Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29699 del 25/05/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29699 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DADZIE AIKINS ROBERT KOBINA nato il 26/12/1967 a ACCRA

avverso la sentenza del 12/06/2015 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 25/05/2016, la relazione svolta dalConsigliere FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del
che ha concluso per

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 25/05/2016

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Pasquale Fimiani, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
per il ricorrente è presente l’avv. Torquato Tristani, che chiede l’accoglimento
del ricorso.

1. Con sentenza del 12 giugno 2015 la Corte d’appello di Bologna confermava
la sentenza del Tribunale di Rimini, in data 8 febbraio 2012, con la quale DADZIE
Alkins Robert Kobina era condannato alla pena di un anno di reclusione per
violazione di domicilio aggravata dalla violenza sulle cose, per essersi introdotto,
contro la volontà di Pierani Terzo, nelle pertinenze della sua dimora, in Rimini,
via Cesare Cantù n. 8, e precisamente nel garage.
2. Contro la decisione della Corte d’appello di Milano propone ricorso il
difensore dell’imputato, avv. Torquato Tristani, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod.
proc. pen., lettera b), in relazione all’art. 614 cod. pen., per difetto dell’elemento
soggettivo del reato, poiché l’imputato era conduttore di un appartamento in
Rimini, via Cesare Cantù n. 18, ed essendogli stato promesso l’utilizzo di un
garage, situato davanti al suo appartamento, ritenne di poterlo occupare e di
liberarlo degli oggetti del mobilio che in esso erano contenuti. Di conseguenza
andava escluso l’elemento soggettivo del reato, a norma dell’articolo 47 cod.
pen..
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 606 cod.
proc. pen., lettera b), in relazione all’art. 62 bis cod. pen., per il diniego delle

attenuanti generiche, fondato su un riferimento ai precedenti penali dell’imputato
e sull’assenza di elementi positivi, trascurando le modalità dell’azione,
caratterizzate dalla buona fede.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Il primo motivo di ricorso si risolve in censure di fatto, che
contrappongono un alternativo apprezzamento alla valutazione operata dei
giudici di merito, finendo con il richiedere alla Corte di legittimità di prendere

2

RITENUTO IN FATTO

posizione tra le diverse letture dei fatti; sotto questo profilo va ribadito che la
Corte di cassazione non ha il compito di trarre valutazioni autonome dalle prove
o dalle fonti di prova, e pertanto non si può addentrare nell’esame del contenuto
documentale delle stesse, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato e,
tanto meno, se contenute in un atto di parte, poiché in sede di legittimità è
l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti

del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole
della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez.
6, n. 28703 del 20/04/2012, Bonavota, Rv. 253227). La Corte territoriale ha
infatti escluso, in punto di fatto, l’errore invocato dal ricorrente, indicando una
serie di elementi incompatibili con un errore sul fatto che costituisce reato: il
contratto di subaffitto non prevedeva un garage; l’imputato parlava e leggeva
bene la lingua italiana; egli si introdusse nel garage dopo aver divelto la
serratura, tirato fuori tutto il materiale e spaccato tutto.
2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile, perché manifestamente
infondato.
2.1 Secondo l’insegnamento costante di questa Corte, il giudizio sulle
attenuanti generiche è una statuizione che l’ordinamento rimette alla
discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di
legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai
canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.
(Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia e altro, Rv. 238851), come appunto
avvenuto nel caso di specie, poiché la Corte territoriale ha motivato la propria
decisione facendo riferimento ai plurimi precedenti penali ed alle modalità della
condotta del tutto antitetiche alla buona fede ed all’errore invocati.
Su tale punto va anche ricordato che legittimamente il giudice, tra gli elementi
di valutazione che può utilizzare ai fini del riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen. o di determinazione della
pena, indicati dall’art. 133 cod. pen., può considerare i precedenti penali
dell’imputato (Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito, Rv. 260460; Sez. 6,
n. 16250 del 12/03/2013, Schirinzi, Rv. 256186; Sez. 5, n. 27382 del
28/04/2011, Franceschin, Rv. 250465).
3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, con le conseguenze di
cui all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano

3

indiziarle contenuta nel provvedimento impugnato che è sottoposta al controllo

ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro 1000.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016
Il consigliere estensore

Il Presidente

spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle

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