Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29696 del 13/05/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29696 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FONTANA GIANLUIGI nato il 07/03/1968 a BERGAMO

avverso la sentenza del 12/05/2015 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 13/05/2016, la relazione svolta dalConsigliere ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del GIUSEPPE CORASANITI
che ha concluso per

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 13/05/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giuseppe Corasaniti, ha concluso per il
rigetto del ricorso. L’avv. Susanna Lollin, in sostituzione dell’avv. Ezio Paolo Menzione, per il
ricorrente ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 12 maggio 2015 la Corte d’Appello di Milano ha confermato
la sentenza di primo grado con cui Fontana Gianluigi è stato condannato alle pena di giustizia
per furti aggravati perpetrati all’interno degli uffici dell’azienda Galvanica Perossi e

2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione di legge processuale penale,
l’inosservanza di norme previste a pena di inutilizzabilità e manifesta illogicità della
motivazione in punto acquisizione, utilizzabilità e valenza probatoria della consulenza tecnica
svolta dai RIS di Parma.
Rileva il ricorrente che, anche ammettendo che l’attività di comparazione eseguita dai
R.I.S. di Parma tra il campione estratto nel reperto sequestrato sul luogo del furto ed il
materiale biologico del Fontana costituisca un accertamento di natura ripetibile ai sensi
dell’art. 359 c.p.p. – come ritenuto della Corte territoriale – l’acquisizione dell’accertamento
tecnico dei RIS di Parma è stato comunque acquisito in violazione degli artt. 431 e 191 c.p.p..
L’accertamento ripetibile avrebbe potuto essere acquisito al dibattimento solo a seguito
dell’escussione del consulente che sviluppò l’attività comparativa o previo consenso delle parti,
entrambe circostanze non verificatisi atteso che nessuno dei consulenti del RIS di Parma venne
inserito nella lista testi di cui all’art. 468 c.p.p., né vi fu consenso all’acquisizione
dell’accertamento.
L’autorità giudiziaria avrebbe dovuto ripetere l’accertamento con le garanzie di cui
all’art. 360 c.p.p. o disporre perizia.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la mancanza di motivazione sul valore
probatorio delle analisi del DNA.
I giudici di merito si sono limitati ad affermare in modo apodittico che gli esiti delle
indagini genetiche presentano natura di prova e non di meri elementi indiziari.
La sentenza impugnata è priva di una logica motivazione riguardante la correttezza ed il
rispetto dei protocolli scientifici in tema di estrazione del materiale scientifico, analisi e
comparazione dello stesso.
In particolare, il ricorrente lamenta che il reperto collo di bottiglia venne maneggiato,
addirittura rotto, e tali operazioni vennero svolte senza le dovute cautele da personale privo di
preparazione scientifica e senza che venisse dato conto in un verbale delle modalità operative
utilizzate per lo svolgimento delle operazioni di rilievo.

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nell’appartamento di Perossi Angelo e Furini Maria Teresa.

La Corte di merito non ha dato conto neppure delle procedure seguite per l’estrazione e
comparazione del materiale.
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotto vizio di motivazione sull’attribuzione del reato
all’imputato.
La Corte ha ritenuto la responsabilità del ricorrente sulla mera attribuzione allo stesso della
traccia del DNA senza che vi fossero altri elementi indiziari a suo carico, tenuto anche conto
che il giorno della perpetrazione del furto si trovava in condizioni fisiche menomate alle
braccia.

1. Il primo motivo non è fondato e va pertanto rigettato.
Va preliminarmente osservato che, come riconosciuto anche dall’imputato nel ricorso,
nella prima fase dell’indagine non erano emersi elementi indiziari a carico dello stesso e quindi
del tutto legittimamente il P.M. ha conferito, senza contraddittorio, incarico ai RIS affinchè
provvedessero all’estrazione del materiale dal reperto ed alla sua analisi.
Nella seconda fase delle indagini, condivisibilmente la Corte territoriale ha ritenuto che
la comparazione tra il campione estratto dal reperto ed il campione biologico dell’imputato non
rientri tra gli accertamenti irripetibili, tali dovendo ritenersi solo quegli accertamenti aventi ad
oggetto persone, cose o luoghi soggetti a modificazione tali da far perdere ogni valenza
probatoria in relazione ai fatti oggetto di indagine. Coerentemente è quindi stato ritenuto non
necessario inviare avviso all’indagato ed al suo difensore prima dell’effettuazione di detto
accertamento.
Non a caso, la doglianza del ricorrente concerne soltanto l’avvenuta acquisizione della
consulenza tecnica senza la previa audizione di colui che effettuò l’indagine comparativa.
Deve, tuttavia, rilevarsi sul punto che questa Corte ha già avuto modo di affermare che
l’acquisizione della relazione di consulenza tecnica di parte (nella specie, del pubblico
ministero) in assenza della previa audizione del suo autore non ne comporta l’inutilizzabilità,
ma integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, ex art. 178, comma primo, lett.
c), cod. proc. pen., soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182 e alla sanatoria di cui
all’art. 183, comma primo, lett. a), cod. proc. pen.; ne deriva che, in tal caso, la parte
presente al compimento di detta nullità deve dolersene immediatamente nelle forme prescritte,
pena la decadenza dal potere di deducibilità e la conseguente sanatoria dovuta all’accettazione
degli effetti dell’atto. (Sez. 6, n. 25807 del 14/03/2014 – dep. 16/06/2014, Rizzo e altro, Rv.
259200).
Nel caso di specie, se è pur vero che l’accertamento tecnico è stato acquisito senza la previa
audizione del suo autore, tuttavia, tale nullità è stata comunque sanata atteso che la difesa del
ricorrente non si è opposta alla acquisizione della consulenza tecnica del P.M. né ha
tempestivamente eccepito tale nullità.
Peraltro, il ricorrente non può neppure dolersi che l’autorità giudiziaria non abbia ripetuto
l’accertamento, non avendo neppure nel corso del dibattimento formulato istanza dLperizia.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il secondo motivo non è fondato e va pertanto rigettato.
La giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto all’indagine genetica – in ragione del grado di
affidabilità derivante dall’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da
rendere infinitesimale la possibilità di un errore – piena valenza di prova, e non di mero
elemento indiziarlo ai sensi dell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen., ritenendo che solo
nei casi in cui l’indagine genetica non dia risultati assolutamente certi ai suoi esiti debba essere
attribuita una mera valenza indiziarla (Sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, Mariller, Rv. 255257;
Sez. 1, n. 48349 del 30/06/2004, Rv. 231182).

dell’accertamento sono state formulate in termini di certezza, essendo stato accertato all’esito
dell’indagine genetica che le tracce biologiche di Fontana Gianluigi sono state rilevate nella
parte superiore della bottiglia costituente il reperto relativo al furto in oggetto.
Né peraltro la doglianza del ricorrente in ordine al lamentato mancato rispetto dei
protocolli in tema di estrazione del materiale scientifico, analisi e comparazione dello stesso
appare fondata in quanto si appalesa generica, non avendo l’imputato fornito alcun elemento
fattuale a sostegno dell’assunto secondo cui il reperto collo di bottiglia sarebbe stato
“manipolato”, fondandosi apoditticamente tale affermazione sul solo rilievo che le operazioni di
rilievo e confezionamento del reperto non furono poste in essere dai RIS.
E’ pur vero che in tema di indagini genetiche, questa Corte ha affermato che l’analisi
comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai Protocolli
scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare
comporta che gli esiti di “compatibilità” del profilo genetico comparato non abbiano il carattere
di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato
processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in
chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori (Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015 dep. 07/09/2015, Knox e altri, Rv. 264863). Deve, tuttavia, osservarsi che, nel caso esaminato
da cui è scaturito il predetto principio di diritto, erano emersi elementi positivi da cui evincere
l’irregolare confezionamento e conservazione del reperto. In particolare, la Corte aveva
accertato che il reperto coltello da cucina era stato custodito in una comune scatola di
carbone, mentre il gancetto del reggiseno era stato lasciato sul pavimento per un tempo
apprezzabile prima di essere raccolto e repertato, essendo nel frattempo stato calpestato o,
comunque, spostato, tanto da essere rinvenuto sul pavimento in posto diverso da quello in cui
era stato inizialmente notato.
Nel caso di specie, la supposta manipolazione del reperto è frutto di una mera congettura del
ricorrente che si fonda unicamente sulla qualità del soggetto che ha effettuato le operazioni di
repertazione. Tale doglianza, per mancanza di specificità, non coglie quindi nel segno.
3. Il terzo motivo è inammissibile.
Non vi è dubbio che il ricorrente, nel contestare che dal reperimento di una traccia della sua
saliva sulla bottiglia sequestrata sul luogo del furto derivi la prova della sua colpe slezza,
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Orbene, nel caso di specie, si evince dalla sentenza impugnata, che le conclusioni

formuli una censura di fatto, sollecitando una diversa valutazione del materiale probatorio
operata dalla Corte, come tale inammissibile in sede di legittimità.
Va peraltro osservato che, in ordine all’allegazione difensiva secondo cui lo stesso non avrebbe
potuto commettere il crimine ascrittogli in quanto in condizioni fisiche menomate nel giorno del
furto, la Corte di merito ha evidenziato, con argomentazioni immuni da vizi logici, che la visita
medica cui si era sottoposto qualche giorno prima aveva attestato un buon recupero funzionale
dell’arto già infortunato, oltre al rilievo che l’imputato poteva essere stato aiutato da altri
nell’asportazione della refurtiva.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in oma, il 13 maggio 2016
Il consigliere

sore

Il Presidente

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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