Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29669 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29669 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RICUCCI STEFANO N. IL 11/10/1962
avverso l’ordinanza n. 17/2013 TRIBUNALE di ROMA, del
09/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 17/06/2014

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza deliberata il 9 luglio 2013, per quanto
ancora rileva nel presente giudizio di legittimità:
– revocava, ex art. 168 comma primo n. 1 cod. pen., in accoglimento della
richiesta del Pubblico Ministero della sede, la sospensione condizionale della pena
(mesi quattro di reclusione) concessa a Ricucci Stefano, con sentenza del
Tribunale di Roma, deliberata il 2 luglio 2002 e divenuta irrevocabile il 19

Milano, era stata applicata la pena di anni uno di reclusione ed C 10.400,00 in
relazione a delitti commessi tra il 2004 ed il 2005, ovvero quando non erano
ancora decorsi cinque anni dalla sentenza emessa dal Tribunale di Roma;
– dichiarava inammissibile in sede di esecuzione la richiesta avanzata dalla
difesa ex art. 53 legge n. 689 del 1981, di conversione in pena pecuniaria della
pena detentiva oggetto della sospensione condizionale revocata, «non potendo il
giudice dell’esecuzione modificare un giudicato da tempo formatosi».
2. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Ricucci
chiedendone l’annullamento per violazione di legge – sostanziale e processuale e vizio di motivazione.
2.1 Sostiene infatti il ricorrente, che incontestata l’operatività del
meccanismo revocatorio di cui all’art. 168 comma primo n. 1 cod. pen., il giudice
dell’esecuzione non avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la richiesta di
sostituzione della pena, trattandosi di istituto di diritto sostanziale che segue
quindi il generale principio della legge più favorevole, di cui all’art. 2, comma 3,
cod. pen.. Al riguardo nel ricorso si osserva che il giudice della cognizione non
aveva potuto disporre la sostituzione della pena, perché la normativa all’epoca
vigente non lo consentiva, in relazione all’entità della pena; era invece possibile
provvedervi oggi, essendo stata innalzata la soglia di accesso alla sanzione
sostitutiva alla durata di mesi sei della pena detentiva ex lege 12 giugno 2003 n.
134, con la conseguenza che l’incidente di esecuzione deve ritenersi lo
strumento processuale con il quale poter dare applicazione alla mutata disciplina
di cui all’art. 53 legge n. 689 del 1981, a nulla rilevando il carattere irrevocabile
della sentenza di condanna, e ciò anche in considerazione della così detta “crisi
del mito del giudicato”, dovendo ritenersi ormai “imprescindibile”, secondo la
giurisprudenza nazionale e sovranazionale, “l’esigenza di far cessare gli effetti
negativi dell’esecuzione di una pena contra legem”, da ritenersi, come tale,
“sovraordinata rispetto alla tenuta del giudicato”.

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settembre 2002, in quanto al Ricucci, con sentenza del GIP del Tribunale di

Considerato in diritto

1. L’impugnazione è basata su motivi infondati, e va quindi rigettata.
La tesi difensiva secondo cui il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto
senz’altro provvedere sulla richiesta di sostituzione della pena detentiva inflitta
al Ricucci con sentenza del Tribunale di Roma deliberata il 2 luglio 2002,
accogliendola, a ragione della mutata disciplina dell’art. 53 legge n. 689 del
1981, pur muovendo dal condivisibile presupposto che le sanzioni sostitutive

n. 689 hanno natura di vere e proprie pene e non di semplici modalità esecutive
della pena detentiva sostituita sicché le disposizioni che le contemplano hanno
natura sostanziale (principio questo ripetutamente affermato da questa Corte,
anche nella sua più autorevole composizione, in tal senso, Sez. U, n. 11397 del
25/10/1995 – dep. 22/11/1995, P.M. in proc. Siciliano, Rv. 202870), si fonda
tuttavia sull’assunto, del tutto infondato, che nel caso di specie debba trovare
applicazione l’art. 2 comma 3 cod. pen., con conseguente applicabilità, anche in
sede esecutiva, della legge posteriore più favorevole al reo.
Al riguardo, è agevole rilevare che la legge penale posteriore invocata dal
ricorrente (l’art. 4, comma 1 lett. a), della legge 12 giugno 2003, n. 134) non
prevede, invero, che chi ha commesso il reato per il quale il Ricucci ha subito nel
luglio 2002 condanna a pena detentiva (quello di cui all’art. 337 cod. pen.,
ovvero la resistenza a pubblico ufficiale) sia inflitta esclusivamente una pena
pecuniaria, unica condizione idonea a comportare, ai sensi dell’art. 2, comma
terzo, cod. pen., l’immediata conversione, in sede esecutiva, della pena detentiva
inflitta nella corrispondente pena pecuniaria.
In realtà, come ben evidenziato anche in ricorso, la legge posteriore
invocata si limita soltanto ad innalzare la soglia di accesso alle sanzioni
sostitutive, sicché quantunque disposizione astrattamente più favorevole al reo,
trova applicazione nel caso di specie il disposto dell’art. 2 comma quattro cod.
pen. con la conseguenza che è interdetta l’applicazione delle disposizioni più
favorevoli sopravvenute una volta pronunciata sentenza irrevocabile (in tal
senso, ex multis, Sez. 1, n. 43589 del 13/10/2004 – dep. 08/11/2004, Massiah,
Rv. 229818), fermo restando, per altro, che anche in base al novellato art. 53
legge n. 689 del 1981, in caso di condanna superiore ad un anno, risulterebbe
preclusa la conversione in pena pecuniaria della pena detentiva inflitta.
Nè hanno pregio i riferimenti contenuti in ricorso alla giurisprudenza
sovranazionale (la sentenza della Grande Chambre della Corte EDU n. 10249 del
17 settembre 2009 nel caso Scoppola c. Italia), riferendosi tale arresto ad una
2

delle pene detentive brevi disciplinate dall’art. 53 della legge 24 novembre 1981

fattispecie del tutto diversa di revoca di sentenza di condanna dell’ergastolo e di
applicazione in sede esecutiva della riduzione della pena ex art. 442 cod. proc.
pen..

2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc.
pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2014.

P.Q.M.

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