Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29678 del 02/05/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 29678 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

sul ricorso proposto da:
MATTOCCIA TIZIANA nato il 30/11/1970 a FIRENZE

avverso la sentenza del 20/12/2013 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 02/05/2016, la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO
STANISLAO SCARLINI
Udito il Procuratore
G ierale
n
in persona del PAOLA FILIPPI .
che ha concluso per 444.444000,Ltott4, 7-Pc&-ka.,k42
„, ■
-C
-+^~-Litk.«.42, OfiZ Qe
(O■ 64:,4,4

Udit i difensor Avv.;

k

4,,R)

Data Udienza: 02/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1 – Con sentenza del 20 dicembre 2013 la Corte di appello di Firenze, in
parziale riforma della sentenza del locale Tribunale del 16 aprile 2008, dichiarava
estinti per prescrizione i delitti ascritti a Tiziana Mattoccia, confermando le
statuizioni civili disposte a favore di Armani s.p.a, Guccio Gucci s.p.a.,
Gianfranco Ferrè s.p.a. e I.P.I. Italia.
I delitti ascritti alla prevenuta erano:

organizzatori), per avere partecipato alla organizzazione criminale volta alla
commissione dei delitti previsti dall’art. 473 cod. pen., in Firenze dal gennaio
1999 al 2001, occupandosi della gestione dei magazzini (intestandosene anche
uno) ove veniva custodita la merce con marchio contraffatto, del reclutamento e
della direzione del personale addetto al confezionamento dei capi e della loro
spedizione ai clienti;
– il delitto fine contestato al capo F, ai sensi degli artt. 81 e 473 cod. pen.,
per avere concorso, con le condotte descritte al capo B, alla contraffazione ed
alterazione dei marchi contraffatti su articoli di pelletteria, riportando i segni
distintivi della case di moda Fendi, Prada e Gucci. Fatto commesso in Firenze e
Prato dal 2000 al giugno 2001.
Per i tredici coimputati, la condanna è già divenuta definitiva.
Il compendio probatorio è costituito dalle ricostruzioni fatte dai militari della
Guardia di Finanza che avevano individuato e scoperto le attività illecite
dell’organizzazione di cui la prevenuta faceva parte. Attività investigate anche
tramite l’intercettazione delle conversazioni intercorse fra gli associati e che
avevano trovato definitiva conferma probatoria nel sequestro degli articoli
riportanti i marchi che i consulenti delle ditte proprietarie dei segni distintivi
avevano accertato essere falsi di ottima fattura.
Si era ritenuto fondato il delitto associativo per la complessa struttura che
gli imputati avevano stabilmente formato, con attenta suddivisione dei ruoli, per
confezionare e commercializzare i beni recanti i marchi contraffatti.
2 – Propone ricorso personale Tiziana Mattoccia.
Con l’unico, complesso, motivo deduce violazione di legge, ed in particolare
degli artt. 578, 125 cod. proc. pen. e 416 cod. pen., e difetto di motivazione in
ordine alla ritenuta sussistenza dell’associazione a delinquere ed alla conferma
delle statuizioni civili.
La Corte territoriale si era limitata a riportarsi alla motivazione del primo
giudice non affrontando i motivi di appello dedotti dalla ricorrente.
Non si era così argomentato in ordine:
1

– l’ipotesi associativa descritta al capo B (ed al capo A per i promotori e gli

-

alla mancata consapevolezza da parte della stessa del fatto che

l’organizzatore della associazione, Giovanni Sanna, si presentasse con le false
generalità di Roberto Piccinni, posto che il nome con cui pur l’imputata a lui si
rivolgeva, Gianni, le era stato indicato come un soprannome e non come un
diminutivo. Come aveva confermato (e non smentito come erroneamente aveva
affermato il Tribunale, travisando così la prova), lo stesso Sanna;
– al contenuto di alcune conversazioni intercettate ritenute rilevanti per
lumeggiare il ruolo rivestito dall’imputata;

l’attività di produzione dei capi non era stata organizzata in modo occulto ed era
in perfetta regola quanto agli adempimenti contabili e fiscali.
Così che la ricorrente non aveva avuto alcuna consapevolezza di trattare
merce recate segni distintivi falsi.
Parimenti, del tutto assente era la sua coscienza e volontà di partecipare al
consorzio criminale. Ed anche su questo punto, del tutto apodittica era stata la
risposta della Corte territoriale.
Assente era anche la motivazione del giudice dell’impugnazione in ordine
alla conferma delle statuizioni civili; si era limitato a ribadirne la “validità”.
Non affrontando neppure il motivo attinente la mancata legittimazione delle
parti civili ad agire in riferimento al delitto associativo, ad esito della
commissione del quale non avevano patito alcun danno diretto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
1 – Con l’unico motivo di censura l’imputata ha affastellato una serie di
argomentazioni il cui sviluppo pecca di assoluta genericità ed è anche volto ad
ottenere da questa Corte un nuovo giudizio sul fatto, da compiersi attraverso la
non consentita rivalutazione del compendio probatorio piuttosto che la verifica
della congruità, e della non manifesta illogicità, della motivazione del giudice
d’appello, integrata da quella conforme del primo giudice.
2 – I giudici del merito avevano, invece, congruamente motivato sulla
penale responsabilità della ricorrente, muovendo dalla sua particolare prossimità,
anche personale, al riconosciuto organizzatore della produzione, in quantità
cospicue, dei beni recanti marchi contraffatti, di cui, non a caso, conosceva il
norme autentico (inattendibile era l’asserzione che si potesse ritenere il nome
“Gianni” un soprannome, piuttosto che il diminutivo di “Giovanni”) e non le false
generalità che egli utilizzava sia all’esterno, sia con gli altri sodali.

2

– all’affidamento circa l’autenticità dei marchi determinato dal fatto che

Un utilizzo di false generalità che era già un significativo campanello
d’allarme della illiceità dell’attività da costui organizzata.
Irrilevante era la correttezza formale della commercializzazione dei beni
posto che l’illecito profitto non derivava dall’evasione fiscale ma dall’utilizzo dei
marchi non propri.
Significativa era la circostanza, valorizzata dal primo giudice, che
nell’abitazione della ricorrente fossero state rinvenute grandi quantità di oggetti
recanti il marchio contraffatto, non custodite, quindi, in magazzino come

provenienza lecita.
Il motivo di ricorso pecca inoltre di genericità laddove non viene
integralmente allegato il patrimonio conoscitivo, acquisito al dibattimento, da cui
dovrebbero trarsi le discrasie logiche e le omesse risposte in cui sarebbe incorsa
la sentenza impugnata.
2 – Del tutto generica era anche la censura sulle statuizioni civili, posto che
nel ricorso nulla si argomenta di perspicuo né sulla condanna generica né sulla
misura della provvisionale.
L’unica censura specifica attiene alla pretesa incompatibilità della condanna
civile con l’ipotesi associativa, una doglianza che è però priva di fondamento
posto che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il soggetto
legittimato all’azione civile non è solo il soggetto passivo del reato (cioè il titolare
dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato,
ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione del
soggetto attivo del reato, con la conseguenza che, ove un reato si inquadri nel
piano criminoso di una associazione per delinquere, la vittima del reato fine è
legittimata a costituirsi parte civile sia per il reato fine sia per quello associativo
(da ultimo Sez. 2, n. 4380 del 13/01/2015, Lauro, Rv. 262371).
3 – Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, versando la stessa in colpa, anche della
somma, ritenuta equa nella misura indicata in dispositivo, in favore della Cassa
delle ammende.
La ricorrente va inoltre condannata a rifondere le spese sostenute nel grado
dalla parte civile che vi ha partecipato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte

sarebbero stato ben più logico nel caso si fosse trattato di merce di natura e

civile Giorgio Armani s.p.a. e Gianfranco Ferrè s.p.a. che liquida in complessivi
euro 1.800,00, oltre accessori di legge per ciascuna di esse.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2016.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA