secondo
grado, atteso che, in parte, i predetti crediti erano stati pagati nelle mani dell’Anastasia ( che
aveva un procura generale alla gestione dell’impresa ) e, in parte, erano stati oggetto di
procedure di recupero.
3. Ciò detto, il primo motivo è inammissibile.
3.1 Sotto il profilo del denunziato vizio argomentativo, ritiene la Corte che le censure si
presentino come manifestamente infondate.
Orbene, osserva subito la Corte come la motivazione resa, sul punto qui da ultimo in
discussione, dal giudice di appello sia giuridicamente corretta, atteso che non era stato
comunque provato da parte dell’odierno ricorrente la destinazione finale del materiale inerte
non rintracciato nel patrimonio aziendale.
3.1.1 Giova ricordare che, in subiecta materia, non si è in presenza di alcuna inversione
dell’onere probatorio, giacché una volta che la pubblica accusa abbia dimostrato – come
avvenuto, peraltro, nel caso di specie – l’intervenuta distrazione di risorse da parte
dell’amministratore della società fallita, allora incombe a quest’ultimo la prova e la
dimostrazione della destinazione delle dette risorse per finalità di compatibilità con l’attività
d’impresa.
Quest’ultima considerazione vale anche per le doglianze sollevate dalla parte ricorrente proprio
in relazione alla distrazione del cd. materiale inerte, atteso che non è stata fornita la prova da
parte dell’amministratore – su cui ciò incombeva – della destinazione finale del detto
materiale.
3.1.2 Occorre ricordare che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nell’affermare che in
materia di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della
società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera
dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti ( Cass., Sez. 5, n. 19896 del
07/03/2014 – dep. 14/05/2014, Ranon, Rv. 259848 ). Orbene, la prova della distrazione o
dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta – come, in buona
sostanza, hanno fatto i giudici di merito – dalla mancata dimostrazione, ad opera
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2.1 Occorre, in primo luogo ricordare, per completezza ricostruttiva, che l’imputato era stato

dell’amministratore, della destinazione dei beni non rintracciati ( Cass., Sez. 5, n. 7048 del 27
novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv.
231411).
Ebbene, nell’elaborare le sue

doglianze il ricorrente trascura la costante elaborazione

giurisprudenziale seguita dal giudice di legittimità, la quale si ancora alla peculiarità della
normativa concorsuale.
In tal senso deve quindi ricordarsi che l’imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una

delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Donde la diretta responsabilità
del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrità della garanzia.
La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le
aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di
bancarotta fraudolenta. Peraltro, l’art. 87, comma 3, I. fall., ( e ciò, anche prima della sua
riforma) assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al
momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione
penale.
Ne discende che le condotte descritte all’art. 216, comma 1, n. 1 (tra loro sostanzialmente
equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel
contesto dell’interpello. Osservazioni che giustificano la sola apparente “inversione dell’onere
della prova” ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della
procedura e di assenza di giustificazione al proposito (o di giustificazione resa in termini di
spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione).
Ed invero, si tratta di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta
destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che presumibilmente soltanto egli, che è oltre che il responsabile – l’artefice della gestione, può rendere ( Cass., Sez. 5, n. 7588 del 26
gennaio 2011, Buttitta e altri ).
3.1.3 Ciò posto, osserva ulteriormente la Corte come nel caso di specie la fattispecie è stata
resa ancora più chiara dalla stessa confessione resa sul punto da parte del ricorrente che ha
ammesso l’esistenza del materiale inerte del quale poi si è persa traccia e soprattutto della
quale l’amministratore avrebbe dovuto fornire spiegazione, per le ragioni già sopra
evidenziate.
3.2 Nel resto, le doglianze sollevate dalla parte ricorrente, nel primo motivo, sono versate in
fatto e come tali sono irricevibili in questo giudizio di legittimità.
3.3 Sul punto, giova in primo luogo ricordare che, in relazione al contenuto della doglianza, la
Corte di legittimità non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto, posti a
fondamento della decisione di merito. La valutazione di questi elementi è riservata in via
esclusiva al giudice di merito e non rappresenta vizio di legittimità la semplice prospettazione,
da parte del ricorrente, di una diversa valutazione delle prove acquisite, ritenuta più adeguata.
Ciò vale, in particolar modo, per la valutazione delle prove poste a fondamento della decisione.
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posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell’adempimento

Ed infatti, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non può stabile
se la decisione del giudice di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una “plausibile opinabilità di apprezzamento”.
Ciò in quanto l’art. 606 comma 1, lett. e, c.p.p. non consente al giudice di legittimità una
diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo
al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati

base della lettura del testo del provvedimento impugnato. Detto altrimenti, l’illogicità della
motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quella
evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della
rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
3.3.1 Orbene, secondo la giurisprudenza più recente ricorre il vizio della mancanza, della
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti
inadeguata nel senso di non consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici
che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire,
per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio,
sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti
( Cass., Sez. IV, 14 gennaio 2010, n. 7651/2010).
3.3.2 Ciò detto, osserva la Corte come in realtà la parte ricorrente, anziché articolare le
doglianze come una censura alla tenuta logica complessiva della argomentazione impugnata,
voglia invece sollecitare il giudice di legittimità ad una ormai inammissibili rivalutazione
“contenutistica” del “materiale probatorio” già valutato e scrutinato correttamente e con
argomentazioni giuridicamente corrette ( per le ragioni già sopra evidenziate ) e scevre da
aporie e contraddizioni da parte dei giudici di merito, di talché seguire il ricorrente nel
ragionamento relativo alle manchevolezze in cui sarebbe incorso il curatore fallimentare nella
mancata ricerca del materiale non rintracciato vorrebbe riaprire la valutazione “di merito” delle
prove ammesse nelle precedenti fasi, operazione quest’ultima che è invece inibita al giudice di
legittimità.
4.

Ma anche il secondo motivo di doglianza, in tema di valutazione dell’elemento soggettivo

del reato, è palesemente inammissibile, atteso che in realtà anche qui la parte ricorrente
prospetta valutazioni di merito delle prove già scrutinate dalla Corte territoriale.
5. In ordine alle censure sollevate nella successiva memoria del 19.05.2016, ritiene la Corte
che la censura sollevata in relazione all’asserita violazione dell’art. 597, primo comma, c.p.p.,
sia radicalmente inammissibile per essere la stessa “nuova” rispetto ai motivi di ricorso già

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processuali. Piuttosto è consentito solo l’apprezzamento sulla logicità della motivazione, sulla

presentati e che inoltre le ulteriori doglianze sono meramente ripetitive di quelle per quali si è
sopra detto in merito alla loro inammissibilità.
5. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento,
in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro
1000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del

Così deciso in Roma, il 6.6.2016

procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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