Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29701 del 25/05/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29701 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAPPUCCI ANNA nato il 09/07/1954 a TURSI

avverso la sentenza del 22/09/2015 del GIUDICE DI PACE di MATERA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 25/05/2016, la relazione svolta dalConsigliere FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del
che ha concluso per

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 25/05/2016

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Pasquale Fimiani, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
per il ricorrente l’avv. Francesco Rizzo, ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

non doversi procedere nei confronti di Cappucci Anna, ai sensi dell’articolo 131bis cod. pen. e 651-bis cod. proc. pen., per i reati di tentate lesioni, diffamazione
e minaccia in danno di Mirri Clara Emma. In particolare il giudice, nel corso
dell’istruttoria dibattimentale, preso atto delle risultanze processuali e disposta
l’acquisizione di una parte del fascicolo del pubblico ministero, dichiarava chiusa
la medesima, invitava le parti a concludere e pronunciava nel senso anzi detto.
2. Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, avv. Francesco
Antonio Rizzo, con atto affidato a due motivi.
3. Con il primo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione degli
articoli 131-bis cod. pen. e 651-bis cod. proc. pen., poiché la sentenza non è
stata resa

“in seguito al dibattimento”,

a causa della scelta irrituale del

giudicante di “non procedere oltre con il dibattimento”, in tal modo trascurando
che

“la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per

particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato
quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e
all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o
amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei
confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia
intervenuto nel processo penale” (art. 651 bis cod. proc. pen.).

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli articoli 15 e 131-bis
cod. pen. e 34 del D. Lgs. 274/2000, poiché l’istituto della non punibilità per
particolare gravità del fatto non è applicabile ai reati di competenza del giudice di
pace, come affermato da questa Corte (Sez. F, n. 34672 del 06/08/2015,
Cacioni, Rv. 264702), essendo la verifica in ordine ai presupposti per
l’applicazione di tale istituto già stata compiuta con esito negativo, allorchè è
stata esclusa la declaratoria di improcedibilità per la particolare tenuità del fatto
ex art. 34 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, la quale implica una delibazione più
ampia di quella richiesta ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen..

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1. Con la sentenza del 22 settembre 2015, il Giudice di pace di Matera dichiarava

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto.
Il giudice di pace è incorso in plurime violazioni di legge, dal punto di vista
processuale e sostanziale, nell’applicare l’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen.,
introdotto nell’ordinamento per effetto del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
1.1 Va premesso in via generale che l’art. 131-bis cod. pen. disciplina l’ipotesi di

accertamento: una volta riscontrata esistente, il fatto rimarrà antigiuridico ma per scelta di politica criminale operata dal legislatore a fini eminentemente
deflattivi – non andrà incontro a sanzione. La sussistenza dei presupposti per
l’applicazione della norma in esame, dunque, esclude l’assoggettabilità
dell’autore di un fatto-reato alla pena che dovrebbe conseguirne, ma non
l’antigiuridicità

del

fatto-reato

medesimo:

infatti

le

“disposizioni di

coordinamento processuale” previste dall’art. 3 del suddetto d.lgs. prevedono,
attraverso l’introduzione dell’art. 651-bis del codice di rito, l’efficacia di giudicato
della sentenza di proscioglimento ex art. 131-bis (in sede civile od
amministrativa) non solo in punto di sussistenza del fatto e della sua riferibilità
all’imputato, ma anche della sua “illiceità penale”.
La condotta che realizza un’offesa particolarmente tenue integra dunque un
reato, esistente in tutte le sue dimensioni e componenti: oggettive, soggettive e
di (modesta) lesività.
1.2 La relazione allo schema di decreto legislativo, poi sfociato nella stesura
definitiva del d.lgs. n. 28/2015, avverte che il testo normativo,

“nell’attuare

l’indicazione del legislatore, muove dall’implicita ma ovvia premessa che la c.d.
‘irrilevanza del fatto’ sia istituto diverso da quello della c. d. ‘inoffensività del
fatto’. Quest’ultimo, come recepito dalla giurisprudenza costituzionale e comune
ormai largamente prevalente, attiene alla totale mancanza di offensività del
fatto, che risulta pertanto privo di un suo elemento costitutivo e in definitiva
atipico e insussistente, come reato. Com’è noto, l’ipotesi della inoffensività del
fatto è stata ricondotta normativamente all’art. 49, comma 2, cod. pen.;
diversamente, l’istituto in questione della ‘irrilevanza’ per particolare tenuità
presuppone un fatto tipico e, pertanto, costitutivo di reato ma da ritenere non
punibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia
processuale. Ne viene che la collocazione topografica della sua disciplina non può
che essere quella delle determinazioni del giudice in ordine alla pena: e,
pertanto, lo schema di decreto delegato ha ritenuto di inserire la disciplina

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un fatto tipico, la cui pur lieve offensività deve intendersi oggetto di

sostanziale del nuovo istituto in apertura del Titolo V del Libro I del codice
penale, subito prima degli articoli concernenti l’esercizio del potere discrezionale
del giudice nell’applicazione della pena”.
A sua volta, la relazione della commissione ministeriale di studio per
l’elaborazione delle proposte ai fini dell’attuazione della legge delega n. 67/2014
ricorda che nel caso di specie la non punibilità

“comporta comunque

un’affermazione di responsabilità, dalla quale tuttavia non derivano effetti e
conseguenze penali diversi da quello della iscrizione del provvedimento nel

1.3 Una parte della dottrina, a proposito delle sentenze emessa in seguito a
dibattimento, ha parlato di

criptocondanne,

poiché pur se formalmente di

proscioglimento, le decisioni sono fondate sul pieno accertamento di tutti i
presupposti della penale responsabilità e possono essere considerate veri e
propri precedenti penali, non sono ai fini della valutazione del requisito della non
abitualità, in futuri procedimenti per fatti bagatellari, ma anche ad ulteriori fini
penalistici, quali la determinazione della pena o la prognosi prevista per la
sospensione condizionale della pena.
1.4 Una significativa conferma della correttezza dell’approccio ermeneutico
appena illustrato si ricava da una delle decisioni di questa Corte che hanno avuto
modo di occuparsi del nuovo istituto, secondo la quale

«la declaratoria di

estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. sia perché diverse
sono le conseguenze che scaturiscono dai due istituti, sia perché il primo di essi
estingue il reato, mentre il secondo lascia inalterato l’illecito penale nella sua
materialità storica e giuridica» (Sez. III, n. 27055 del 26/05/2015, Sorbara, Rv
263885). In applicazione degli stessi principi, deve poi ritenersi che
l’introduzione dell’art. 131-bis cod. pen. non determini alcuna abolitio criminis, sì
da comportare una possibilità di revoca di precedenti pronunce definitive ai sensi
dell’art. 673 del codice di rito; se il presupposto per ritenere operante il nuovo
istituto è che il fatto concreto debba avere rilevanza penale, attraverso una pur
marginale lesione od esposizione a pericolo del bene protetto dalla norma
° incriminatrice, i più favorevoli effetti della novella soggiacciono ai limiti di cui
all’art. 2, comma quarto, cod. pen., mentre un’eventuale abrogazione
inciderebbe sul disvalore della fattispecie astratta ex se, piuttosto che sulla sola
punibilità in concreto di un fatto determinato.
1.5 Sul piano processuale l’applicazione della causa di non punibilità non richiede
il consenso dell’imputato, né prevede una facoltà di opposizione della persona

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Casellario giudiziale”.

offesa, nemmeno in fase investigativa. Ciò è coerente con la sua natura giuridica
di istituto di diritto sostanziale, diretto a dare piena attuazione al principio
costituzionale di sussidiarietà o extrema ratio del diritto penale, che ritiene, ai
fini dell’applicazione di una pena, tale da giustificare l’esigenza di
risocializzazione dell’autore mediante la massima sanzione (art. 27, comma 3,
Cost.), consistente nel sacrificio della libertà personale (art. 13 Cost.), e
comunque nella compromissione di diritti fondamentali, non sufficiente la

necessario anche un bisogno di pena, per l’inefficacia di altri strumenti di tutela
meno afflittivi.
2. Fatte queste brevi precisazioni in via generale, appare evidente la violazione
di numerose regole processuali operata dal giudice di pace, il quale, senza
completare il dibattimento ed in assenza del consenso delle parti, ha disposto
l’acquisizione di una parte del fascicolo del P.M., ha chiuso l’istruttoria
dibattimentale ed ha invitato le parti a concludere, pronunciando una sentenza ai
sensi dell’art. 651-bis, comma 1, cod. proc. pen., che avrebbe invece richiesto
uno svolgimento completo dell’istruttoria dibattimentale.
3. La decisione impugnata ha però violato anche la legge sostanziale, poiché ha
applicato un istituto ad una fattispecie che non la consentiva.
3.1 Questa Corte ha ormai risolto in senso negativo il problema dell’applicabilità
della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto nel procedimento
davanti al giudice ordinario, trovando invece applicazione la speciale disciplina di
cui all’art. 34 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Sez. 7, n. 1510 del 04/12/2015 dep. 15/01/2016, Bellomo, Rv. 265491; Sez. 5, n. 7264 del 15/12/2015 – dep.
24/02/2016, Vergine, Rv. 265816; Sez. F, n. 38876 del 20/08/2015, Morreale,
Rv. 264700; Sez. 4, n. 31920 del 14/07/2015, Marzola, Rv. 264420).
Si è infatti osservato che ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 28 agosto 2000,
n. 274, rubricato “principi generali del procedimento davanti al giudice di pace”,
in tale procedimento si osservano di regola le norme contenute nel codice di
procedura penale e nei titoli I e II del decreto legislativo 28 luglio 1989, n.
271, “in quanto applicabili” e salvo le specifiche eccezioni quanto ad istituti e
procedimenti speciali ad esso espressamente dichiarati non applicabili.
3.2 Il nuovo istituto è strutturalmente diverso e non coordinato rispetto a quello
previsto dal rito davanti al giudice di pace, che conosce l’istituto del fatto di
particolare tenuità, disciplinato dall’art. 34 del D. Lgs. n. 274 del 2000,
disposizione speciale rispetto a quella generale codicistica, sia pure

ratione

temporis successiva: il primo si ha quando, rispetto all’interesse tutelato,

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meritevolezza di pena in base al bene ed alle modalità di aggressione, ma

l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità
e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto
conto altresì del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle
esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad
indagini o dell’imputato; nel secondo la punibilità è esclusa quando, per le
modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi
dell’articolo 133, comma 1, cod. pen. (con parametri valutativi quindi ulteriori

solo grado della colpevolezza), l’offesa è di particolare tenuità e il
comportamento risulta non abituale (anziché occasionale ex art. 34 cit.).
3.3 L’incompatibilità con il processo di pace discende però dalla differente
funzione che l’istituto persegue, di attuazione del principio di

extrema ratio,

rispetto a quello omologo previsto dall’art. 34, nell’ambito di una giurisdizione
eminentemente “conciliativa”, che dà risalto peculiare alla posizione dell’offeso
dal reato, riconoscendogli, nei reati procedibili a querela, un (singolare) potere di
iniziativa nella vocatio in jus di pace e, nell’ipotesi processo giunto alla fase del
dibattimento, attribuendogli un potere interdittivo della definizione ex art. 34,
mediante la dichiarazione espressa di opposizione, che verosimilmente interverrà
proprio laddove fallisca il confronto tra le parti. Si è osservato in dottrina che una
eventuale applicazione della particolare tenuità di cui all’art. 131-bis c.p. nel
sistema del giudice di pace potrebbe fortemente pregiudicare le esigenze della
persona offesa e quindi frustrare l’obiettivo di “dialogo” tra i soggetti, che il
legislatore ha posto come vero obiettivo del rito.
3.4 Conduce alla stessa conclusione anche una indicazione desumibile dai lavori
preparatori del decreto legislativo n. 28 del 2015, perché il legislatore delegato
non ha accolto l’invito rivolto dalla Commissione Giustizia della Camera a
valutare “l’opportunità di coordinare la disciplina della particolare tenuità del
fatto prevista dell’art. 34 del d.lgs. 28 ottobre 2000, n. 274, in riferimento ai
reati del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in esame”
ed è stato anche disatteso il suggerimento avanzato da talune precedenti
Commissioni ministeriali di abrogare espressamente l’art. 34 D. Lgs. n. 274 del
2000.
4. In conclusione, essendo i reati contestati di competenza del giudice di pace, la
causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. non poteva
essere riconosciuta, trovando invece applicazione la disciplina speciale della
tenuità prevista dall’art. 34 del D. Lgs. n. 274 del 2000.

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rispetto all’elemento costituito, ai sensi dell’art. 34 D. Lgs. n. 274 del 2000, dal

La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio per nuovo giudizio al
giudice di pace di Matera.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di Matera per il
giudizio.

Il consigliere estensore

Il Pre ente

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016

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