Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29700 del 25/05/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29700 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO
nei confronti di:
MILIENI ANTONIO nato il 19/10/1975 a ROSSANO

f

moftre:
MILIENI ANTONIO nato il 19/10/1975 a ROSSANO
-7

avverso la sentenza del 10/06/2015 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 25/05/2016, la relazione svolta dalConsigliere FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del
che ha concluso per

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 25/05/2016

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gabriele Mazzotta, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
per la parte civile è presente l’avv. Carlo Massimo Pecora, che chiede
l’accoglimento del ricorso del PG ed il rigetto di quello dell’imputato;
per il ricorrente sono presenti gli avv.ti Maurizio Minnicelli e Lucia Rita Pistola,

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 giugno 2015 la Corte d’appello di Catanzaro confermava
la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Rossano in data 30 maggio 2011,
appellata dal pubblico ministero e dall’imputato, con la quale Milieni Antonio era
condannato alla pena di un anno e due mesi di reclusione per lesioni colpose
gravissime (così riqualificata l’originaria imputazione di lesioni volontarie
gravissime) ed era assolto dall’accusa di porto in luogo pubblico di armi comuni
da sparo.
La vicenda riguarda le lesioni gravissime riportate da Prantera Giuseppe, il quale
veniva attinto alla testa da un proiettile mentre si trovava alla guida del proprio
veicolo, in quel momento fermo ed a motore acceso sulla SS 106 ionica, a causa
dell’intenso traffico; entrambe le decisioni hanno individuato la causa di tali
lesioni nella condotta dell’imputato, il quale si stava esercitando a colpire un
secchio di latta nella sua proprietà, sovrastante la strada statale, esplodendo
numerosi colpi di pistola (almeno 29, secondo l’imputazione).
Contro la decisione hanno proposto ricorso la Procura generale di Catanzaro ed il
difensore dell’imputato.
2. Il ricorso del Procuratore generale di Catanzaro è affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in
relazione agli articoli 4 e 7 della L. 895 del 1967, per avere la sentenza escluso il
porto di armi in “luogo pubblico”, sostenendo che il fucile e la pistola erano state
portate in luogo “non pubblico”, tale qualificando il fondo rustico nella piena
disponibilità dell’imputato, debitamente recintato e dunque inidoneo ad integrare
i caratteri del “luogo aperto al pubblico” richiesto dalle norme penali.
La parte ricorrente evidenzia che la stessa Corte territoriale dà atto di “una non
assoluta inaccessibilità dei luoghi”, giudicando però poi decisiva la circostanza
che l’accesso era chiaramente vietato agli estranei. In tal modo il giudice del

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che chiedono il rigetto del ricorso del PG e l’accoglimento del proprio ricorso.

gravame ha ignorato che nella realtà il fondo era solo parzialmente recintato ed
era comunque agevolmente accessibile, da altri cacciatori o da coloro che
volessero transitarvi per accedere ai terreni vicini, come ha dimostrato il facile
ingresso da parte dei militari che ivi bloccarono l’imputato.
Con riferimento specifico al porto della pistola, si sottolinea che questo era
sfornito di ogni titolo legittimante, essendo l’arma destinata ad uso sportivo ed

2.2 Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione
della legge penale in relazione all’articolo 43 cod. pen., per avere la sentenza
escluso la ricorrenza del dolo eventuale, trascurando alcuni significativi elementi
probatori, sottolineati nell’atto di gravame della pubblica accusa, che
deponevano invece in senso contrario, alla luce di una nota e recente decisione
delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G.,
R.C., Espenhahn, Rv. 261105), la quale individua gli indicatori in base ai quali
distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosiciente.
Gli elementi nella fattispecie concreta erano i seguenti:
a) la perfetta conoscenza dei luoghi e dunque della presenza di un’arteria
stradale frequentatissima nei dintorni;
b) la consapevolezza che i colpi di pistola non andati a segno potessero finire
contro qualche albero o verso il mare;
c) la buona conoscenza in materia di armi, tale da far comprendere che la gittata
massima dell’arma utilizzata era ben superiore alla distanza dell’arteria stradale;
l’imputato era titolare di porto d’armi sportivo, frequentatore di poligoni, lettore
assiduo di riviste specializzate e dunque consapevole del divieto di fare uso delle
armi in un contesto come quello in cui avvennero i fatti;
d) la precedente lite con il padre, avente come causa proprio il trasporto e l’uso
dell’arma per il tiro a segno;
e) la condotta successiva al fatto, rappresentata dalla negazione di aver usato la
pistola e dall’indicazione di una posizione di tiro diversa da quella reale
(accertata dai consulenti balistici) rispetto al confine di proprietà;
f) il

fine impellente e prioritario

per il quale l’imputato aveva agito,

rappresentato dallo scopo di scaricare la propria tensione;
g) la mancanza di qualsiasi rischio per l’agente, anche in caso di verificazione
dell’evento, poiché la sua persona non poteva esserne coinvolta;

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avendola invece l’imputato portata abusivamente nel proprio podere.

h) la consapevolezza di aver sparato in un contesto di assoluta illegalità,
nonostante i rimproveri del padre;
i) il fatto che l’azione dell’imputato si poneva in una situazione di
incommensurabile lontananza dalla condotta standard, soprattutto alla luce della
sua conoscenza specifica della materia delle armi;
j) la reiterazione della condotta, che incrementava fortemente il rischio di

k) l’aver agito con atteggiamenti razionali, disattendendo i rimproveri paterni e
scegliendo di sparare per il perseguimento di un impulso, malgrado l’evidenza
dei divieti e dei rischi connessi al suo agire illecito, in tal modo ponendosi
rispetto all’evento nella sostanziale condizione di chi, pur avendo avuto certezza
del verificarsi di esso, avrebbe agito ugualmente (cd. formula di Frank).
3. Il ricorso dei difensori dell’imputato, avv.ti Maurizio Minnicelli e Lucia Rita
Pistola è affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea interpretazione
ed applicazione di legge in relazione all’art. 45 cod. pen., per avere la sentenza
ignorato le diverse letture della vicenda offerte dalle osservazioni tecniche dei
consulenti tecnici di parte e dagli ulteriori elementi probatori emersi.
In primo luogo si evidenzia che non si può affermare con rigorosa certezza che il
proiettile che ha attinto la vittima sia partito dalla pistola dell’imputato, poiché la
valutazione è stata fatta sulla base di un esame TAC e non del reperto, che non
può essere estratto dalla scatola cranica della vittima.
Sotto altro profilo, la difesa evidenzia che l’unica posizione dell’imputato
compatibile con gli accertamenti dei Carabinieri è quella dichiarata dal Milieni,
ossia che egli si trovava sotto il piano di campagna antistante a sè, con un
orizzonte coperto da una barriera naturale (costituita da terra e vegetazione) ed
ad oltre 600 metri di distanza in linea d’aria dalla strada statale, la quale era
assolutamente non visibile dalla posizione di sparo. Come affermato anche dai
consulenti del pubblico ministero, non essendo il ferito visibile dallo sparatore,
“l’evento è riconducibile ad un caso fortuito e non volontario”; non è invece
condivisibile l’individuazione della distanza di circa 525 m tra lo sparatore e la
persona offesa e la ricostruzione di una traiettoria lineare dello sparo, poiché
frutto di un ragionamento ascientifico ed illogico. Parimenti illogica è l’ipotesi che
il Milieni abbia sparato con la pistola ad un uccello fermo o in volo, poiché nessun
cacciatore utilizzerebbe un’arma del genere per un bersaglio piccolo; d’altra

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verificarsi dell’evento;

parte, se così fosse, il colpo sarebbe stato esploso verso l’alto e dunque non in
linea diretta verso la vittima.
A giudizio della difesa è più verosimile la ricostruzione offerta dallo stesso
imputato, suffragata da numerosi elementi di prova (il ritrovamento dei bossoli;
le tracce ritrovate sulle pietre; le dichiarazioni del padre): egli si trovava
all’interno della proprietà e non al confine, in un punto dal quale la strada statale

in pali e filo spinato, siepi arbustive di macchia mediterranea, e una vasta
collina, pure coperta di arbusti, tra i quali emergeva una quercia adulta. Secondo
la tesi difensiva il colpo, sparato da circa 608 m, ha subito una deviazione
imprevista ed imprevedibile, tale da integrare l’ipotesi del caso fortuito, oppure
non proveniva affatto dalla pistola del Mileni, ma da quella di un cacciatore che si
trovava nella zona o comunque di altra persona che si esercitava nel tiro ad un
bersaglio.
Come ulteriore elemento di contraddittorietà della motivazione, si evidenzia che
la Corte territoriale da una parte esclude che l’imputato abbia avuto
consapevolezza di quello che stava accadendo, ma dall’altra afferma la
sussistenza della colpa: se l’imputato non ha previsto l’evento, anche perché non
era in astratto prevedibile, è evidente che non può esservi colpa. A riprova di ciò
si evidenzia che il Mileni, pur sentendo il suono di alcune sirene, è rimasto
tranquillamente sul posto, addirittura prendendo il fucile da caccia ed andando in
giro a sparare, circostanza che è del tutto in contrasto con una colpevole
causazione dell’evento lesivo.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod.
proc. pen., lettera b) ed e), in relazione all’art. 62-bis cod. pen., per il diniego
delle attenuanti generiche, fondato su una valutazione di gravità della colpa, in
contrasto con la affermata carenza del momento cognitivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi vanno entrambi rigettati.
1. La prima doglianza proposta dal Procuratore generale di Catanzaro è
inammissibile.
Premesso che, ai fini della configurabilità del delitto di porto illegale di arma da
fuoco, per “luogo aperto al pubblico”, deve intendersi quello al quale chiunque

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non era assolutamente visibile e vi era una barriera rappresentata da recinzioni

può accedere a determinate condizioni, ovvero quello frequentabile da un’intera
categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che
abbiano la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione
di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto (Sez. 5, n. 22890 del
10/04/2013, Ambrosio, Rv. 256949; Sez. 1, n. 16690 del 27/03/2008,
Bellachioma, Rv. 240116), la Corte territoriale, con motivazione non
manifestamente illogica, ha ritenuto di escludere la sussistenza del reato, poiché
dalla descrizione dei luoghi si riassume con chiarezza che la proprietà era
recintata e, se non assolutamente inaccessibile, l’accesso ne era chiaramente
vietato agli estranei. A tale giudizio il ricorrente contrappone una diversa
valutazione in punto di fatto (il fondo era solo parzialmente recintato ed era
comunque agevolmente accessibile, da altri cacciatori o da coloro che volessero
transitarvi per accedere ai terreni vicini), inammissibile in sede di legittimità.
2. Il secondo motivo, invece, è infondato.
2.1. In premessa, rileva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata
deve essere valutata al lume della recente pronuncia delle Sezioni unite (Sez. U,
n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn) intervenuta proprio sul tema dei rapporti
tra dolo eventuale e colpa cosciente, rimarcando la centralità, nel primo, della
dimensione volitiva dell’elemento soggettivo del reato. Infatti, hanno affermato
le Sezioni unite (par. 43.2.) che «se la previsione è elemento anche della colpa
cosciente, è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo
eventuale e colpa cosciente», laddove «la colpevolezza per accettazione del
rischio non consentito corrisponde alla colpevolezza propria del reato colposo,
non alla più grave colpevolezza che caratterizza il reato doloso»;
configurabilità del dolo eventuale, pertanto, non basta

ai fini della

«la previsione del

possibile verificarsi dell’evento; è necessario anche — e soprattutto — che
l’evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il
raggiungimento di un determinato risultato»; nel dolo eventuale, infatti, «oltre
all’accettazione del rischio o del pericolo vi è l’accettazione, sia pure in forma
eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa rappresenta il possibile
prezzo di un risultato desiderato». Nella prospettiva tracciata dalle Sezioni unite
(par. 50), dirimente, ai fini della configurabilità del dolo eventuale,

è «un

atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per il caso
che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria
condotta», sicché riveste decisivo rilievo che «si faccia riferimento ad un reale

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,

atteggiamento psichico che, sulla base di una chiara visione delle cose e delle
prospettive della propria condotta, esprima una scelta razionale; e, soprattutto,
che esso sia rapportato allo specifico evento lesivo ed implichi ponderata,
consapevole adesione ad esso, per il caso che abbia a realizzarsi».

Nella

consapevolezza della complessità dell’accertamento giudiziale dell’elemento
soggettivo del reato, le Sezioni unite hanno indicato alcuni indizi o indicatori del

unite hanno affermato che per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini
della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione
che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è
verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal
fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l’esito del processo
decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della
condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze
dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento
successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle
conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le
conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il
contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere,
alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe
trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura
verificazione dell’evento (cd. prima formula di Frank).
2.2. La Corte territoriale (come già il Tribunale) ha fatto corretta applicazione di
questi principi, valorizzando alcuni elementi concreti (la posizione dei luoghi, la
distanza con la strada statale, il fatto che l’imputato abbia continuato a sparare
nonostante avesse notato un certo movimento) che sul piano logico
consentivano di escludere la consapevolezza di quello che stava accadendo.
Né la decisione può essere censurata sotto il profilo della carenza di motivazione
in ordine ai singoli punti elencati in ricorso, per un omesso esame delle doglianze
formulate in sede di appello, poiché, dalla verifica dell’atto di impugnazione, si
evince una certa genericità della doglianza, appuntata esclusivamente sul
momento cognitivo del dolo ed in alcun modo su quello volitivo: il Procuratore
appellante si è limitato a sottolineare la considerevole esperienza e passione in
materia di armi e la lite con il padre proprio causata dall’uso della pistola,
concludendo che l’imputato non poteva non avere consapevolezza del rischio di

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dolo eventuale: nella sintesi offertane dalla massima (Rv. 261105), le Sezioni

verificazione dell’evento lesivo. Nè può ritenersi preclusa al giudice di legittimità
l’accesso all’atto di impugnazione, proprio al fine di accertare la congruità e la
completezza dell’apparato argomentativo adottato dal giudice di secondo grado
con riferimento alle doglianze mosse alla decisione impugnata, rientrando nei
compiti attribuiti dalla legge alla Corte di Cassazione la disamina della specificità
o meno delle censure formulate con l’atto di appello quale necessario

(Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del
13/12/2013 – dep. 22/01/2014, Dall’Agnola, Rv. 257967; Sez. 6, n. 35918 del
17/06/2009, Greco, Rv. 244763)
3. Anche il primo motivo proposto nell’interesse del Mileni è infondato, al limite
dell’inammissibilità.
3.1 Il ricorrente propone una lettura alternativa degli elementi di prova, volta a
suffragare la tesi difensiva secondo la quale l’imputato non si trovava al confine
del fondo ma al suo interno, a distanza maggiore dalla strada statale, al fine di
escludere che il colpo di pistola provenisse dalla sua pistola o, quanto meno, di
accreditare una ipotesi alternativa, secondo la quale il colpo avrebbe subito una
deviazione imprevista ed imprevedibile e dunque l’evento sarebbe ascrivibile al
caso fortuito.
In tal modo egli però dimentica che il sindacato demandato a questa Corte sulle
ragioni giustificative della decisione ha, per esplicita scelta legislativa, un
orizzonte circoscritto; non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente
ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle
acquisizioni processuali, perché il giudice di legittimità non può procedere ad una
rinnovata valutazione dei fatti, ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle
prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice
del merito.
Com’è stato rilevato in molte decisioni di questa Corte, la sentenza deve essere
logica “rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso
la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre
che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”,
purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato
il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza
essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

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presupposto dell’ammissibilità del ricorso proposto davanti alla stessa Corte

3.2 Il fenomeno della prova “omessa”, rilevante e decisiva (cioè del vizio di
omessa pronuncia rispetto a un significativo dato processuale o probatorio),
come quello della prova “travisata”, pure rilevante e decisiva, cioè della palese
divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli
atti processuali (è ammesso un fatto sicuramente escluso o contraddetto in atti,
o è escluso un fatto palesemente confermato in atti; è affermata esistente una

esistente, ma incontrovertibilmente divergente dal risultato probatorio), a
seguito della riformulazione ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, dell’art. 606,
comma 1, lett. E cod. proc. pen., è stato collocato all’interno del vizio
motivazionale, ma viene riconosciuto soltanto quando l’errore disarticoli
effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione
per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio travisato,
fermi restando il limite del devolutum in caso di c.d. “doppia conforme” e
l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (v., ex plurimis,
Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 2, n. 13994 del
23/03/2006, Napoli, Rv. 233460; Sez. 1, n. 16223 del 02/05/2006,
Scognamiglio, Rv. 233781; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv.
234167).
Più precisamente, sarà ammissibile l’esame diretto degli atti da parte di questa
Corte soltanto qualora dalla stessa esposizione del ricorrente emerga
effettivamente una manifesta illogicità della sentenza impugnata, che sia
ricollegabile a un atto del processo “specificamente indicato nei motivi di
gravame”, ma se una siffatta illogicità non emerge dalla stessa articolazione del
ricorso, l’esame diretto degli atti dovrà ritenersi precluso sulla base del citato
principio.
3.3 Né si registrano cadute logiche della motivazione nel punto in cui riconduce
alla pistola del Mileni il proiettile che ha colpito il Prantera, laddove si richiamano
le considerazioni della decisione di primo grado, fondate sulla consulenza
balistica del PM (la quale ne ha accertato la piena compatibilità con quelli esplosi
dalla pistola Beretta utilizzata dall’imputato ed ha individuato il punto di
provenienza dello sparo) e sulla esclusione di altri soggetti armati nella zona,
anche sulla base delle immediate ricerche eseguite con un elicottero. Per non
parlare della sostanziale ammissione da parte del Mileni, che, secondo quanto si
legge nella decisione di primo grado (pagina 13), interpellato sulle ragioni per cui

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prova fenomenicamente inesistente o è supposto il contenuto di una prova, pure

anche dopo il ferimento del Prantera continuò a sparare, dichiarò: “Ho sentito le
sirene, però mai e poi mai avrei pensato al guaio che avevo combinato”.
Va a tal proposito richiamato il pacifico principio giurisprudenziale per il quale il
giudice di appello, in caso di conferma della sentenza di condanna di primo
grado, ne può integrare la motivazione allorquando i giudici del gravame,
esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del

prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di
prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013,
Argentieri, Rv. 257595; Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno,
Rv. 260303); in tal caso le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione (Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv.
216906; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181).
3.4 Quanto all’invocato caso fortuito, alla luce dei rilievi mossi dal ricorrente va
rammentato che il caso fortuito consiste in quell’avvenimento imprevisto e
imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in
alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica
dell’agente (Sez. 4, n. 6982 del 19/12/2012, D’Amico, Rv. 254479).
Dunque il caso fortuito si verifica quando sussiste il nesso di causalità materiale
tra la condotta e l’evento, ma fa difetto la colpa, in quanto l’agente non ha
causato l’evento per sua negligenza o imprudenza; ne consegue che, qualora
una pur minima colpa possa essere attribuita all’agente, in relazione all’evento
dannoso realizzatosi, automaticamente viene meno l’applicabilità della
disposizione di cui all’art. 45 c.p. (Sez. 4, n. 19373 del 15/03/2007, Mollicone,
Rv. 236613; Sez. 4, n. 44548 del 17/09/2009, Macchioni, Rv. 245469; Sez. 4, n.
10823 del 25/02/2010, Giambruno, Rv. 246506).
3.5 Le due decisioni di merito hanno fatto corretta applicazione di tali principi.
In particolare la decisione di primo grado ha individuato la colpa (sub specie di
colpa specifica ed imprudenza) nella violazione della regola cautelare
rappresentata dal divieto normativo di sparare da una distanza inferiore a quella
corrispondente a meno di una volta e mezzo la gittata massima dell’arma in
direzione di fabbricati, vie di comunicazione, strade carrozzabili; ciò posto, la

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primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della

possibilità che la traiettoria del proiettile possa essere stata deviata dal vento
non integra il caso fortuito.
Da una parte, infatti, anche una forte intensità del vento, che non raggiunge un
grado tale da rendere l’evento naturale assolutamente imprevedibile, è evento
non definibile come caso fortuito; dall’altra non si può dire che tale circostanza
fosse svincolata sia dalla condotta del Milieni, sia dalla sua colpa, in quanto,

orario di traffico apprezzabile), la diligenza e la prudenza da parte sua dovevano
essere vieppiù maggiori.
4. Il secondo motivo è inammissibile.
4.1 Secondo l’insegnamento costante di questa Corte, il giudizio sulle attenuanti
generiche è una statuizione che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del
giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità quando
la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica, in
aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. (Sez. 3, n. 1182 del
17/10/2007, Cilia e altro, Rv. 238851), come appunto avvenuto nel caso di
specie, poiché la Corte territoriale ha motivato la propria decisione facendo
riferimento al grado di colpa grave ed alla condotta successiva al reato.
4.2 D’altra parte il ricorso si presenta anche generico sul punto, poiché si limita a
richiamare l’incensuratezza dell’imputato, ed essendo i fatti contestati
all’imputato del 9 settembre 2009 è pacifico che, quando è stata emessa la
sentenza impugnata, fosse già in vigore la nuova formulazione dell’art.

62-bis

cod. pen., come modificato dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, art. 1, punto f-bis
(entrata in vigore il 26 luglio 2008) – di conversione del cd. decreto sicurezza
(D.L. 23 maggio 2008, n. 92): attraverso la introduzione dell’art. 62-bis, comma
3, infatti, il legislatore ha voluto escludere che la sola assenza di precedenti
penali possa essere posta a fondamento del riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche.
4.3 Va comunque qui riaffermato il principio per il quale, in caso di diniego delle
attenuanti generiche, soprattutto dopo la specifica modifica dell’art. 62-bis di cui
si è detto, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto di avere
ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (Sez. 3, n. 44071
del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610).
In tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa
previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso

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considerando lo stato di luogo e di tempo (presenza di una strada statale ed

più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione
di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che
di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può
mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il
giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni
possibile profilo, l’affermata insussistenza.

meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di
apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono
stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio;
trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla
sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta
all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a
sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che sia necessario che il giudice
prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod.
pen. o quelli prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e
giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge, con l’indicazione
delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di
preponderante rilievo (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez.
3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic, rv. 256172; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010,
Giovane, Rv. 248244).
4.2 In conclusione i ricorsi vanno rigettati, con le conseguenze di cui all’art. 616
cod. proc. pen., rappresentate dalla condanna dell’imputato al pagamento delle
spese processuali ed al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile Prantera
Giuseppe, che si liquidano in €2.500,00 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna Milieni Antonio al pagamento delle spese processuali.
Condanna altresì l’imputato alla rifusione delle ed al rimborso delle spese di
parte civile, liquidate in €2.500,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016
Il consigliere estensore

Il Presidente

Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca di questa Corte, è la suindicata

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