Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29664 del 06/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29664 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SCIACCA VINCENZO nato il 11/05/1976 a BRONTE

avverso la sentenza del 29/09/2014 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 06/10/2015, la relazione svolta dalConsigliere ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del VITO D’AMBROSIO
che ha concluso per

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 06/10/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr.
Vito D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi difensori dell’imputato avv.ti Francesco Antille e Giovanni Aricò, che
hanno concluso, rispettivamente, riportandosi ai motivi di ricorso e per
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 8.5.2012 la Prima Sezione di questa Corte annullava
con rinvio alla Corte d’assise d’appello di Catania, per nuovo giudizio, la sentenza

confermato la pena dell’ergastolo inflitta a Sciacca Vincenzo, con sentenza del 16
dicembre 2009 della Corte d’assise di Caltanissetta, quale responsabile, in
concorso con altri, del delitto di omicidio volontario, di cui agli artt. 110, 575 e
577 n. 3 c.p. nonché 7 L. n. 203 del 1991 di Calcagno Domenico.
1.1. Questa Corte dava atto che l’omicidio di Calcagno Domenico avveniva in
Valguarnera Caropepe (EN), contrada Cafeci, alle ore 20,10 circa, del 18 maggio
2003, mentre la vittima si trovava a bordo della sua Mercedes color blu, ad
opera di un commando formato da tre persone, una delle quali aveva
materialmente esploso, stando a piedi, quattro colpi contro la vittima con un
fucile a canne mozze; subito dopo il killer era stato prelevato da una Opel
Vectra, nel frattempo sopraggiunta, sulla quale vi erano altre due persone che si
era allontanata a forte velocità dal luogo dell’omicidio; l’auto, denunciata come
rubata fin dal 7 febbraio 2002, era stata rinvenuta poco dopo sulla S.P. 21,
svincolo di Agira sull’A/19, completamente bruciata.
Il movente prossimo dell’omicidio del Calcagno era da individuarsi nel contrasto
nell’ambito della nota organizzazione criminale Cosa Nostra, operante nelle
province di Enna e Catania, in relazione alla vicenda estorsiva ai danni della s.r.l.
“Ira Costruzioni” ed ai contrasti insorti tra personaggi dell’ambiente mafioso
ennese circa la spartizione dei proventi estorsivi.
1.1.1. Questa Corte rilevava che il processo a carico di Sciacca Vincenzo era
di natura prevalentemente indiziaria, in quanto l’unico testimone oculare
dell’omicidio, Scibona Roberto, nipote della vittima, dichiarava di essersi
affacciato dal terzo piano dello stabile dove abitava allorché aveva sentito gli
spari e di non aver riconosciuto alcuno dei componenti il commando omicida,
avendoli visti solo per un paio di secondi. Evidenziava, altresì, che gli elementi
posti a carico dell’imputato erano stati individuati:
a) nel rinvenimento, da parte dei vigili del fuoco, delle targhe applicate
all’auto Opel Vectra, utilizzata dal commando omicida per allontanarsi e data
subito dopo alle fiamme; l’incendio, per il tempestivo intervento dei Vigili del
Fuoco, non aveva impedito, infatti, di ricostruire la sequenza numerica delle
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del 27.1.2012 della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, che aveva

targhe anzidette, risultate appartenenti ad un’auto (Fiat Punto) presa a noleggio
dall’imputato (in data 4.3.2003) e dal medesimo denunciata come rubata (in
data 11.3.2003);
b) nell’intercettazione ambientale del 25 aprile 2004 (di circa 11 mesi
successiva al delitto), captata a bordo della Opel Station Wagon in uso a Camuto
Alfio, avente ad oggetto un colloquio fra quest’ultimo e suo zio Gullotti Carmelo,
nel corso del quale il Camuto raccontava al suo interlocutore i retroscena
dell’omicidio in esame, indicando mandanti ed esecutori materiali ed

c) nell’essere stato accertato che l’imputato aveva in uso due cellulari, dei
quali era stato individuato il codice IMEI, sì da consentire l’individuazione di tutte
le conversazioni da lui effettuate, a prescindere dalle schede SIM utilizzate; i
tabulati telefonici acquisiti, avevano consentito di ricostruire gli spostamenti
effettuati dall’imputato il giorno dell’omicidio di Calcagno Domenico, da Bronte,
luogo di sua residenza, a Valguarnera Caropepe, luogo in cui era avvenuto
l’omicidio, appurandosi che il giorno dei fatti il telefono dell’imputato aveva
agganciato tre delle quattro celle che coprivano complessivamente il Comune di
Valguarnera, in orario compatibile con l’omicidio (ore 20,10 circa), in senso
inverso, il suo cellulare aveva agganciato la cella di Bronte alle ore 21,07, tempo
questo compatibile per la percorrenza di circa 93 chilometri, che separano
Valguarnera da Bronte.
1.1.2. A fronte di tali elementi, tuttavia, questa Corte rilevava che,
applicando i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema
di valutazione della prova indiziaria, per nessuno degli indizi posti a carico
dell’imputato era stata evidenziata dalla sentenza impugnata una valenza
probatoria tale da consentire di passare all’ulteriore fase della loro valutazione
comparativa. In particolare, era da ritenersi:
-inconsistente nei termini prospettati dalla sentenza impugnata l’indizio relativo
alla targhe, apparendo palesemente illogico che il ricorrente abbia consentito il
rinvenimento sul luogo del delitto di un elemento così rilevante a suo carico,
costituito dalle targhe di un’auto presa a noleggio qualche mese prima e da lui
denunciata come rubata, mentre si presentava più ragionevole la ricostruzione
fatta dal primo giudice, secondo il quale le targhe sarebbero state rinvenute dai
vigili del fuoco non applicate con le viti all’auto, ma lasciate cadere ivi, nei pressi

dell’auto semidistrutta; in tal caso poteva fondatamente ritenersi posto in essere
un abile espediente usato dagli autori dell’omicidio per far cadere i sospetti sul
ricorrente; illogica e contraddittoria era, poi, la tesi sostenuta in un ulteriore
passo dalla sentenza impugnata, secondo cui il ricorrente sarebbe stato
identificato solo perché non si era realizzato il suo disegno, inteso a far luogo alla

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annoverando fra questi ultimi l’imputato;

completa distruzione col fuoco dell’auto usata per il delitto, comprese le relative
targhe, per l’efficienza dei vigili del fuoco intervenuti, che avevano
immediatamente domato le fiamme, in quanto sarebbe stato più logico, in tal
caso, lasciare all’auto rubata le proprie targhe originarie, ovvero applicarne altre
a lui non riconducibili;
-incerto l’indizio relativo alle celle agganciate dal cellulare dell’imputato nell’ora
in cui è stato commesso l’omicidio, atteso che l’assunto della sentenza
impugnata- fondato sulla deposizione resa, nel corso del giudizio di primo grado,

ricorrente sul luogo dell’omicidio era desumibile dall’avere il suo cellulare
agganciato tre delle quattro celle che coprivano complessivamente il Comune di
Valguarnera, teatro dell’omicidio, in orario compatibile con la commissione del
medesimo (ore 20,10 circa)- risultava messa fondatamente in dubbio dal
ricorrente, il quale, tenendo conto di quanto dichiarato nel corso del dibattimento
di primo grado dai consulenti Trevisol e Magrì, aveva, invece, rilevato come la
cella nota come settore 1 di Assoro non assicurava alcuna copertura del territorio
di Valguarnera; inoltre, le dichiarazioni rese dall’ispettore Fontanazza risultavano
contraddette da quelle rese in dibattimento dal perito ing. Treviso! della
Vodafone, secondo il quale esistevano almeno altre due celle preposte all’area di
Valguarnera e cioè la cella di Piazza Armerina e la cella del sito Valguarnera,
contrada Calvario; il fatto che il cellulare del ricorrente non avesse agganciato
tali due ultime celle ben poteva significare che il ricorrente non avesse mai
oltrepassato lo svincolo di Mulinello e non avesse, quindi, mai imboccato la
strada che conduce al Comune di Valguarnera; sicchè inadeguata era la
motivazione, con la quale era stata respinta la richiesta di espletamento di una
nuova perizia in proposito, idonea a superare e colmare le incongruenze e lacune
riscontrate; inoltre, al fine di provare la presenza dell’imputato nel Comune di
Valguarnera al momento dei fatti, la circostanza- secondo cui il sito di Assoro
Settore 1 poteva superare lo svincolo di Mulinello se associato al sito di Enna
contrada Montesilvano 2- era solo un dato ipotetico, ma non provato;
– inappagante l’analisi e la motivazione dell’ulteriore elemento indiziario, circa
la possibilità di percorrere i 94 Km. di distanza tra il Comune di Valguarnera ed il
Comune di Bronte in 57 minuti (avendo il cellulare del ricorrente agganciato la
cella Vodafone di Bronte, contrada Poggio Monello settore 3, alle ore 21,07 del
18 maggio 2003 e, quindi, dopo 57 minuti dall’omicidio del Calcagno, avvenuto
alle ore 20,10 circa), in assenza di accertamento peritale, occorrendo, tra l’altro,
tener conto del tempo ragionevolmente richiesto per dare alle fiamme l’Opel e
per salire su di un’altra auto, pur calcolando che l’aggancio del cellulare del

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dall’ispettore di polizia Fontanazza Giuseppe, secondo cui la presenza del

ricorrente alla cella di Bronte poteva essere avvenuto non quando il ricorrente
•••

era nel territorio di detto Comune, ma nelle adiacenze di esso;
-dotato di limitata valenza probatoria era anche l’elemento desunto dalla
intercettazione ambientale del 25 aprile 2004, e, quindi, successiva di circa 11
mesi al delitto in esame, captata a bordo dell’Opel Station Wagon in uso a
Camuto Alfio, trattandosi di conversazione intercorsa fra soggetti che non
avevano direttamente partecipato all’omicidio di Calcagno Domenico, la cui
presunta valenza indiziaria neppure appare collegabile ad un ipotetico ruolo

conversazione captata andava, pertanto, ritenuta come avente ad oggetto
valutazioni e ricostruzioni personali dei fatti, effettuate sulla base di notizie
provenienti da fonte imprecisata e rimaste sostanzialmente prive di significativi
riscontri oggettivi, sì che la loro valenza era da ritenere quella di mero spunto
investigativo.
I vizi motivazionali enunciati, pertanto, comportavano l’annullamento con
rinvio di questa Corte della sentenza della Corte d’assise di appello di
Caltanissetta, affinchè i giudici del rinvio, in piena autonomia di giudizio, ma
senza ricadere nei censurati vizi di motivazione, esaminassero nuovamente
l’appello proposto dal ricorrente.
2. La Corte d’Assise d’appello di Catania, a seguito del giudizio di rinvio, con
sentenza in data 29.9.2014, confermava la sentenza emessa il 16.9.2009 dalla
Corte d’assise di Caltanissetta, evidenziando in premessa di aver proceduto ad
un’ampia riapertura dell’istruttoria dibattimentale (consistita nella perizia
D’Antona sulle celle d’aggancio; nella perizia Gualtieri-Gulino sugli itinerari ed i
tempi di percorrenza; nell’esame quali testimoni di due vigili del fuoco;
nell’esame ex art. 210-197 bis c.p.p. di Mirabile Giuseppe, personaggio che ha
iniziato a collaborare con gli inquirenti all’inizio di ottobre 2012; nell’esame
esame ex art. 210 c.p.p. di Montagno Bozzone Francesco, La Rocca Filippo,
Franco Alessandro, detto u’ niuru (il nero), quali dichiaranti di riferimento ex art.
195 c.p.p. rispetto a Mirabile Giuseppe; nell’esame quali testimoni degli operatori
di P.G. Romano, Ragonese, Giuffrida e Salvà; nell’acquisizione di
documentazione varia, tra cui quella inerente ai periodi ed ai luoghi di
carcerazione di Mirabile Giuseppe e dei soggetti dallo stesso menzionati, nonché
di immagini fotografiche pertinenti a servizi di osservazione operati da personale
della Polizia di Stato; nella trascrizione peritale di intercettazioni ambientali
acquisite da diverso procedimento), ritenendo, in sintesi, tra l’altro:
-quanto alla targhe, che l’utilizzo di esse, applicate alla Opel Vectra per
l’esecuzione dell’omicidio, è stato frutto di una “sbadataggine” attribuibile ad
uno degli scagnozzi della consorteria malavitosa o del gruppo esecutivo (non
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apicale svolto dal Camuto, nell’ambito della cosca mafiosa del clan Mazzei; la

necessariamente al medesimo Sciacca), il quale, al momento di preparare la
macchina per andare a fare l’omicidio a Valguarnera, non faceva caso o magari
ignorava l’appartenenza delle targhe in questione alla Fiat Punto noleggiata dallo
Sciacca e quest’ultimo, nel visionare l’Opel Vectra già preparata per l’esecuzione
del delitto, non ebbe a ricordare il numero di targa della Punto di cui aveva
denunciato il furto mesi prima; tali valutazioni hanno trovato preciso riscontro in
una nuova fonte di prova acquisita nel processo di rinvio consistente nelle
dichiarazioni del collaborante Mirabile Giuseppe, nipote di Mirabile Alfio, il quale

quest’ultimo si lamentava di come lo Sciacca avesse messo le targhe di una
macchina affittata;
-quanto alle celle di aggancio, che la perizia “suggerita in sede di rinvio” aveva
consentito di superare il dato ritenuto ipotetico e non provato (secondo cui, al
fine di dimostrare la presenza dell’imputato nella zona teatro dei fatti e, quindi, il
superamento dello svincolo di Mulinello che conduce a Valguarnera, il sito di
Assoro settore 1 poteva superare lo svincolo di Mulinello se associato al sito di
Enna contrada Montesilvano settore 2), avendo i periti evidenziato che un
cellulare che si spostava dallo svincolo di Mulinello verso Valguarnera poteva
agganciare, secondo l’intensità del segnale, sia il ponte Enna, c.da Montesilvano
sett. 2, che Assoro sett. 1, senza alcuna necessità di ipotizzare l’associazione di
un sito rispetto all’altro;
-quanto ai tempi di percorrenza Valguarnera-Bronte, i periti incaricati di
verificare la praticabilità di tutti gli itinerari possibili, hanno calcolato un tempo
di percorrenza lordo di 75 e 07 minuti e al netto di 71 minuti, con uno scarto di
13 minuti circa, in più rispetto ai tempi di aggancio delle celle interessate dal
tragitto dell’imputato verso Bronte, ma tale tempo, tra l’altro, ben poteva essere
per intero riassorbito, prendendo in considerazione una località più a nord di
Ponte Barca verso Bronte, sicuramente compresa nella copertura della cella di
contrada Poggio Monello; inoltre, occorreva tener conto delle sopravvenute
dichiarazioni di Mirabile Giuseppe, il quale dichiarava di aver appreso da più
soggetti, tra cui Montagno Bozzone, che lo Sciacca era stato il killer del
Calcagno.
3. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto distinti ricorsi, a mezzo dei
suoi difensori di fiducia, avv. ti Giovanni Aricò e Francesco Antille, che incentrano
i motivi di impugnazione su tematiche in gran parte sovrapponibili, lamentando

entrambi, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e)
c.p.p., in relazione agli artt. 192 c.p.p. 110, 575, 577 n. 3 c.p., art. 7 L. 203/91,
atteso che le deficienze e le evidenti incongruità che avevano portato

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riferiva di aver parlato dell’omicidio del Calcagno con il La Rocca e che

all’annullamento, non sono state né risolte, né tanto meno superate ed in
particolare:
3.1. quanto alla tematica “targhe”, l’avv.to Aricò premesso che il Giudice di
appello in sede di giudizio di rinvio ha proceduto -considerata l’inadeguatezza
logica della soluzione prospettata dalla sentenza annullata- alla rimodulazione
motivazionale in chiave indiziante del tema in questione, ha lamentato
innanzitutto che l’ipotesi su cui si regge la prospettazione motivazionale della
sentenza impugnata- ossia quella che “i gruppi criminali si dotano sovente di vari

se ne presenta l’occasione”-

nella specie è del tutto mancante (e cioè la

“provenienza furtiva” dell’auto le cui targhe sono state utilizzate apponendole
sull’auto del commando); illogico, comunque, si presenta il dato, secondo cui
l’imputato avrebbe simulato il furto dell’autovettura, appropriandosi
indebitamente delle targhe, conservandole (direttamente o tramite il gruppo),
ossia tenendole “in riserva” in vista di un’azione delittuosa, invece di disfarsi di
esse, in considerazione della loro riconducibilità al medesimo Sciacca, con sua
identificazione certa; quanto alle dichiarazioni di Mirabile Giuseppe – circa la
riferita (de relato) “sbadataggine” nell’apposizione all’Opel Vectra proprio di
quelle targhe rinvenute- occorre considerare la possibilità dell’inquinamento
conoscitivo del narrato del collaborante, posto che della circostanza del
rinvenimento delle targhe già appartenute ad una autovettura noleggiata dallo
Sciacca era a conoscenza prima e a prescindere dalle pretese informazioni
apprese de relato da Francesco La Rocca, essendo stata riportata nelle due
sentenze di merito emesse nei confronti dell’imputato (oltre che ampiamente
nota ai soggetti che a vario titolo erano interessati a conoscere la dinamica del
delitto Calcagno); inoltre, la “sbadataggine” lamentata da Francesco La Rocca,
era riportata nella motivazione della sentenza di condanna nei suoi stessi
confronti, sicchè l’inquinamento non può ritenersi escluso dal riferimento al La
Rocca- quale fonte de relato- dell’informazione, dovendo l’attendibilità del
collaborante essere accuratamente vagliata; la tesi del “depistaggio” andava
ancora una volta approfondita, non considerando, peraltro, la Corte territoriale
che fra l’incriminazione nei confronti di Francesco La Rocca (oltre che di
Bevilacqua e dello stesso Montagna Bozzone) e le targhe rinvenute sul luogo in
cui era stata incendiata la Opel Vectra non sussiste connessione, perché le
indagini nei confronti dei mandanti del delitto (Francesco La Rocca, Bevilacqua e
Montagna Bozzone) avevano tratto origine dalle intercettazioni effettuate presso
l’abitazione del Bevilacqua ed erano, dunque, indipendenti dalla vicenda delle
targhe; è, poi, illogica la sentenza impugnata- nella parte in cui afferma che
“nessuno dei partecipi all’azione poteva avere interesse ad indirizzare

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mezzi (…) di provenienza furtiva (…) da tenere in riserva per utilizzarle quando

coscientemente gravi indizi nei confronti dell’odierno imputato”, posto che in tal
modo gli autori del delitto -in essi compreso Montagno Bozzone Francescoavrebbero nel contempo convogliato pesanti indizi verso la cosca mafiosa di
Bronte diretta dal (medesimo) Montagno Bozzone Francesco, ma la Corte
territoriale non considera il dato peculiare secondo cui, dei tre esecutori
dell’omicidio è stato individuato solo lo Sciacca, mentre gli altri esecutori sono
rimasti ignoti; il depistaggio e la manipolazione della prova nei confronti del
ricorrente trova negli atti del processo molte possibili causali, tra cui il carattere

alleanze del catanese, oltre che le “relazioni pericolose” del ricorrente, ad
esempio, con la moglie di un detenuto, ciò che costituiva, peraltro, la ragione
della sua frequentazione dell’ennese ed altro; senza considerare, poi, che le
risultanze processuali depongono senz’altro per l’abbandono preordinato delle
targhe della Opel Vectra, atteso che a supporto di tale tesi vi è il fatto che la
targa posteriore era fissata al cofano in metallo e, comunque, era improbabile
che le viti di fissaggio possano aver raggiunto una temperatura tale da
determinarne la fusione;
3.1.1. sempre in merito alla tematica “targhe”, l’avv.to Antille lamenta che,
dall’esame dibattimentale dei vigili del fuoco è emerso che tali targhe erano
state rinvenute come invertite rispetto al loro ordinario posizionamento, ma sul
punto la Corte, nel tentativo di confutare tale conclusione, da un canto, afferma
di non rinvenire traccia di tale inversione, tacendo sul riconoscimento fotografico
avvenuto in udienza, e dall’altro respinge con ordinanza la richiesta di
accertamento, pure impugnata in questa sede, circa le modalità di fissaggio di
tali targhe che, impropriamente, i vigili danno come cadute a terra a seguito del
liquefarsi del supporto di plastica, ove sarebbero state inserite; in proposito, la
Corte territoriale non considera il dato che tale supporto in plastica non esiste,
atteso che il modello di vettura in questione illo tempore non prevedeva il
fissaggio in plastica, ma in metallo e, comunque, la targa maggiormente bruciata
contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata è risultata essere
quella posteriore e non quella anteriore per la vicinanza al motore; in ogni caso,
resta il dato che il devolutum annullatorio risulta integro circa il riconoscimento
delle targhe e l’illogicità della condotta dell’imputato, che non si è curato di
sopprimere l’unico dato -ossia le targhe- a lui riconducibile e ciò andava posto in
relazione alle pregresse indagini del RIS (cfr. perizia dibattimentale di 10 grado),
che esclusero la presenza di qualsiasi traccia genetica e dattiloscopica dello
Sciacca sullo scenario della combustione della vettura; la sentenza impugnata,
inoltre, non chiarisce il ruolo materiale dell’imputato e la condotta che avrebbe
effettivamente tenuto in via di concorso, al pari della sentenza annullata,
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dell’imputato, gli assetti fortemente variabili, e le frequentissime inimicizie, nelle

giungendo ad escludere espressamente valenza probatoria alla deposizione del
teste oculare Scibona Roberto, che, chiamato a riconoscere in dibattimento lo
Sciacca quale autore materiale del delitto lo ha escluso espressamente; tale
disconoscimento, unitamente a quanto evidenziato dal perito D’Antona travolge
tutto il compendio probatorio;
3.2. quanto alla tematica “celle di aggancio”, entrambi i ricorsi hanno
evidenziato come l’incertezza od opinabilità del dato indiziario in questione,
segnalata nella sentenza di annullamento, non sia stata risolta in sede di rinvio,

Corte territoriale si è limitata a rilevare che il perito Dantona ed il consulente di
parte (La Corte), hanno concordemente affermato che la BTS di Enna, c.da
Montesalvo settore 2, era da sola idonea a raggiungere il territorio urbano di
Valguarnera, ma in tal modo il giudice d’appello ha totalmente pretermesso di
considerare che tale compatibilità è una compatibilità ad amplissimo raggio,
totalmente astratta, che prescinde da ogni accertamento sul superamento da
parte del cellulare in uso allo Sciacca dello svincolo di Mulinello e cioè della
precondizione della sua localizzazione nel territorio urbano di Valguarnera; la
compatibilità a cui ha fatto riferimento il Giudice dell’appello è una “compatibilità
con un’area territoriale” che può riferirsi al territorio di Valguarnera come ad
un’area posizionata in tutt’altra direttrice; su questo tema

“la risposta del

consulente della difesa coincide con il parere del perito”, ma questa uniformità di

punti di vista implica la totale svalorizzazione indiziaria del tema delle celle di
aggancio, che definiscono la compatibilità della posizione del soggetto
possessore del cellulare in termini talmente estesi, da escluderne ogni utilizzo ai
fini della dimostrazione della responsabilità del ricorrente nell’omicidio; la
localizzazione resa possibile dalle celle di aggancio copre infatti un’area di 24 Km
di ampiezza e 17 chilometri di altezza, ossia un’area totalmente a-specifica;
inoltre, dalle risposte fornite in dibattimento dall’isp. Dantona emerge che non è
possibile affermare con certezza che il cellulare in uso a Vincenzo Sciacca si
trovasse, a seguito dell’aggancio del settore 2 del ripetitore di Enna 5380,
contrada Silvia Monte Salvo, esattamente nel Comune di Valguarnera, e non,
invece, (come era ugualmente possibile in base alle aree di copertura del
ripetitore) in tutt’altra area e cioè nell’area del lago di Pergusa; la sentenza
impugnata ha sostenuto che non vi sarebbe “alcuna necessità d’ipotizzare
l’associazione di un sito rispetto all’altro”

per convalidare la tesi della

localizzazione del cellulare nell’abitato urbano del Comune di Valguarnera, ma,
procedendo in tal modo, non è possibile superare la fondamentale aporia logicomotivazionale individuata dalla pronuncia di annullamento della Corte di
legittimità della mancanza di univocità del dato (potendo il cellulare dello Sciacca

pur con l’espletata perizia D’Antona; in particolare, l’avv. Aricò ha dedotto che la

trovarsi, sia nel territorio urbano di Valguanera, sia da tutt’altra parte), essendo
indimostrabile il superamento dell’imputato dello svincolo di Mulinello; inoltre,
risulta del tutto congetturale la soluzione della sentenza impugnata, circa il
mancato aggancio della cella specificamente dedicata allo svincolo di Mulinello
del cellullare dell’imputato, in dipendenza dell’assenza in quel tratto percorso di
traffico tassabile, così come avvenuto per il mancato aggancio alla BTS di Agira
sett. 2 Cozzo S. Chiara, atteso la Corte territoriale non ha considerato che lo
specifico aggancio del sito di Agira, non avvenuto nel percorso di ritorno verso

territoriale concluso nel senso che i soli elementi acquisiti con i tabulati (del
traffico tassabile) non sono da soli sufficienti a provare la presenza di Sciacca sul
luogo del delitto, vale a dire sotto casa o nei pressi dell’ abitazione di Calcagno
Domenico, fino a sorprenderlo con l’aggressione armata mortale, e comunque,
la certezza del dato (sui percorsi di andata e ritorno dello Sciacca da Bronte
verso l’ennese), che configura la localizzazione del ricorrente nel territorio
urbano, assume una connotazione del tutto diversa se si prende in
considerazione un dato che costituisce non solo un possibile scenario alternativo,
ma una precisa (ed ampiamente comprovata dalle risultanze processuali)
prospettazione fattuale, e cioè che lo Sciacca frequentava regolarmente l’area,
intesa in senso ampio, in cui era avvenuto l’omicidio (e cioè non Valguarnera,
ma altre zone dell’ennese coperte dalle stazioni radio agganciate il 18.5.2003);
tale questione è stata affrontata sbrigativamente dalla Corte territoriale, che ha
ritenuto che l’avere lasciato in termini del tutto vaghi e nebulosi due possibili
alibi (alibi nella sostanza inesistenti), peraltro inconciliabili l’uno con l’altro, non
può determinare alcun impegno motivazionale su circostanze d’alibi in sostanza
inesistenti; tale valutazione, tuttavia, ha eluso il tema della frequentazione da
parte dell’imputato delle località (masseria Grado e abitazione di Graziella
Cantone), in cui l’aggancio del suo cellulare ai ripetitori BTS è avvenuto, atteso
che il fatto che il ricorrente non abbia indicato specificamente l’incontro con
Graziella Cantone o l’attività svolta presso la masseria Grado quale motivo della
sua presenza in quella località non può affatto significare ( come ha invece
ritenuto la sentenza di appello) che la sua decisione possa essere dipesa dalla
eventualità che la circostanza (da lui prospettata) fosse potenzialmente
smentibile dalle indagini di RG. in corso in quel periodo; ciò che conta, invero, è
la possibilità oggettiva per il ricorrente di giustificare la localizzazione del suo

cellulare in quell’area per motivi del tutto diversi dall’esecuzione dell’omicidio e
ciò non risulta smentito dalle dichiarazioni del collaborante Mirabile Giuseppe,
che ha riferito che l’imputato aveva un casa in affitto con una donna ed aveva i
cavalli; inoltre, avvalorano tale tesi il fatto che i tabulati del cellulare
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Bronte, si era invece verificato nel percorso di andata; pur avendo la Corte

dell’imputato registrano la sua presenza in quella medesima area nei giorni
precedenti e successivi all’omicidio;
3.2.1. sempre in merito alla tematica “celle di aggancio”, l’avv. Antille ha
dedotto che la perizia Dantona non è stata in grado di attribuire certezza alcuna
all’ipotesi di aggancio del cellulare nella sola area compatibile con la via Sicilia di
Valguarnera, ove è avvenuto l’omicidio, e lo stesso perito in sede di esame ha
ammesso che il cellulare potrebbe non essere giunto a Valguarnera; la Corte non
considera che l’area geografica in cui la connessione si verificò coincide con

supera neppure il contrasto tra i dati temporali emersi tra la perizia GualtieriGulino e le risultanze dei tabulati telefonici quanto alla durata del tragitto di
rientro, atteso che, secondo queste ultime, il percorso da Valguarnera a Bronte
sarebbe stato effettuato in poco più di cinquanta minuti, mentre secondo la
perizia con trenta minuti in più, pur considerando l’inattendibilità
dell’esperimento sviluppato, essendo stata impiegata una Mercedes lanciata a
folle velocità;
3.3. quanto agli itinerari e ai tempi di percorrenza Valguarnera/Bronte, a fronte
del tempo di circa un’ora trascorso tra l’omicidio (intorno alle 20,00) ed il
momento in cui il cellulare dello Sciacca ha agganciato il ripetitore di Bronte
Poggio Morello, alle 21.07, l’avv. Aricò ha evidenziato che, all’esito della perizia
svolta in sede di giudizio di rinvio, è emerso, invece, che occorrono circa 75
minuti per coprire il tragitto in questione; la Corte territoriale tenta di superare
lo scarto di 13 minuti in più evincibile dalla perizia, arretrando la decorrenza del
percorso per il rientro a Bronte alle 20,05 ed ipotizzando una guida decisamente
spericolata da parte dell’imputato, nonostante il tragitto in questione sia stato
effettuato di notte, con superamento dei limiti consentiti dal Codice della Strada,
spingendosi addirittura ad ipotizzare condizioni di guida ancor più estreme,
compatibili con l’esigenza di chi doveva allontanarsi al più presto possibile dal
luogo del delitto e rientrare nel paese di origine; inoltre, ha parametrato il tempo
occorrente all’aggancio del ripetitore di Poggio Monello, non al momento del suo
arrivo nel centro abitato del paese, ma quando l’imputato si trovava ad una
distanza di circa 23 km., assumendo come presupposto del ragionamento la
configurazione teorica del sistema, che prevede per l’appunto la propagazione
del segnale fino a quella distanza, senza considerare che nel percorso di andata
l’imputato aveva agganciato ripetitori diversi da quello di Bronte c.da Poggio
Monello; come evidenziato dal consulente della difesa, lungo il percorso vi sono
altre stazioni radio base che forniscono un segnale di livello più elevato, per cui il
terminale si collega a tali stazioni e non a quella di Bronte; tale circostanza
evidenzia l’illogicità della supposizione della sentenza impugnata, che ha

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quella della masseria Grado, frequentata per ragioni neutre dal ricorrente e non

ipotizzato la possibilità di un aggancio del cellulare in uso al ricorrente ad una
distanza di oltre 20 km dal centro abitato di Bronte, senza tenere conto della
presenza, lungo quel tragitto, di altri ripetitori di segnale più elevato: ripetitori
che difatti erano stati agganciati nel percorso di andata da Bronte verso Enna; la
Corte territoriale, poi, ipotizza una convergenza sincronica fra la partenza
dell’imputato da Bronte, il momento dell’arrivo nel centro abitato di Valguarnera
(sotto l’abitazione del Calcagno) ed il momento dell’omicidio (coincidente con
l’uscita da casa della vittima), ma tale sincronia è assolutamente improbabile a

dell’uccisione, affermando la stessa sentenza che lo Sciacca e i suoi complici non
potevano sapere se, in quel certo orario, Calcagno sarebbe sceso in strada per
spostare la macchina; le modalità, poi, dell’omicidio, come descritte dalla stessa
sentenza impugnata (“Bevi/acqua ( ) aveva già provveduto ad ospitare tra
Barra franca e Pietra perzia delle persone di fuori, cioè estranei all’ambiente
pronte ad agire per eseguire l’omicidio”) non si presentano compatibili con le
modalità con le quali sarebbe stato eseguito l’omicidio da parte dello Sciacca,
che non presupponevano il “caso fortuito”, che proprio quel giorno e a quell’ora il
Calcagno sarebbe sceso in strada per spostare la macchina, al fine di non
ostruire il passaggio della processione del paese, benchè i Carabinieri lo avessero
invitato ad essere particolarmente cauto nei movimenti; in proposito, la
motivazione della sentenza impugnata -secondo cui il killer attese il momento
propizio per portare a termine l’agguato- non tiene conto del dato che lo Sciacca,
dopo aver intrapreso il viaggio da Bronte verso Valguarnera (dove sarebbe
arrivato nei minuti immediatamente prossimi al delitto), non ha affatto atteso (o
potuto attendere) il momento propizio per agire ed anzi è arrivato nell’abitato di
Valguarnera, uccidendo immediatamente dopo la vittima designata;
3.4. quanto alle dichiarazioni di Mirabile Giuseppe de relato (da Alfio Mirabile,
zio del dichiarante, Montagno Bozzone, Francesco e Filippo La Rocca, Alessandro
Franco), circa il ruolo di killer svolto dallo Sciacca nell’omicidio del Calcagno,
costituenti il novum processuale integrante il precedente compendio indiziario, in
uno alla documentazione richiesta dal P.G., intesa a dimostrare l’attendibilità
dello stesso (attestazioni dei colloqui effettuati e dei periodi di co-detenzione
con i soggetti costituenti fonte delle sue propalazioni), l’avv. Aricò ha evidenziato
che gli accertamenti effettuati (periodi di detenzione, colloqui ecc.) comprovano
gli avvenuti incontri, ma non la veridicità delle dichiarazioni del predetto
collaborante; il controllo probatorio che occorre esercitare sulle dichiarazioni del
Mirabile riguarda, non tanto il fatto che il collaboratore fosse stato detenuto
insieme a Montagna Bozzone nel medesimo carcere, o che abbia effettuato
colloqui con Alfio Mirabile, ma le specifiche circostanze di luogo e di tempo e gli
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fronte dell’eccezionalità dell’uscita di casa del Calcagno nel momento

specifici contenuti che costituiscono il nucleo portante delle sue dichiarazioni; in
particolare, per quanto concerne la prima fonte informativa del Mirabile, ossia
Montagno Bozzone Francesco, costui, come evidenziato nell’interrogatorio reso il
2.10.2012, gli parlò dell’omicidio del Calcagno per i problemi avuti da Vincenzo
Sciacca con Piero Crisafulli e per la necessità di “raccomandare” il primo, per
evitargli gravi problemi nel carcere dove si trovava detenuto, sicchè le
dichiarazioni de relato del collaboratore, per avere un senso probatorio, hanno
come presupposto logico necessario il fatto che Piero Crisafulli si sia trovato nel

periodo di tempo in cui Giuseppe Mirabile era nel carcere di Catania-Bicocca,
insieme al Montagno Bozzone; ne deriva che, mancando la simultaneità della
compresenza, viene a mancare anche la ragione della “raccomandazione” a
Giuseppe Mirabile da parte del Montagno Bozzone; i giudici d’appello hanno
ritenuto, invece, sufficiente la verifica che vi fossero stati periodi di detenzione
comuni dei soggetti coinvolti, laddove la verifica incrociata dei periodi di codetenzione riguardanti, da un lato, il Montagno Bozzone e Giuseppe Mirabile e,
dall’altro, Vincenzo Sciacca e Piero Crisafulli si pone in assoluto contrasto con le
dichiarazioni del collaboratore (secondo cui nel momento in cui Giuseppe Mirabile
sarebbe stato chiamato ad intervenire in favore dello Sciacca, quest’ultimo
sarebbe stato detenuto insieme al Crisafulli): nel periodo in cui Giuseppe Mirabile
e Montagno Bozzone erano stati ristretti entrambi nel carcere di Catania-Piazza
Lanza (e cioè dal 27.3.2004 al 3.5.2004) Vincenzo Sciacca non era detenuto
insieme a Pietro Crisafulli (lo sarebbero stati soltanto dal 4.3.2005 al
22.7.2005); trattasi di un contrasto insanabile, assolutamente centrale nella
struttura del racconto del collaboratore e ai fini della sua convalida probatoriatoglie ogni riscontro fattuale alle dichiarazione rese da Giuseppe Mirabile,
degradando la sua narrazione accusatoria (de relato) al rango di mere
propalazioni prive di ogni giustificazione razionale e, soprattutto, ingiustificate
dal punto di vista degli specifici contenuti di cui egli ha corredato le sue
dichiarazioni: se, infatti, la lite Sciacca/Crisafulli non può essersi verificata nel
2004 (durante la codetenzione Mirabile/Montagno Bozzone) diventa del tutto
inspiegabile la ratio (per come dichiarata dallo stesso collaboratore) della
richiesta di “raccomandazione” da parte di Montagno Bozzone; anche per quanto
concerne il soggetto incaricato dal Mirabile di intervenire in favore dello Sciacca,
ossia Dario Caruana, il narrato del collaborante non riceve riscontri positivi,
posto che il Caruana, quando avrebbe ricevuto l’incarico da parte del Mirabile,
ancora non si trovava detenuto a Piazza Lanza; inoltre, se le dichiarazioni de
relato di Giuseppe Mirabile richiedono di essere riscontrate, il primo riscontro
(mancante, e che anzi costituisce il segnale del mendacio del collaborante) è

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carcere di Piazza Lanza, insieme a Vincenzo Sciacca, esattamente nello stesso

costituito dal controllo sul contenuto delle sue dichiarazioni ed è la struttura
interna del narrato accusatorio di Giuseppe Mirabile a costituire il limite
invalicabile alla possibilità di considerare come attendibili le sue dichiarazioni; il
collaborante posto di fronte alle contraddizioni relative al periodo di detenzione
di Montagno Bozzone/Giuseppe Mirabile, da un lato, e Sciacca/Crisafulli,
dall’altro, all’udienza del 15.11.2012, ha modificato le dichiarazioni rese il
2.10.2012 (ed oggetto di contestazione nel corso del suo esame dibattimentale),
evidenziando di non saper collocare nel tempo il litigio tra lo Sciacca ed il

servito per identificare lo Sciacca (appunto come colui che aveva avuto tale
litigio) e che lo stesso aveva avuto discussioni con altri detenuti; in ogni caso, i
tentativi del collaboratore (nel corso dell’esame dibattimentale) di correggere ed
aggiustare tale originaria prospettazione (una volta preso atto che il Crisafulli
non era detenuto insieme allo Sciacca nel periodo della co-detenzione Giuseppe
Mirabile/Montagno Bozzone) sono del tutto contradditori e non possono risolvere
il problema della falsità delle dichiarazioni originarie dallo stesso rese (oggetto,
peraltro, di precise contestazioni persino da parte del P.G.); dalle dichiarazioni
del Mirabile emerge, inoltre, che egli incaricò un suo affiliato, il Caruana, di
inviare nell’ambiente carcerario di Piazza Lanza il messaggio che lo Sciacca era
“protetto” dal clan Santapaola, ma il periodo di co-detenzione fra il Caruana e
Vincenzo Sciacca iniziò, come risulta dalla documentazione proveniente dai due
istituti penitenziari, dopo oltre 2 mesi e mezzo dalla data in cui si concluse la
detenzione comune di Giuseppe Mirabile e Montagno Bozzone; in realtà, la Corte
non affronta la questione vera, costituita dal fatto che a quei due periodi di codetenzione non corrisponde affatto la co-detenzione fra Giuseppe Mirabile e
Montagno Bozzone e non risolve, quindi, il problema della credibilità del
dichiarante, secondo l’insegnamento delle S.U.; nè diverso (e positivo) giudizio
sulla credibilità/attendibilità del collaboratore può derivare dalle sue dichiarazioni
riguardanti le altre fonti da cui avrebbe appreso della partecipazione materiale
dell’imputato all’omicidio Calcagno e segnatamente lo zio Alfio Mirabile; in
proposito, il collaborante ha riferito di aver appreso da un giornale la notizia
relativa all’arresto dello Sciacca e di Marco Strano per il furto di un escavatore
e di aver chiesto notizie in proposito allo zio, il quale gli riferiva che lo Sciacca
era quello che “ci aveva tolto il pensiero nella provincia di Enna”, ma la
circostanza della inverosimiglianza della fonte di apprendimento dell’arresto,
ossia il giornale (all’epoca il collaborante era detenuto in un carcere in Abruzzo,
sicchè appare poco probabile che un giornale di quella zona riportasse una
notizia di rilevanza etnea), non può essere risolto semplicemente con il fatto che
Alfio Mirabile ha avuto effettivamente dei colloqui con il nipote e che è
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Crisafulli, se nel 2004, nel 2005 o nel 2006 e che il riferimento al Crisafulli era

ragionevole pensare che fu lo stesso Alfio Mirabile ad aggiornarlo della situazione
(circa l’arresto dei due e l’abbandono del Montagno Bozzone dei “Carcagnusi”) e
nel contempo a rivelargli che fu lo Sciacca a risolvere il problema in provincia di
Enna; più nel dettaglio non è affatto vero che nel momento in cui lo Sciacca e Io
Strano vennero arrestati il collaborante si trovava nel carcere di Catania-Bicocca,
trovandosi invece a Lanciano e, comunque, è da escludere che dopo che fu
trasferito in carcere a Catania possa aver appreso dai giornali fatti verificatisi
qualche mese prima; in sostanza, la valutazione dell’attendibilità del collaborante

veri avrebbero dovuto comportare la valutazione di inattendibilità dello stesso;
per quanto concerne, poi, le altre fonti dalle quali il collaborante avrebbe appreso
del ruolo dello Sciacca in relazione dell’omicidio Calcagno, ossia, Francesco La
Rocca, Filippo La Rocca, Alessandro Franco, ebbene Francesco La Rocca non
aveva alcun motivo di “lamentarsi” per l’errore (in ipotesi) commesso dallo
Sciacca, posto che il suo arresto non era stato determinato dall’uso improvvido
(sempre in ipotesi) delle targhe da parte dell’imputato, ma esclusivamente dalle
intercettazioni effettuate dagli inquirenti; inoltre, per quanto riguarda la
descrizione che il collaboratore ha fornito dell'”errore” dello Sciacca, essa appare
confusa atteso che il Mirabile (de relato da Alessandro Franco) riferisce il fatto
che l’omicidio sarebbe stato commesso utilizzando una autovettura affittata dallo
Sciacca a cui erano state cambiate le targhe, invertendo così totalmente l’ordine
degli addendi, essendo state le targhe sostituite all’Opel; inoltre, non si
comprende come le “cinque fonti” del Mirabile, alcune delle quali al vertice della
struttura associativa e protagonisti in prima persona dell’ideazione, preparazione
e organizzazione dell’omicidio abbiano parlato esclusivamente dello Sciacca,
laddove risulta pacifico che parteciparono all’omicidio anche altri soggetti, così
come non si comprende il fatto che il Mirabile non abbia chiesto lui notizie degli
altri partecipi; andavano, poi, compiutamente analizzati i motivi di attrito o
disistima del collaborante con lo Sciacca, posto che, mentre le propalazioni del
collaborante nei confronti degli altri soggetti coinvolti nell’omicidio (ad es.
Montagno Bozzone, i La Rocca ed altri) non avevano avuto significative
ripercussioni, essendo stati essi già condannati, per lo Sciacca, invece sì; inoltre,
dalle dichiarazioni del Mirabile emerge che lo Sciacca ebbe il ruolo di killer
nell’omicidio del Calcagno, ma se fosse stato effettivamente uno dei killer, non si
comprende perché a bordo dell’auto bruciata non sono state rinvenute tracce di
compatibilità tra i reperti cellulari rinvenuti con quelli dello Sciacca; la
giustificazione della Corte territoriale delle ragioni del mancato rinvenimento di
tali tracce si presenta illogica laddove ritiene che le uniche tracce rinvenute non
corrispondenti allo Sciacca sono state lasciate dai Vigili del Fuoco, posto che tale
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andava parametrata ai fatti determinanti la propalazione, che, rivelatisi non

conclusione non è supportata da nessuna delle testimonianze dei Vigili; i profili

genetici dei reperti sottoposti ad esame riguardavano tre soggetti di sesso
maschile (un numero, cioè, equivalente ai componenti del gruppo di fuoco) e
nessuno dei tre reperti biologici era riconducibile allo Sciacca, tanto più che
l’imputato si era sottoposto spontaneamente al prelievo del “tampone cellulare”
per la comparazione con i profili genetici delle tracce biologiche presenti sul
guanto e sulle cicche di sigaretta;
3.4.1. sempre con riguardo alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia

inutilizzabilità e nullità” prospettate tempestivamente dalla difesa, atteso che le
presunte fonti del propalante (Montagno Bozzone, La Rocca e altri) escussi ai
sensi dell’ art. 195 c.p.p. non hanno confermato il suo racconto ed in sede di
controesanne emerge astio verso il ricorrente; la Corte territoriale ha errato nel
ritenere che le fonti indicate non hanno confermato il racconto del propalante,
siccome non collaboranti, atteso che la verifica della dichiarazione anche
indiretta doveva essere effettuata, con elementi di riscontro specifici e tali non
I

sono gli accertamenti circa la contemporanea (tra l’altro, in parte
documentalmente smentita) possibilità di incontro tra il dichiarante e le presunte
fonti; il collaborante in realtà si è limitato a riferire quanto appreso dalla stampa
ed esposto nelle cronache, tanto è vero che non riferisce di notizia alcuna
sull’identità dei correi, sulla fuga, sui mezzi sul movente; inoltre, la difesa
doveva essere posta in condizione di conoscere integralmente le dichiarazioni
rese al P.M. dal Mirabile atteso che l’introduzione del tema di prova è stata
preceduta da parti omissate;
3.5. quanto alla conversazione del 25.4.2004 tra Alfio Camuto e Carmelo
Gullotti, sono state acquisite da altro procedimento penale ulteriori dieci
conversazioni intercettate in ambientale a bordo della Opel Astra del Cannuto
nell’ambito del medesimo contesto cronologico ed investigativo nel quale si
collocava la già nota intercettazione del 25.04.2004, sì da fungere da
completamento del valore attribuibile alla predetta conversazione; le
conversazioni acquisite non danno conto univocamente, contrariamente a quanto
ritenuto dalla sentenza impugnata della posizione para-apicale del Camuto nel
gruppo Montagno Bozzone; ad esempio, nella conversazione (del 27.11.2003)
intercorsa fra Camuto Alfio e Sciacca Vincenzo, emerge la preoccupazione degli
interlocutori in merito alla richiesta (da parte della Questura di Catania) dei
carichi pendenti dello stesso Sciacca, di Montagno Bozzone e del fratello Mario,
di Mimnno Di Marco e così via e le informazioni fornite dallo Sciacca sulle indagini
in corso costituirebbero, dunque, la prova della collocazione (del Camuto) in
posizione di rilievo all’interno del gruppo, ma tale conclusione- di per sé opinabile
15

Giuseppe Mirabile, l’avv. Antille ha evidenziato che “persistono le eccezioni di

(considerati i rapporti di frequentazione Sciacca- Camuto era normale che
l’odierno ricorrente informasse il suo interlocutore della richiesta dei carichi
pendenti da parte della Questura di Catania)- diventa assolutamente illogica se
si considera che in quella occasione lo Sciacca non riferisce alcunché (e non
manifesta alcuna preoccupazione) sull’omicidio di Domenico Calcagno; se il
ricorrente avesse partecipato a quel delitto, la sua prima preoccupazione sarebbe
stata quella di essere (eventualmente) indagato per l’uccisione del Calcagno ed
in quel caso avrebbe dovuto manifestare i propri timori proprio al Camuto ( per

responsabili di quel delitto ed allora avrebbe dovuto parlarne con il Camuto, in
quanto soggetto in posizione apicale e, dunque, legittimato alla conoscenza del
fatto (nell’immediatezza della notizia appresa sulle indagini in corso), oppure lo
Sciacca non era affatto uno degli esecutori dell’omicidio, e, dunque, non aveva
alcun senso parlare con il Camuto (o con chiunque altro) di quella vicenda; in
merito alla specifica conversazione Camuto/Gullotti del 25.4.2004, il rapporto di
scambio fra l’omicidio Calcagno e (il mai avvenuto) omicidio di Turi Catania, in
cui avrebbe dovuto concretizzarsi (per Montagno Bozzone) il vantaggio della
partecipazione al primo delitto, non trova conferma, né in quello che sarebbe
avvenuto dopo l’omicidio del Calcagno (posto che nessuno avrebbe attentato alla
vita di Salvatore Catania), né in quanto accaduto prima, quando, secondo il
collaboratore Giuseppe Mirabile, era stato raggiunto un accordo fra il gruppo di
Montagno Bozzone e Salvatore Catania; il resoconto descrittivo che sull’intera
vicenda ha fornito il Camuto (nella sua conversazione con lo zio Gullotti) parla
però, con ogni evidenza, di un’altra storia, del tutto incompatibile con le
dichiarazioni del Mirabile; nella versione del Camuto, l’omicidio di Domenico
Calcagno è la risultante di una decisione estemporanea -e ritenuta improvvida
dallo “zio”- del Montagno e non di un’azione programmata nei minimi particolari,
come, invece, sostenuto dai giudici di merito nel processo; anche in questo
caso, delle due l’una: o l’azione delittuosa era stata lungamente preparata (e in
questo senso depongono i dialoghi intercettati dei cosiddetti mandanti e ideatori
dell’omicidio), oppure il delitto era stato eseguito per iniziativa autonoma del
Montagno Bozzone, che aveva coinvolto lo Sciacca facendogli credere -in modo
falso e ingannevole come risulta dalla captazione Camuto/Gullotti- di agire “per
conto dello zio”, e cioè -secondo l’interpretazione che di quelle parole è stata
data nelle due sentenze di merito- di Francesco La Rocca, il quale, invece, non
sarebbe stato affatto d’accordo nel commettere l’omicidio (sempre secondo le
parole del Camuto); per tali ragioni la sentenza di annullamento non aveva
attribuito alla conversazione altra valenza se non quella di mero spunto

16

la collocazione apicale di quest’ultimo); delle due l’una: o il ricorrente era uno dei

investigativo, laddove la sentenza impugnata continua ad attribuire a tale
conversazione una forte valenza probatoria;
3.5.1. sempre con riguardo alla conversazione del 25.4.2004 tra Alfio Camuto
e Carmelo Gullotti, l’avv. Antille ha evidenziato come, dal compendio delle
intercettazioni trascritte e dalla escussione degli investigatori non è stata
immutata la posizione del dichiarante che resta privo di ruolo, sia al momento
della deliberazione omicidiaria, sia al momento dell’ esecuzione dell’omicidio, e,
comunque, non può ritenersi apicale; inoltre, la difesa ha provato l’esistenza di

associative di Bronte;
3.6. l’avv. Antille lamenta, altresì, che la Corte territoriale abbia valorizzato le
sentenze di condanna irrevocabili nei confronti di Montagno Bozzone Francesco,
Bevilacqua Raffaele e Francesco La Rocca, indicati tra i mandanti ed
organizzatori dell’omicidio del Calcagno; in particolare, l’acquisizione
documentale della sentenza a carico di uno dei correi non implica ex iure la
formazione di una sorta di prova legale, tale da produrre effetti automatici in
capo all’estraneo di quel giudizio; inoltre, il Montagno Bozzone scelse di essere
giudicato con il rito abbreviato, senza alcuna attività peritale di verifica della
prova a differenza dello Sciacca, ed il Bevilacqua non ha mai rivestito un ruolo
esecutivo; in ogni caso, le sentenza acquisite senz’altro non possono
determinare il superamento delle molteplici sfasature caratterizzanti la sentenza
di condanna a carico dell’imputato.
4. In data 18.9.2015 l’avv. Aricò ha depositato nell’interesse dello Sciacca
motivi nuovi di ricorso, con i quali ha ulteriormente argomentato in merito:
-a) ai tempi di percorrenza Valguarnera -Bronte e agli agganci del cellulare del
ricorrente lungo il percorso, evidenziando l’importanza di tale dato posto che,
laddove il tempo di 57 minuti intercorso fra il delitto (avvenuto alle ore 20.10) e
l’aggancio della stazione radio di Poggio Monello di Bronte alle 21.07 risulti
insufficiente a coprire la distanza di 94 km da Valguarnera a Bronte, anche il
secondo elemento indiziario (riguardante la localizzazione del cellulare del
ricorrente nel percorso di andata verso Valguarnera) sul quale la sentenza
impugnata non ha potuto esprimere altro giudizio se non quello di una generica
compatibilità, verrebbe a perdere il suo (pur residuale) significato dimostrativo
sulla responsabilità dello Sciacca; non più una valutazione sul suo significato
indiziante, ma una valutazione riguardante la sua incidenza de-strutturante
l’intero compendio indiziante in atti; la sentenza di annullamento aveva
considerato, da un lato, i dati certi consistenti nella distanza (di 94 km)
intercorrente fra Valguarnera e Bronte, ed i tempi di percorrenza accertati fra la
commissione del delitto e l’aggancio della BTS di Poggio Monello (57 minuti) e,
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un omonimo dell’imputato con cui il Camuto poteva relazionarsi per le vicende

dall’altro, il carattere “ipotetico e del tutto indimostrato” dei percorsi alternativi
prospettati dalla sentenza annullata per poter colmare la differenza (riducendo la
distanza di 94 km con l’impiego di strade diverse da quelle prese in
considerazione nei due precedenti giudizi di merito); gli accertamenti peritali
svolti nel corso del giudizio di rinvio non hanno apportato, quanto alla distanza
Valguarnera-Bronte, nel percorso più breve con riguardo ai tempi di percorrenza
necessari- mutamenti significativi rispetto ai dati originari; in particolare,
risultate del tutto smentite le ipotesi formulate nella sentenza annullata sulla

esistenti), che avrebbero consentito un sensibile abbattimento dei tempi normali
di percorrenza fra i Comuni di Valguarnera e di Bronte, la sentenza impugnata,
nonostante gli accertamenti peritali, ha ritenuto che l’aggancio alle h. 21.07 della
BTS di Poggio Monello da parte del cellulare del ricorrente fosse egualmente
compatibile con la commissione dell’omicidio, prendendo in considerazione,
innanzitutto, non i cd. “tempi lordi” (comprendenti cioè i tempi, ad esempio,
relativi a rallentamenti o code nel traffico interno del centro abitato di
Catenanuova, per la presenza di automezzi pesanti, o per l’ attraversamento del
manto stradale da parte di animali da allevamento, etc.), bensì i “tempi netti”,
che cioè non tengono conto degli ostacoli incontrati nella guida e delle fermate
necessarie, così riducendosi il tempo a 72 minuti; in modo del tutto congetturale,
quindi, la Corte territoriale ha ipotizzato un percorso a tutta velocità e senza
incontrare ostacoli di sorta, ovvero modalità di percorrenza contraddette dalla
stessa necessità, con cui i periti hanno dovuto fare i conti, di rallentare o
fermarsi, per far fronte ad ostacoli di varia natura incontrati sul percorso;
l’utilizzo dei “tempi netti”, invece dei “tempi lordi” di percorrenza, avrebbe
potuto giustificarsi in ragione della eventuale eccezionalità della causa di sosta
del rallentamento, ma tale eccezionalità è, invece, del tutto mancante nel caso di
specie; inoltre, inesatto è l’arretramento del momento di inizio del percorso da
Valguarnera alle ore 20.05, tenuto conto di quanto evidenziato dal teste Grasso,
circa il ricevimento della telefonata alla Centrale operativa alle 20.15, sicchè
operando l’arretramento di cinque minuti rispetto all’ora della telefonata occorre
partire dalle 20.10 laddove l’ulteriore arretramento temporale alle 20.05 risulta
in tale contesto del tutto ingiustificato ed arbitrario; occorre considerare, poi, le
modalità di svolgimento dell’accertamento peritale, svoltosi in orario diurno,
senza tenere in alcun conto il fatto che la guida del ricorrente era avvenuta in
orario notturno, e cioè in condizioni che (come ha affermato la stessa sentenza
impugnata) comportavano una maggiore difficoltà e un inevitabile allungamento
dei tempi di percorrenza; invece, il tempo reale di percorrenza risulta superiore
ai 75 minuti indicati nella sentenza ed è pari quantomeno a 88 minuti, ma, anche
18

esistenza di strade interne (mai precisate, ma apoditticamente considerate come

a voler considerare tale ultimo lasso temporale, in ogni caso si tratta di un tempo
notevolmente superiore ai 57 minuti intercorsi fra il momento dell’omicidio e
l’aggancio della cella di Bronte-Poggio Monello e da questo punto di vista, gli
accertamenti peritali disposti nel giudizio di rinvio non hanno modificato il
quadro fattuale su cui si era espressa la Corte di Cassazione; per superare tale
dato la sentenza impugnata si spinge a considerare che il ricorrente: 1) abbia
potuto spingere il proprio veicolo a velocità decisamente spericolate e 2) che
abbia avuto l’esigenza di allontanarsi il più presto possibile dal luogo del delitto e

per quale ragione sia stata disposta una perizia finalizzata ad accertare la
compatibilità fra il tempo di 57 minuti e la copertura del percorso (posto che a
“velocità spericolate” non si può per definizione escludere che quel tempo fosse
stato sufficiente); in ogni caso, su una distanza di circa 94 km l’incremento di
velocità necessario per poter accorciare di 13 minuti il tempo di percorrenza è
ragguardevole ed è tanto più inverosimile, se si considera la circostanza
(richiamata dalla stessa sentenza impugnata) che i periti avevano già tenuto,
lungo il percorso, velocità massime, o superiori a quella massima consentita;
quanto alla esigenza del ricorrente di allontanarsi al più presto dal luogo del
delitto, occorre rilevare che, tenendo velocità superiori a quella massima
consentita dal codice della strada, il ricorrente si sarebbe esposto alla possibilità
di essere fermato da eventuali pattuglie delle forze dell’ordine posizionate sul
percorso; la seconda soluzione prospettata dalla Corte etnea per colmare lo
scarto di 13 minuti è costituita dall’arretramento della zona in cui il cellulare del
ricorrente avrebbe agganciato la BTS di Bronte-Poggio Monello, non più nel
momento di giungere alla prima piazza di Bronte, oppure quando si era trovato
nelle adiacenze del ripetitore, ma nel momento di attraversare in auto la zona di
ponte Barca o una località più a Nord, come il bivio tra la SP 94 e la SP 122 ad
una distanza variabile fra i 13 e i 18 km;tali conclusioni, oltre che interamente
congetturali, risultano contraddette da precise risultanze processuali, ossia dagli
agganci del cellulare del ricorrente alla BTS di Adrano nel percorso di andata in
direzione di Agira e dal fatto che la località Ponte Barca si trova in zona
sottostante al paese di Adrano; la sentenza impugnata avrebbe dovuto spiegare,
in proposito, per quale ragione questo aggancio avrebbe dovuto sostituire quello
con la BTS di Adrano, situata ad una distanza di 5 km dalla zona di ponte Barca
e del bivio tra la SP 94 e la SP 122 in una posizione sovrastante rispetto all’area

in questione, e avrebbe dovuto spiegare altresì per quale ragione il ripetitore di
Adrano era stato agganciato dal cellulare dopo appena 3 minuti dall’uscita da
Bronte, mentre non era stato agganciato nel percorso di ritorno all’ altezza di
Ponte Barca o delle zone limitrofe; la spiegazione fornita dalla Corte territoriale,
19

rientrare nel paese di provenienza; quanto alla prima ipotesi, non si comprende

secondo cui cellulare in questione non fu impegnato da traffico con tassazione
commerciale nell’ “attraversare quella zona nell’itinerario di ritorno da
Valguarnera verso Bronte” non spiega affatto per quale ragione il cellulare del
ricorrente-laddove in quel momento si fosse trovato all’altezza di Ponte Barca o
in una zona limitrofa- abbia dovuto agganciare la BTS di Bronte Poggio Monello e
non, invece, la BTS di Adrano (molto più vicina, e già agganciata nel percorso di
andata dopo appena tre minuti dall’uscita di Bronte); una ulteriore indicazione
sul percorso Valguarnera-Bronte può trarsi dai tabulati telefonici allegati alla

andata da Bronte fino (in ipotesi) a Valguarnera, atteso che il tempo totale di
percorrenza dell’itinerario coperto fino all’aggancio della cella di Contrada Silvia
Montesalvo sett. 2 è stato di 86′ e 46′, sensibilmente superiore a quello di 75
minuti quantificato dai giudici del rinvio; a fronte di tali dati, sarebbe stato
necessario spiegare per quale ragione il ricorrente avrebbe dovuto mutare
radicalmente la propria condotta di guida nell’itinerario di ritorno -mantenendo
costantemente quelle velocità massime o addirittura superiori alle massime che
gli avrebbero consentito di far rientro a Bronte nel tempo di 57 minuti; la
valutazione effettuata dalla Corte territoriale, secondo cui l’imputato aveva
l’esigenza di allontanarsi rapidamente dal luogo dei fatti di qui la “riduzione dei
tempi”, se può essere plausibile nella fase iniziale della fuga, secondo le regole
di esperienza, non può essere plausibile dopo l’incendio dell’autovettura o
comunque nel prosieguo sussistendo, invece, l’interesse del ricorrente a passare
inosservato; in definitiva se gli elementi di carattere indiziario richiedono di
essere valutati singolarmente per stabilire se presentino i “fondamentali caratteri
della certezza e della precisione” nel caso di specie la “certezza e precisione”
richiamati dalla sentenza impugnata riguardano non un dato indiziario, ma il suo
esatto contrario e cioè la prova dell’impossibilità che il ricorrente abbia potuto far
rientro a Bronte dopo 57 minuti; essendo, pertanto, del tutto deformante ed
inalterata la rappresentazione indiziaria del dato relativo alla compatibilità dei
tempi di percorrenza verso Bronte dopo la commissione dell’omicidio resta
preclusa la possibilità di procedere all’esame globale e comparativo di tale dato,
congiuntamente agli altri elementi indiziari rinvenuti; resta, comunque, irrisolta
la questione, secondo cui se davvero l’imputato si fosse trovato nel centro
urbano di Valguarnera, lo stesso ben avrebbe potuto agganciare la cella di
Piazza Armerina, situata in un territorio confinante al Comune di Valguarnera e
sotto questo profilo; inoltre, il fatto che il ricorrente abbia effettuato il giorno
degli accadimenti un tragitto astrattamente compatibile con quello verso
Valguarnera da Bronte può assumere valenza indiziante, solo in assenza di altri
motivi per i quali il ricorrente avrebbe dovuto recarsi in quell’area; nella specie i
20

perizia Dantona, e riguarda i tempi di percorrenza del ricorrente nel tragitto di

giudici del rinvio non hanno considerato la regolare frequentazione da parte dello
Sciacca di Graziella Cantone e della Fattoria Grado ed, in particolare, hanno
erroneamente ritenuto che quest’ultima fosse ubicata in località Grado (dove era
stata incendiata la Opel Vectra), laddove, invece, si trovava in tutt’altra zona;
a fronte di tale dato la compatibilità dei tabulati telefonici con il percorso
Valguarnera Bronte perde la sua univocità indiziarla, atteso che il ricorrente,
nell’ intraprendere il viaggio da Bronte, avrebbe potuto recarsi, oltre che a
Valguarnera, come ipotizzato al Giudice del rinvio, sia nella Masseria Grado, che

sentimentale; illogica si presenta l’affermazione che sulle “prove d’alibi” non sia
“stata offerta alcuna prospettazione precisa di dati fattuali alternativi alla tesi
d’accusa”, laddove il fatto che il ricorrente non abbia precisato se quel 18 maggio
2003 si era recato alla Masseria Grado, oppure abbia fatto visita a Graziella
Cantone, non può sottrarre valenza probatoria (trasformandolo addirittura in un
elemento in senso sfavorevole) né all’uno, né all’altro dato.
5. In data 21.9.2015 l’avv. Aricò ha prodotto il dispositivo della sentenza
22.5.2015 della Corte di Appello di Catania con la quale Alfio Camuto, in sede di
rinvio dalla Cassazione, è stato assolto dal reato di associazione per delinquere di
stampo mafioso.
6. L’avv. Antille in data 25.9.15 ha depositato per conto dell’imputato motivi
aggiunti di ricorso, riprendendo buona parte delle tematiche oggetto del ricorso
principale, ribadendo che il giudizio di rinvio non ha risolto i nodi significativi del
pregresso, ma ha arricchito con errori, anche di fatto, l’equivocità intrinseca dei
dati esposti in motivazione; all’uopo ha evidenziato, tra l’altro, che la sentenza
impugnata:
– erra in toto sulla “creazione” di un Santino Mazzei” (figlio di Santo secondo
l’assunto), allorchè non esiste, né storicamente, né anagraficamente, né
probatoriamente;
– parla di incontri praticati con il Mazzei (figlio di Santo, ritenuto vertice della
omonima famiglia), ma costui, detenuto ininterrottamente dal novembre 2003 al
2007 non poteva ertamente incontrare alcuno sullo scenario descritto dalla corte,
né effettuare ovviamente, colloqui carcerari con il padre;
– non ha considerato, in relazione alla valorizzazione dello spessore di Cannuto
Alfio, l’annullamento della sentenza di condanna dello stesso, da parte della S.C.
cui è succeduta nel 2015 l’assoluzione nel merito;
– nega l’esistenza del conflitto antagonistico delle famiglie Mazzei-Santapaola
riducendo ad unità tali gruppi, ancorchè siano stati acquisiti agli atti i dati che
sanciscono la effettiva condizione di sanguinoso dissidio in relazione al movente
dell’omicidio;
21

a trovare Graziella Cantone, con la quale all’epoca intratteneva una relazione

-non considera che nella conversazione intercettata non emerge che Mirabile
Alfio conoscesse il Montagno Bozzone.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da entrambi i difensori dell’imputato non merita
accoglimento.
Prima di analizzare le singole censure mosse dall’imputato alla sentenza di
condanna in merito alla consistenza degli indizi a suo carico occorre premettere
che sono state prodotte dal P.G. e acquisite nel giudizio di rinvio le sentenze

a carico di Bevilacqua Raffaele e La Rocca Francesco, quali ideatori ed
organizzatori dell’omicidio e di Montagno Bozzone Francesco, quale partecipe
alla fase esecutiva.
La difesa dell’imputato (avv.to Antille) ha censurato la valorizzazione delle
sentenze in questione non potendo tradursi tali sentenze in prove “legali” a
carico dell’imputato ed essendo stato il Montagno Bozzone giudicato con il rito
abbreviato. Tali censure si presentano completamente destituite di
fondamento, avendo i giudici del rinvio, senza incorrere in vizi, applicato il
protocollo valutativo relativo alle sentenze irrevocabili, acquisite ai sensi
dell’art. 238 bis c.p.p., come disegnato dai principi più volte espressi da questa
Corte e dal chiaro disposto della norma, secondo cui “le sentenze divenute
irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato
e sono valutate a norma degli artt. 187 e 192/3 c.p.p.”.
Sul punto deve osservarsi come la sentenza impugnata abbia fatto corretta
applicazione dei principi, secondo cui le risultanze di un precedente giudicato
penale, acquisite ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., devono essere
valutate alla stregua della regola probatoria di cui all’art. 192, comma terzo,
cod. proc. pen., ovvero come elemento di prova la cui valenza, per legge non
autosufficiente, deve essere corroborata da altri elementi di prova che lo
confermino (Sez. 1, n. 4704 del 08/01/2014). Inoltre, sebbene l’acquisizione
agli atti del procedimento di sentenze divenute irrevocabili non comporti, per il
giudice di detto procedimento, alcun automatismo nel recepimento e
nell’utilizzazione a fini decisori dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei
passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi,
al contrario, ritenere che quel giudice conservi integra l’autonomia e la libertà
delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui
istituzionalmente riservate (Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015 ), tuttavia le
sentenze divenute irrevocabili, acquisite ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc.
pen., costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici
(Sez. 1, n. 11488 del 16/03/2010, Rv. 246778).

22

divenute definitive in relazione al fatto omicidiario oggetto del presente giudizio

Alla stregua di tali principi, la Corte territoriale, come si rileverà innanzi, ha
“valorizzato”, tra gli altri, i dati emergenti dalle sentenze acquisite ex art. 238
bis c.p.p. relativi alle utenze telefoniche in uso agli imputati e specificamente i
contatti avvenuti il giorno dell’omicidio tra il Montagno Bozzone e lo Sciacca,
come emergenti dai tabulati acquisiti, il contenuto della conversazione
ambientale del 25.4.2004 a bordo dell’auto Opel Astra tra Alfio Camuto e
Carmelo Gullotti, la ricostruzione del contesto criminale nel quale è maturato
l’omicidio ed i rapporti tra il Montagno Bozzone e lo Sciacca.

relazione ai motivi di ricorso proposti, con riguardo ad essi è sufficiente dar
conto in prima battuta del fatto che i giudici del rinvio, contrariamente a
quanto dedotto dal ricorrente, hanno correttamente considerato tali
emergenze, non in sé, quali risultanze di quei giudizi oggetto delle sentenze
irrevocabili, ma in relazione alle emergenze specificamente acquisite nel
presente processo, quali elementi di conforto.
2. Va, poi, in linea generale, rilevato che i giudici del rinvio hanno
ottemperato al dictum della sentenza di annullamento, contrariamente a
quanto lamentato dal ricorrente in più punti dei proposti ricorsi, superando i
vizi di motivazione che avevano caratterizzato la sentenza annullata nell’analisi
degli elementi indiziari a carico dell’imputato. In tale analisi, la Corte
territoriale ha fatto, altresì, corretta applicazione dei principi più volte espressi
dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la prova critica o indiretta,
fondata sulla utilizzazione degli indizi è il risultato di un articolato
procedimento valutativo che perviene alla certezza logica, o meno,
dell’esistenza del fatto da provare, attraverso specifici passaggi che, non
limitati all’accertamento del maggiore o minore livello di gravità e di
precisione degli indizi considerati isolatamente, devono estendersi al loro
esame globale e unitario, non pregiudicato dalla portata possibilistica e
non univoca di ciascuno di essi, e attraverso un procedimento
gnoseologico che poggia su
criteri di verosimiglianza,

regole – ponte (regole di esperienza,

leggi scientifiche di valenza universale o

statistica), alla cui stregua è possibile riconoscere che il fatto noto è
legato (o i fatti noti sono legati) al fatto da provare da un alto grado di
credibilità razionale, che rappresenta la base giustificativa della regola
di inferenza su cui poggia il metodo logico della valutazione degli
indizi. Tale metodo non consente una valutazione atomistica e parcellizzata
degli indizi, in un percorso volto a considerare gli elementi acquisiti
isolatamente

e

avulsi

dal

loro

contesto, con pretesa di specifica

autosufficienza ed esaustività probatoria e di certa sussunzione di
23

Fermo restando che la rilevanza di tali dati sarà specificamente analizzata in

condotte umane a variabili razionali, universali o frequentiste, ma richiede
una valutazione nel loro insieme e nella loro possibile confluenza, con
superamento – attraverso un organico ragionamento probatorio,
esaustivo in rapporto a tutto il materiale ritualmente acquisito, plausibile
con riguardo alla logica lettura operatane e non abdicativo della funzione,
cognitiva e valutativa, giudiziaria – di eventuali carenze, limiti intrinseci o
estrinseci ed equivocità. In definitiva, il giudice di merito non può limitarsi
ad una valutazione isolata dei singoli indizi, ma deve procedere anche ad un

possa essere superata (Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013, Rv. 255677), ciò in
applicazione dei principi affermati con la nota sentenza delle Sezioni Unite
n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, secondo cui in tema di valutazione della
prova indiziaria, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero
compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e
non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica, che consiste nel
valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza
qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne
ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne
in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo.
3. La sentenza impugnata, nell’analizzare il contesto nel quale è maturato
l’omicidio del Calcagno, ha evidenziato come la decisione dell’uccisione di
quest’ultimo, residente nel Comune di Valguarnera Caropepe, in provincia di
Enna, fu assunta dal’avv.to Bevilacqua Raffaele (“rappresentante” di Cosa
Nostra per la provincia di Enna), d’intesa con La Rocca Francesco (capo della
“famiglia” di Cosa Nostra di Caltagirone, nonché personaggio autorevole della
provincia mafiosa) e con Mirabile Alfio (“uomo d’onore” della famiglia di Cosa
Nostra di Catania), sulla base di una convergenza di interessi, poiché costui
contestava la leadership del Bevilacqua e “andava a minacciare” le imprese già
taglieggiate, opporsi così alla spartizione dei proventi delle estorsioni,
rivendicando, specificamente, un proprio ruolo nella vicenda estorsiva in danno
della Ira Costruzioni s.p.a. (impresa questa già “protetta”) e nella gestione di
tal genere di attività illecite in quella provincia. Gli esecutori materiali del
delitto venivano individuati in personaggi appartenenti ad un gruppo
delinquenziale operante in Bronte e dintorni (provincia di Catania), diretto da
Montagno Bozzone Francesco; costui non era affiliato a Cosa Nostra, ma nel
periodo in cui maturò l’omicidio (fine 2002/maggio 2003) si poneva in
posizione gregaria nei confronti di Mirabile Alfio, “uomo d’onore” della famiglia
di Cosa Nostra di Catania, allo scopo di essere sostenuto nell’antagonismo con
altro gruppo analogo, diretto da Catania Salvatore ed operante in posizione
24

esame globale degli stessi, al fine di verificare se l’ambiguità di ciascuno di essi

concorrenziale nel medesimo territorio di Bronte; per ingraziarsi l’appoggio del
Mirabile, il Montagno Bozzone, personalmente e con altri suoi accoliti,
organizzò ed eseguì la fase esecutiva dell’omicidio avvenuto il 18 maggio 2003.
Tale ricostruzione, che non risulta essere stata seriamente messa in
discussione dall’imputato, è stata resa possibile, secondo i giudici d’appello,
anche grazie alle dichiarazioni rese nel giudizio di rinvio da Mirabile Giuseppe,
divenuto collaboratore alla fine del 2012, che, nel riferire di vicende e i fatti del
clan Santapaola, ha indicato le ragioni di “contrasto” del Bevilacqua e del La

dettagli, quali l’indicazione di alcuni tra i plurimi incontri nei quali man mano
venne assunta la decisione di uccidere il Calcagno, ai quali egli stesso partecipò
(prima di essere arrestato), unitamente allo zio Alfio Mirabile ed ai mandanti,
l’avv. Bevilacqua e La Rocca Francesco.
La sentenza impugnata ha, altresì, messo in risalto come il collaborante abbia
dichiarato che nel periodo in cui è stato deliberato ed eseguito l’omicidio,
Montagno Bozzone Francesco era vicino al clan Santapaola, come peraltro
riferitogli dallo stesso Montagno Bozzone. Tali dichiarazioni hanno trovato
conferme nelle conversazioni oggetto di captazione ambientale, quale quella
dell’ 1.11.2002 o quelle del 28 e 29 agosto del 2002, oltre che specifiche ed
indiscutibili conferme in quanto accertato nelle sentenze divenute definitive a
carico di Montagno Bozzone Francesco, Bevilacqua Raffaele e La Rocca
Francesco per lo stesso fatto omicidiario.
Tra gli accoliti di Montagno Bozzone, secondo le emergenze investigative
del presente processo, vi era appunto lo Sciacca, dato questo emergente
indubbiamente anche nella sentenza definitiva a carico del Montagno Bozzone,
nella quale si dà atto della collaborazione operativa tra quest’ultimo e
l’imputato (come da sentenza del GUP Catania 9.5.2005), frutto della comune
militanza nella stessa consorteria. Lo Sciacca, secondo il narrato di Mirabile
Giuseppe, era uomo di fiducia del Montagno Bozzone ed era stato il killer che
aveva eliminato il Calcagno, secondo quanto riferitogli dallo stesso Montagno
Bozzone nel periodo di comune detenzione nel 2004 nel carcere di Bicocca. Il
movente da addebitare all’odierno imputato, dunque, non va affatto confuso né
con la vicenda estorsiva ai danni della IRA Costruzioni s.r.l. né con le
concertazioni intervenute fra Beviilacqua, La Rocca e Mirabile, essendo palese
che l’unico movente in capo a Sciacca Vincenzo era quello di obbedire agli

ordini del suo capo Montagno Bozzone.
4. Tanto premesso e passando all’analisi dei singoli elementi indiziari nei
confronti dello Sciacca, si osserva che non merita censure la sentenza
impugnata, che, pur non ritenendo in sé l’elemento targhe esaustivo al fine di

25

Rocca con il Calcagno, con specifico riguardo alla vicenda IRA, riferendo

sostenere il carico della tesi d’accusa, ha attribuito a tale elemento indubbia
valenza indiziaria, idoneo ad essere inserito nella sequenza probatoria a carico
dell’imputato in merito alla sua partecipazione all’omicidio di Calcagno
Domenico. Tali targhe – rinvenute a terra nelle parte anteriore e posteriore
dell’auto Opel Vectra, di provenienza furtiva, utilizzata dal commando omicida
per la fuga e data alle fiamme- non erano di pertinenza dell’auto in questione,
ma risultavano appartenere ad una Fiat Punto presa a noleggio (il 4.03.2003)
dallo stesso Sciacca e poco dopo (1’11.03.2003) denunciata rubata.

tale “indizio”, apparendo illogico che il ricorrente abbia consentito il
rinvenimento sul luogo del delitto di un elemento così rilevante a suo carico,
costituito dalle targhe di un’auto da lui presa a noleggio qualche mese prima e
denunciata rubata, laddove si presentava più ragionevole la ricostruzione,
secondo la quale le targhe sarebbero state rinvenute dai vigili del fuoco, non
applicate con le viti all’auto, ma lasciate cadere ivi, nei pressi dell’auto
semidistrutta.
A fronte delle perplessità sollevate con la sentenza di annullamento, la Corte
territoriale ha riesaminato la portata di tale indizio, alla luce della riapertura
dell’istruttoria dibattimentale espletata, giungendo alla conclusione, immune da
vizi, secondo cui l’apposizione delle predette targhe all’auto dei killers era stato
frutto di un errore, o meglio di una “sbadataggine”.
4.1. Nel riesaminare l’indizio in questione la Corte territoriale ha,
innanzitutto, evidenziato che all’udienza del 15.11.2012 venivano escussi i
vigili del fuoco, Bellomo Luigi e Cammarata Salvatore, in servizio presso il
Comando Prov.le dei VV.FF. di Enna, componenti della pattuglia avvisata “di un
incendio” nei campi nei pressi dell’autostrada Catania-Palermo, in zona
adiacente allo svincolo Raddusa/Agira; i testi evidenziavano che la pattuglia,
giunta sul posto, appurava che si trattava dell’incendio dell’autovettura Opel
Vectra, che si presentava quasi completamente distrutta dalle fiamme ed era
esattamente collocata sotto un ponte della SP 21, che dallo svincolo
autostradale porta verso Agira; le targhe si trovavano a terra in corrispondenza
della loro posizione naturale (anteriore/posteriore) ed una di esse era
praticamente distrutta, mentre dell’altra, anche se deformata, consentiva la
lettura della sequenza alfanumerica. Il teste Bellomo, in particolare, sebbene
non avesse indicato esattamente il tipo di fissaggio in origine delle targhe,
ricordava, tuttavia, che entrambi i paraurti della vettura (l’anteriore ed il
posteriore) erano in materia plastica; il teste Cammarata Salvatore, nel
confermare le circostanze riferite dal Bellomo evidenziava che, in base alla

26

Questa Corte, con la sentenza di annullamento, aveva ritenuto inconsistente

distanza e all’andatura consentita dai mezzi pesanti, la pattuglia giunse sul
luogo dell’incendio circa 20/25 minuti dopo la partenza dalla centrale di Enna.
La Corte territoriale ha evidenziato, altresì, che il collaborante Mirabile
Giuseppe, escusso all’udienza del 15.11.2012, riferiva di aver avuto modo di
conoscere delle vicende relative all’omicidio del Calcagno, non solo nella prima
fase deliberativa- per aver partecipato agli incontri con lo zio, Bevilacqua
Raffaele e La Rocca Francesco- ma anche, come già evidenziato,
successivamente durante il periodo di comune detenzione con i mandati

trovava in carcere avendo appreso di esso da lì. Nell’ambito di uno di tali
colloqui, La Rocca Francesco ebbe a dolersi di come lo Sciacca avesse messo
le targhe di una macchina affittata, e, comunque, non conoscendo bene le
dinamiche, si lamentava dello Sciacca con Filippo La Rocca, di come le cose
fossero andate male e segnatamente del fatto che non era normale che un
“uomo andasse a fare un omicidio e cambiasse la macchina rubata mettendo
una targa che poi andava a risultare intestata a sé”; dunque in quel parlare si
ravvisava più che una critica nei confronti dello Sciacca, il commentare lo
stesso omicidio.
4.2. Tali emergenze ed alcune considerazioni logiche hanno portato la Corte
territoriale ad escludere il “depistaggio”- ventilato dalla difesa dell’imputato e
considerato nella sentenza di annullamento- attuato mediante l’abbandono di
targhe “riconducibili” allo Sciacca in prossimità della Opel al fine di
“incastrarlo”.
4.2.1. Ed invero, i giudici del rinvio hanno evidenziato in primo luogo come
dovesse ritenersi che le targhe (della Punto) fossero fissate alla Opel Vectra, in
base alla posizione e alle condizioni in cui furono ritrovate dai Vigili del Fuoco;
infatti, esse risultavano essere state entrambe attaccate dal fuoco e mentre
una di esse si presentava integralmente bruciata, l’altra era ancora in qualche
modo leggibile; la circostanza, poi, che entrambi i paraurti (anteriore e
posteriore) sui quali erano apposte le targhe fossero di materiale plastico, così
come i supporti delle targhe, consentiva di ritenere che, in virtù della
liquefazione di essi, le targhe erano cadute a terra in corrispondenza della loro
originaria ubicazione, ossia nelle parti anteriore e posteriore dell’auto.
Completavano tale quadro di fatto le considerazioni di carattere logico secondo
cui la Opel, non avrebbe potuto circolare prima dell’omicidio nel centro abitato

di Valguarnera, priva di targhe, in quanto avrebbe destato ovvi sospetti nelle
Forze dell’Ordine; anche a voler ipotizzare che le targhe in questione non erano
fissate alla Opel durante la sequenza omicidiaria, ma erano, invece, quelle
originarie della vettura, se ne doveva dedurre che gli autori del delitto, una
27

dell’omicidio e con il Bozzone, atteso che al momento dell’omicidio egli si

volta raggiunta la postazione in cui era stato appiccato l’incendio, invece di
allontanarsi rapidamente avevano dapprima perso del tempo prezioso per
sostituire le targhe con quelle della Fiat Punto, anche solo per rimuoverle per
poi simulare separatamente la distruzione col fuoco delle targhe della Punto,
lasciando abilmente e “maliziosamente” indenne dal fuoco solo una parte di
una targa, in modo da consentire il collegamento dì essa allo Sciacca e, quindi,
indirizzare i sospetti sullo stesso.
Ancora, si presenta del tutto logica la considerazione secondo cui,

l’ipotetico autore dell’omicidio (persona totalmente diversa da Sciacca e dal suo
ambiente d’appartenenza) ha avuto modo di allontanare da sé il pericolo di
ogni sospetto, al tempo stesso indirizzandolo sull’imputato, perché trovatosi
fortuitamente in possesso delle targhe dell’autovettura noleggiata e, poi,
denunciata come rubata da Sciacca.
4.2.2. A ciò si aggiunga che l’omicidio del Calcagno, sulla base del tenore delle
sentenze divenute definitive, acquisite e valutate ai sensi dell’art. 238 bis
c.p.p., risulta essere maturato nell’ambito del convergente

“interesse del

gruppo Bevi/acqua e del gruppo dei La Rocca e Mirabile ad eliminare il
Calcagno che pretendeva di rientrare nel settore delle estorsioni, dal quale era
stato escluso; dall’incontro avvenuto il 5.12.2002, tra Bevi/acqua Raffaele, La
Rocca Filippo, Mirabile Alfio, e La Rocca Francesco, in località Consorto, nei
pressi di San Michele di Ganzaria, nel corso della quale si doveva discutere,
come preannunciato da altre pregresse intercettazioni, tra l’altro, dei nuovi
appetiti del Calcagno su altre opere in corso di realizzazione e della sorte del
medesimo che ostacolava le operazioni di riscossione dei proventi delle
estorsioni; c) dalla disponibilità manifestata dagli alleati catanesi a venire
incontro alle esigenze rappresentate dal Bevilacqua relative alle ingerenze del
Calcagno; d) dall’inserimento di Monta gno Bozzone Francesco
nell’organizzazione mafiosa, con funzioni di promotore, operante nei Comuni di
Cesarò, S. Teodoro, Mania ce, e Bronte; e) dalla pregressa collaborazione
operativa tra Monta gno Bozzone e Sciacca Vincenzo; f) dalla individuazione del
sicario nella persona di Sciacca Vincenzo e dagli accertati rapporti tra
l’imputato e lo Sciacca, frutto della comune militanza nella stessa consorteria”
(cfr. Sez. H n. 21 del 15.12.2010 nei confronti di Montagno Bozzone
Francesco).
In un contesto siffatto (accertato in base alle sentenze divenute definitive) nel
quale lo Sciacca partecipò al delitto a supporto della condotta del proprio capo
Montagno Bozzone Francesco, organizzatore/esecutore dell’omicidio,
correttamente i giudici del rinvio hanno ritenuto illogico prospettare che gli

28

nell’ipotizzare un “depistaggio” dovrebbe anche considerarsi il fatto che

autori del delitto – in essi compreso il Montagno Bozzone – abbiano potuto
porre in essere degli stratagemmi per indirizzare i sospetti su Sciacca, cioè su
un soggetto identificato il quale, quand’anche estraneo all’esecuzione
dell’omicidio Calcagno, avrebbe comunque convogliato pesanti indizi verso la
cosca mafiosa di Bronte diretta dal medesimo Montagno; costui, tra l’altro,
avrebbe in tal modo tradito uno dei suoi più fidati collaboratori con una
condotta incomprensibile, perché attirare i sospetti delle Forze dell’Ordine su
Sciacca equivaleva ad indirizzarli anche verso sé stesso.

la valutazione dei giudici di merito, che hanno senz’altro escluso l’ipotesi del
“depistaggio” per la sua sostanziale non plausibilità.
Le doglianze sviluppate dalle difese dell’imputato, in proposito,
presentano, infatti,

non si

idonee a scalfire le valutazioni della Corte territoriale

innanzi riportate.
4.2.4. Ed invero, quanto alla circostanza secondo cui le targhe sarebbero state
rinvenute come invertite rispetto al loro ordinario posizionamento, ebbene la
Corte territoriale – dopo aver riportato nel corpo della sentenza la
testimonianza resa sul punto dal teste Bellomo ed aver evidenziato che
all’epoca le targhe erano di formato europeo (ossia quella anteriore e quella
posteriore erano entrambe di forma rettangolare)- ha evidenziato come non
esista alcun elemento di prova circa il montaggio delle targhe posticce alla Opel
Vectra in posizione invertita, precisando che il teste Bellomo, nel corso della
sua deposizione, ha avuto semplicemente un errato ricordo per il notevole
tempo trascorso, invertendo le indicazioni circa lo stato di conservazione dopo
l’incendio di una targa rispetto all’altra. Tale valutazione, non è stata peraltro
neppure specificamente contestata in questa sede, limitandosi la difesa
dell’imputato, senza confrontarsi specificamente con le argomentazioni della
Corte, a riproporre la tesi dell’inversione delle targhe, senza indicare elementi
specifici, al di là di generiche deduzioni, dai quali fosse evincibile ciò.
4.2.5.Per quanto concerne le modalità di fissaggio delle targhe in relazione alle
quali la difesa censura il mancato accoglimento da parte della Corte territoriale
della richiesta di accertamento, neppure merita censura sul punto la sentenza
impugnata. Nella sostanza, infatti, la Corte territoriale ha condivisibilmente
evidenziato come fosse irrilevante stabilire tale modalità di fissaggio -con
rivetti in ferro, ovvero con supporti in plastica- considerato che le alte
temperature sviluppatesi con l’incendio, tali da determinare, tra l’altro, la
liquefazione di tutte le parti in plastica, quindi anche dei supporti delle targhe,
autorizzavano a ritenere che in dipendenza di tale situazione le targhe erano
cadute al suolo.

29

4.2.3. In base alle riportate decisive considerazioni appare, dunque, coerente

4.2.6.In merito, poi, alla circostanza messa in risalto dalla difesa, secondo cui
le indagini del RIS (cfr. perizia dibattimentale di 1° grado cd. “Ginestra”, dal
cognome dell’operatore del RIS suo redattore) hanno escluso qualsiasi traccia
genetica o dattiloscopica dello Sciacca sul luogo ove venne data alle fiamme la
Opel Vectra, la Corte territoriale, contrariamente a quanto ritenuto dal
ricorrente ha, invece, specificamente considerato tale emergenza e con
valutazione congrua ha ritenuto di fatto irrilevante tale dato, sulla base di
plurime considerazioni. In primo luogo, ha evidenziato, senza illogicità, come

pretendersi di trovare tracce di tutti i partecipi all’azione criminosa e,
comunque, non si comprende per quale motivo lo Sciacca avrebbe dovuto
lasciare tracce biologiche di sé nel luogo ove l’Opel Vectra venne incendiata. In
ogni caso, appaiono decisive le considerazioni che l’auto Vectra all’atto del
invenimento era già totalmente distrutta e, comunque, come evidenziato dal
perito Ginestra, i reperti rinvenuti (4 cicche di sigarette rinvenute dopo lo
spegnimento dell’incendio posizionate nel bagagliaio posteriore
dell’autovettura, in corrispondenza della ruota di scorta ed un guanto di
lattice bianco, integro, ma con residui carboniosi) non essendo interessati da
segni di bruciatura erano di origine successiva all’incendio, non riconducibili
cioè a chi lo aveva appiccato. In base a tali elementi, pertanto, la Corte
territoriale ha concluso nel senso di ritenere logico che solo dopo il completo
spegnimento dell’incendio stesso ed il raffreddamento delle lamiere, le cicche
di sigarette erano state gettate all’interno del vano bagagliaio della vettura
ormai distrutta, rimanendo integre – a parte le muffe – senza presentare segni
di bruciatura; pertanto, erano state fatte analizzare al perito al fine di
verificare la presenza del DNA dello Sciacca cicche di sigarette fumate dai vigili
del fuoco quando, finito l’incendio, stavano ancora aspettando sul posto l’arrivo
dei Carabinieri, che poi le hanno repertate; analoga sorte era stata quella del
guanto in lattice di gomma, indossato da qualcuno dei vigili per toccare parti
della vettura, dopo lo spegnimento totale dell’incendio, sicchè era pienamente
prevedibile che l’esito delle comparazione del DNA tra i reperti e Sciacca
Vincenzo avrebbe dato esito negativo.
4.2.7. In merito, poi, al mancato riconoscimento dell’imputato in dibattimento
da parte dell’unico teste oculare Scibona Roberto, la Corte territoriale anche a
tal proposito ha fornito una spiegazione del tutto plausibile non censurabile in
questa sede di legittimità. Ed invero, l’agguato mortale colpì il Calcagno
mentre stava effettuando una manovra con la sua auto sotto la palazzina nella
quale abitava e dalle misurazioni dopo i fatti il punto d’impatto dell’auto risulta
distare 17 metri dall’angolo di posizionamento del terrazzino al terzo piano da

30

sulla scena – non del delitto, ma- di un’operazione connessa, non può

cui si affacciò il teste Scibona, nipote della vittima; costui, poco dopo le ore
20.00 udì quattro colpi d’arma da fuoco che l’indussero ad affacciarsi
all’esterno e vide, nell’occasione, accanto alla vettura dello zio, dal lato
passeggero, un individuo, in possesso di un fucile a canna mozzata, che ne
osservava l’interno per poi allontanarsi velocemente verso un’autovettura di
colore verde scuro, con due persone a bordo, frattanto sopraggiunta nei suoi
pressi; l’individuo lanciò il fucile all’interno e, quindi, salì a bordo;
l’autovettura, quindi, svoltò a sinistra, allontanandosi velocemente verso

giorni successivi al delitto mostrate la carcassa dell’autovettura incendiata ed
una vettura Opel Vectra perfettamente funzionante ed il giovane,
comprensibilmente insicuro dinanzi alla carcassa, riconobbe, invece, con
sicurezza nella Opel mostratagli l’autovettura a bordo della quale si erano
allontanati i killers.
In merito al fatto che lo Scibona non abbia specificamente riconosciuto
l’imputato in dibattimento, i giudici d’appello hanno innanzitutto rilevato la
sostanziale differenza che intercorre tra il riconoscimento di una persona già
conosciuta da parte del testimone (un parente, un conoscente, un vicino di
casa, etc.) ed il riconoscimento della persona osservata unicamente nel
momento del crimine, sicchè tale mancato riconoscimento si presenta del tutto
plausibile, in considerazione del tempo e della distanza dell’avvistamento: il
testimone vide l’individuo dall’alto di un terzo piano, cioè da una posizione
difficile per riconoscere una persona già da prima conosciuta, e del tutto
inidonea per consentire il riconoscimento di una persona all’interno dell’aula
d’udienza, osservata sul medesimo piano e vista di fronte.
4.2.8. Del tutto generica si presenta, poi, la deduzione difensiva, secondo la
quale il “depistaggio” e la manipolazione della prova nei confronti del ricorrente
troverebbe negli atti del processo molte possibili causali, tra cui il carattere
dell’imputato, gli assetti fortemente variabili, e le frequentissime inimicizie,
nelle alleanze del catanese, oltre che le “relazioni pericolose” del ricorrente ad
esempio con la moglie di un detenuto, ciò che costituiva, peraltro, la ragione
della sua frequentazione dell’ennese ed altro, alla luce, peraltro, della
implausibilità proprio dell’ipotesi del depistaggio.
4.3. Esclusa, dunque, l’ipotesi del “depistaggio”, non essendo emerso uno
specifico interesse dei mandanti e partecipi all’omicidio ad indirizzare i sospetti
sull’imputato, risulta, invece, essere del tutto plausibile la tesi sposata dalla
Corte territoriale circa la “sbadataggine” nell’apposizione di quelle targhe direttamente riconducibili allo Sciacca- all’auto Opel Vectra utilizzata dal

31

l’uscita del paese; allo Scibona, all’epoca minorenne (anni 17), vennero nei

commando omicida, cui ha fatto riferimento il collaborante Mirabile Giuseppe,
de relato da La Rocca Francesco, mandante dell’omicidio.
Le doglianza della difesa dell’imputato avverso il passaggio della sentenza
impugnata – secondo cui

“i gruppi criminali sovente si dotano di vari mezzi (…)

di provenienza furtiva (…) da tenere in riserva per utilizzarle quando se ne
presenta l’occasione”, dato questo che risulterebbe smentito dal fatto che nel
caso di specie non trattasi di targhe di provenienza furtiva, bensì riconducibili ad
una simulazione di reato- non appare idonea a smentire il dato generale di

mezzi (ivi comprese le targhe) di provenienza illecita per ritardare le indagini
tenuti in riserva proprio in vista di future azioni delittuose. Il dato, poi, secondo
cui sarebbe illogico ritenere che lo Sciacca abbia conservato tali targhe, invece,
di disfarsene immediatamente costituisce una valutazione in fatto inammissibile
in questa sede, che comunque non si collega alla premessa della conservazione
di mezzi di provenienza illecita da parte delle compagini criminali.
Quanto, invece, all’ipotizzato inquinamento conoscitivo del narrato del
collaborante, posto che della circostanza del rinvenimento delle targhe già
appartenute ad una autovettura noleggiata dallo Sciacca era a conoscenza-prima
e a prescindere dalle pretese informazioni apprese de relato da Francesco La
Rocca- essendo stata riportata nelle due sentenze di merito emesse nei confronti
dell’imputato (oltre che ampiamente nota ai soggetti che a vario titolo erano
interessati a conoscere la dinamica del delitto Calcagno), si osserva che tale
doglianza si presenta del tutto generica, siccome sviluppata in termini ipotetici
non ancorata ad elementi precisi di conforto.
5. Non merita censura neppure la valutazione della Corte territoriale, secondo
cui integra un ulteriore elemento indiziario quello relativo alle risultanze delle
“celle di aggancio”, elemento questo che correttamente non è stato ritenuto in sé
idoneo ad attestare con certezza la presenza dell’imputato nel momento e nel
punto esatto in cui il Calcagno è stato assassinato, ma che, in relazione agli altri
elementi acquisiti, contribuisce significativamente alla lettura del complessivo
quadro indiziario a carico dell’imputato.
La sentenza di annullamento aveva censurato quella di appello in punto di
valutazione dell’elemento in questione, atteso che a fronte dell’innegabile
opinabilità di esso, si ponevano le divergenti conclusioni circa la valenza dei dati
acquisiti dell’isp. Fontanazza e del consulente del P.M. Trevisol e del consulente
della difesa Magrì, sicchè l’incertezza del predetto elemento indiziario rendeva
inadeguata la motivazione, con la quale era stata respinta la richiesta di
espletamento di una nuova perizia, volta a superare lacune ed incongruenze.

32

comune esperienza per il quale nelle azioni delittuose vengono spesso utilizzati

La Corte territoriale, nel giudizio di rinvio, ha disposto la nuova perizia all’esito
della quale, nel condividere le conclusioni del perito, ha dato conto del
superamento dei punti critici segnalati dalla sentenza di annullamento e connessi
alla natura dei rilevamenti sulle celle d’aggancio- che, a differenza di quanto
avviene con i rilevatori GPS, non possono dare certezza circa l’esatta posizione
del soggetto possessore del cellulare, ma solo la compatibilità con una zona,
tenendo conto anche della “compatibilità dinamica”, in base alla quale dai dati
dei tabulati telefonici è possibile ricavare lo spostamento del cellulare e del suo

territorio delle celle di agganci.
5.1.

I giudici d’appello hanno premesso che costituisce dato certo, non

smentito da emergenze di segno contrario, quello secondo cui l’utenza cellulare
n. 3403528608 era all’epoca dei fatti in possesso dell’imputato e che nel 2003
non vi era una BTS dedicata specificamente al territorio di Valguarnera (cioè la
BTS c.da Calvario), sicchè era importante verificare quale BTS coprisse il
territorio del Comune di Valguarnera Caropepe, tenendo conto dell’itinerario più
breve da Bronte a Valguarnera.
Tale itinerario comprende parte del tracciato autostradale della A19 CataniaPalermo, con analisi specifica del tratto autostradale fra gli svincoli di
Catenanuova e Mulinello sino a raggiungere Valguarnera; lungo tale percorso
all’epoca del delitto (2003) e nel tratto di rilievo erano posizionati dalla Vodafone
(gestore del cellulare dello Sciacca), quattro ponti radio -AGIRA settori 1 e 3
(ponte contrassegnato con la lett. A); AGIRA settore 2 (ponte contrassegnato
con la lett.B); ASSORO settore 1 (ponte contrassegnato con la lett. C); ENNA
settore 2 contrada detta Silvia o Montesalvo (ponte contrassegnato con la lett.
D)- che erano stati agganciati tutti progressivamente dal cellulare dello Sciacca
il 18.5.2003, tra le ore 18.25.24 e le ore 19.11.07; gli agganci alla cella di Enna
sett. 2 erano stati due consecutivi, a seguito dei quali l’apparecchio era rimasto
silente sino alle ore 20.23.00, quando, agganciava di nuovo il ponte di Assoro
sett. 1 e, quindi, progressivamente i predetti ponti radio in senso inverso, sino
ad agganciare il ponte di Bronte c. da Poggio Monello alle ore 21.07.44.
5.2. Tanto premesso, la Corte territoriale ha considerato che la sentenza di
annullamento aveva censurato la motivazione della sentenza di appello nella
parte in cui aveva affermato che il sito di Assoro settore 1 poteva superare lo
svincolo di Mulinello se associato al sito di Enna contrada Montesalvo settore 2,
essendo tale dato solo ipotetico e non provato, laddove all’esito della disposta
perizia, affidata all’isp. D’Antona, della Polizia Postale è emerso che non occorre
associare alcun sito ad un altro. In particolare, è emerso dagli accertamenti
svolti dal perito che il territorio del Comune di Valguarnera era coperto da più
33

possessore lungo un certo itinerario, identificabile secondo il posizionamento sul

celle Vodafone tra quelle documentate dai tabulati acquisiti, e, precisamente, il
centro abitato del paese era ugualmente raggiunto dai ponti di Assoro settore 1,
e di Enna settore 2, posto su una delle sommità (c.da Montesalvo) che
caratterizzano il capoluogo di provincia più alto d’Italia (posto tra i 931 ed i 992
metri s.l.m.); Valguarnera ha un’altezza di metri 590 s.l.m. e, quindi, risulta
facilmente visibile da un segnale radio inviato da un’altezza di molto superiore
(rilievo, questo in verità, già presente nei pareri dei consulenti esaminati in 10
grado); le zone periferiche del territorio comunale di Valguarnera verso Nord,

Agira settore 3, adiacente allo svincolo autostradale di Catenanuova; in ogni
caso, un cellulare che si spostava dallo svincolo di Mulinello verso Valguarnera
poteva agganciare, secondo l’intensità del segnale di un dato momento, sia il
ponte di Enna settore 2, sia quello di Assoro settore 1 e ciò, senza alcuna
necessità d’ipotizzare l’associazione di un sito rispetto all’altro, cioè una sorta di
sussidiarietà tecnica intervenuta per sopperire al sovraccarico di uno dei due
ponti radio od alla debolezza di segnale in qualche punto del territorio ed in
particolare la BTS di Enna, c.da Montesalvo settore 2 era idonea da sola a
raggiungere il territorio urbano di Valguarnera Caropepe.
Dall’esame del perito D’Antona, così come del consulente della difesa è emerso
che i tabulati in atti, in funzione del periodo storico cui fanno riferimento e degli
standard tecnici dell’epoca, hanno registrato i dati di rilevanza commerciale nel
contesto del sistema informatico adottato dal gestore Vodafone, ossia il traffico
tassabile secondo tariffa e non quello esente da costi (ad esempio, chiamata
senza risposta). Sulla base del traffico tassabile, dunque, è emerso che nello
spazio temporale abbracciante l’ora del delitto (poco più delle ore 20) lo Sciacca
ricevette prima del delitto alle ore 19.09.12 una telefonata durata 13 secondi,
ed alle ore 19.11.07 effettuò una telefonata durata 30 secondi, trovandosi in una
zona tale da essere agganciato dal ponte radio di Enna settore 2;
successivamente al delitto, alle ore 20.23.00, ricevette un messaggio SMS
mentre si trovava in zona tale da essere agganciato dalla BTS di Assoro, settore
1, stessa BTS dalla quale aveva ricevuto prima del delitto una telefonata; inoltre,
lo Sciacca ricevette una telefonata alle ore 20.31.34 per 37 secondi, con
impegno della BTS di Agira, c.da Buzzoni, ed a sua volta effettuò una telefonata
alle ore 20.43.33 agganciata dalla medesima BTS di c.da Buzzoni, posta nelle
vicinanze dello svincolo autostradale di Catenanuova; di poi, alle 21.17.07, il
cellulare dello Sciacca impegnava la BTS di Bronte Poggio Monello e quello stesso
giorno, poi, in un periodo precedente la consumazione dell’omicidio, il cellulare
dello Sciacca aveva dapprima impegnato la BTS di Agira c.da Buzzoni tre volte
(ore 18.25.24, 18.27.39, 18.28.50), poi per due volte la BTS di Agira Cozzo S.

34

Nord-Est erano raggiungibili anche dal ponte di Agira settore 2 e da quello di

Chiara sett.2 (ore 18.43.35, 18.46.30), localizzata nei pressi della località Grado,
corrispondente alla zona ove la Opel Vectra venne data alle fiamme.
In base a tali risultanze, dunque, la Corte territoriale in conformità con quanto
rilevato dal perito, ha ritenuto che l’andamento dinamico degli agganci è
dimostrativo del fatto che il cellulare dello Sciacca si è spostato lungo l’asse
dell’autostrada Catania-Palermo, in detto senso prima dell’omicidio ed in senso
inverso dopo la consumazione del delitto, ciò ricavandosi dalle celle agganciate a
seguito di traffico tassabile, fattore questo sottovalutato dai difensori

pari di un rilevatore GPS, dimostrazione dell’esatta posizione del cellulare e
quindi del suo fruitore.
5.3. A fronte della doglianza del ricorrente – secondo la quale le emergenze
acquisite non darebbero in alcun modo conto del fatto che il richiamato
spostamento dello Sciacca comprenderebbe con certezza il superamento dello
svincolo di Mulinello per poi raggiungere Valguarnera – la Corte territoriale ha
ribadito, facendo proprie le valutazioni del perito, che gli accertamenti delle celle
d’aggancio danno conto solo della compatibilità della presenza del cellulare in
una determinata zona, non anche della certezza della presenza di esso in un
punto preciso.
La compatibilità della presenza dell’imputato nel territorio del Comune di
Valguarnera, in base alle emergenze del traffico telefonico, è ricavabile dal fatto
che, partendo dall’aggancio delle ore 19.02.57 alla BTS di Assoro sett. 1, senza
ipotizzare la sussidiarietà della BTS di Enna, dallo svincolo di Mulinello al centro
abitato di Valguarnera (ove è avvenuto il delitto), attraverso la SP 7a, la SS 192
e la SP 4, vi sono 14,3 km. percorribili in circa 10 minuti (come da perizia sui
tempi di percorrenza) ed il primo aggancio alla BTS di Enna delle ore 19.09.12
ben può essere avvenuto lungo la SP 4 in direzione Valguarnera, cioè dopo sei
minuti e quindici secondi dal precedente aggancio alla BTS di Assoro; dunque
secondo un semplice calcolo di proporzionalità, il tempo predetto (6′ e 15″) era
sufficiente a percorrere circa 8,5 km, dallo svincolo di Mulinello e quindi trovarsi
lungo la SP 4 già oltre l’innesto di essa sulla SS 192; dal secondo aggancio alla
BTS di Enna – alle ore 19.11.07 – il cellulare dello Sciacca non fu impegnato da
traffico commerciale per oltre 70 minuti, cioè fino alle ore 20.23.00, intervallo
temporale questo in cui si colloca l’ora dell’omicidio (la telefonata dì allarme ai
carabinieri fu effettuata alle ore 20.10).
5.4. Le doglianze svolte dall’imputato avverso tali conclusioni non appaiono in
grado di inficiare il percorso logico valutativo dei giudici del rinvio. Ed invero, la
deduzione, secondo la quale la sentenza impugnata non avrebbe superato gli
aspetti problematici segnalati dalla sentenza di annullamento in tema di celle di

35

dell’imputato che hanno considerato che la lettura dei tabulati dovesse dare, al

i

aggancio, tra cui quello della opinabilità del dato proveniente dalle celle stesse
-. ed il superamento da parte dell’imputato dello svincolo di Mulinello, essendosi la
Corte territoriale riferita ad una “compatibilità ad ampio raggio”, è infondata.
Il risultato ottenibile dalla disposta perizia sulle celle di aggancio non poteva
essere, stante la natura degli accertamenti tramite “celle”, quello della
rilevazione dello Sciacca in un punto preciso, (ottenibile invece dai rilevatori
GPS), tenuto conto della ubicazione delle BTS e della copertura da parte delle
stesse di (ampie) aree geografiche e non di punti specifici, bensì solo quella della

radio agganciata, “compatibile” con il tempo ed il luogo in cui è avvenuto
l’omicidio. Il dato emerso dalla perizia circa la compatibilità della presenza
dell’imputato nell’area geografica” di Valguarnera nel momento dell’omicidio
non appare, poi, depotenziato per il sol fatto che la cella di Enna, c.da
Montesalvo settore 2 agganciata dal cellulare dell’imputato abbracciante anche il
territorio di Valguarnera sia di ampia estensione (indicata dalla difesa in circa 24
km.). Tale dato, infatti, non va letto in maniera statica, ma in maniera dinamica
ponendolo in relazione agli spostamenti effettuati dall’imputato nel tempo
antecedente, concomitante e successivo all’omicidio. All’uopo, infatti, sulla base
dei risultati della perizia, circa le celle agganciate nel percorso in andata (da
Bronte a Valguarnera), in simmetria con quelle nel percorso inverso (da
Valguarnera a Bronte, fatta salva la precisazione del traffico a pagamento), posti
in relazione ai tempi e luoghi dell’omicidio dà conto della piena compatibilità dei
percorsi effettuati.
5.4.1. In proposito la Corte territoriale ha richiamato i principi della
giurisprudenza di legittimità, secondo i quali si può definire l’elemento indiziario
o “compatibile” quello che da solo non può reggere l’intero carico d’accusa né
risultare dimostrativo di un ben preciso segmento della vicenda fattuale da
ricostruire in giudizio; tuttavia ha condivisibilnnente nel contempo evidenziato
che l’elemento “compatibile” non può mai assumere il significato di prova in
negativo: in altre parole, se un fatto è assistito da plurimi elementi indiziari,
l’eventuale aggiunta di “elementi compatibili” non sottrae valenza agli altri
elementi, anzi ne può aggiungere in misura proporzionata alla portata con cui
l’elemento compatibile si colloca nel rimanente contesto indiziario/probatorio.
Peraltro, i dati in questione sono stati correttamente posti in relazione dalla
Corte territoriale alla sentenza di condanna divenuta definitiva nei confronti del
Montagno Bozzone, dalla quale emergono la riscontrata presenza, nella zona di
Valguarnera la sera del 18.5.2003, delle utenze cellulari in uso al Montagno
Bozzone ed a Buontempo Calogero ed “i contestuali collegamenti telefonici con
Sciacca Vincenzo”, anch’egli nella stessa zona, elementi questi di pregnante

36

presenza del cellulare dell’imputato in una certa zona, corrispondente alla cella

valenza confermativa del quadro indiziario a carico dell’imputato. Montagno
Bozzone Francesco, infatti, secondo l’ipotesi d’accusa controllava in prossimità
della zona in cui è avvenuto l’omicidio le operazioni del commando preposto
all’esecuzione vera e propria e nella sentenza del GUP di Caltanissetta di
condanna in primo grado del predetto Montagno era stato rilevato, tra l’altro,
come l’utenza dello Sciacca si era mossa da Bronte verso Valguarnera anche nei
giorni precedenti il delitto.
5.5. In merito, poi, al mancato specifico accertamento del superamento da

precondizione della sua localizzazione nel territorio urbano di Valguarnera, il dato
della “compatibilità” connesso alle BTS, determina che anche con riguardo al
superamento di tale svincolo, coperto dalla cella di Enna sett. 2, la Corte non
poteva che esprimersi in termini di compatibilità, ma non di certezza. Peraltro,
come messo in risalto senza illogicità dalla Corte territoriale, nonostante la
sentenza di annullamento abbia fatto riferimento al passaggio dallo svincolo di
Mulinello per la configurabilità dell’indizio in questione, tuttavia, gli esecutori
dell’omicidio avrebbero potuto, comunque, raggiungere il Comune di Valguarnera
senza passare per esso, potendo uscire al precedente svincolo (di Agira/Raddusa
dal quale, avrebbero potuto ugualmente raggiungere l’innesto con la SP 4 per
Valguarnera percorrendo la SS 192 per un tratto pressoché parallelo
all’autostrada, quasi pianeggiante e con pochissime curve, raggiungendo così il
territorio di Valguarnera, evitando d’impegnare lo svincolo di Mulinello, ma
rientrando progressivamente nel raggio di copertura delle BTS, interessate lungo
il percorso compiuto dall’imputato), di guisa che non risulta decisivo, per la
configurazione dell’indizio in esame, stabilire se lo Sciacca sia necessariamente
passato dallo svincolo di Mulinello, ma solo se fosse stato per lui possibile
trovarsi nel territorio di Valguarnera lungo la SP 4, provenendo da qualsiasi altro
itinerario diverso da Mulinello.
5.6. L’imputato ha messo, altresì, in evidenza come il dato “dinamico” degli
spostamenti asseritamente da lui posti in essere il giorno dell’omicidio ben si
presenta compatibile con la frequentazione da parte dell’imputato della masseria
situata nella località Grado per accudire i cavalli, ovvero con la visita ad una
donna, con la quale aveva una relazione, tale Graziella Cantone, moglie di un
detenuto. Sul punto, si ritiene senz’altro di condividere la valutazione della Corte
territoriale, secondo la quale la prospettazione dell’imputato che ha lasciato in
termini del tutto vaghi e nebulosi due possibili alibi, peraltro inconciliabili l’uno
con l’altro (fare visita ad una donna comporta prospettazioni ben diverse rispetto
alla visita ai cavalli), non comportava alcun impegno motivazionale su
circostanze d’alibi nella sostanza inesistenti.

37

parte del cellulare in uso allo Sciacca dello svincolo di Mulinello e cioè della

La genericità dell’allegazione in questione, non corredata da precisi elementi di
valutazione, rende anche in questa sede del tutto inammissibile la doglianza
dell’imputato circa la mancata valutazione della Corte territoriale di tali ipotesi
d’alibi, non essendo i giudici d’appello come detto tenuti ad analizzare deduzioni
sì generiche.
Peraltro, la invocata plausibilità della versione alternativa proposta

dal

ricorrente circa la frequentazione di quei luoghi il giorno dei fatti, al di là della
sua genericità implica un giudizio, che non può essere sviluppato da questa
Corte di legittimità, che non è tenuta a stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve
condividere la giustificazione del libero convincimento del giudice nella
valutazione delle prove testimoniali, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente
(Cass. Sez. 4″ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass.
Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^
sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Gli argomenti proposti dal ricorrente, in proposito, costituiscono, in realtà, solo
un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di
cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di
merito.
6. Quanto ai tempi di percorrenza dei 94 km da Valguarnera a Bronte, da porsi
in relazione ad un arco temporale di circa un’ora tra il momento dell’omicidio
(intorno alle 20,00) rispetto al momento in cui il cellulare dello Sciacca ha
agganciato il ripetitore di Bronte, Poggio Morello, alle ore 21.07, la difesa
dell’imputato ha diffusamente criticato, sia con il ricorso principale, che con i
motivi nuovi le conclusioni della Corte territoriale, che, all’esito della disposta
perizia, nonostante i dati emergenti da essa ed i tempi sì ristretti ha ritenuto
compatibile tale tempistica con l’allontanamento dell’imputato dal luogo
dell’omicidio.
Va premesso che i periti, dopo aver individuato il percorso più breve in termini
di tempo fra Valguarnera e Bronte, unificando gli itinerari A (da Valguarneraluogo del delitto- allo svincolo Raddusa Agira di Catenanuova sulla A19)

e B1

(da Catenanuova a Bronte, ossia la prima piazza all’inizio del paese), hanno
evidenziato, secondo quanto si evince dalla sentenza impugnata, non smentita
sul punto dal ricorrente, che sull’intero percorso Valguarnera/Bronte i periti
hanno rilevato un tempo al lordo di minuti 75 e 07 ed al netto di minuti 71, ai
quali vanno aggiunti i quattro minuti valutati dal consulente di parte per
appiccare il fuoco alla Opel Vectra in località Grado (con la precisazione che per

38

tempo lordo deve intendersi quello rilevato, tramite un’apparecchiatura digitale
installata a bordo della vettura utilizzata per l’esperimento, calcolando i tempi
complessivi di marcia per ogni singola tratta ed al contempo rilevando i tempi di
sosta per un qualsiasi motivo – ad es. in coda per il traffico interno al centro
abitato di Catenanuova, ovvero per fare attraversare ad una mandria di bovini
ecc.), permettendo in tal modo il calcolo dei tempi netti.
A fronte di tale dato la Corte territoriale ha evidenziato che rispetto ai 75
minuti, così ottenuti, il momento di decorrenza non può farsi coincidere con la

risalire alle ore 20.05, tenuto conto di quanto dichiarato dal teste Scibona
Roberto, secondo cui al momento di verificazione dei fatti il TG 5 era iniziato da
poco. Aggiungendo 75 minuti alle 20.05, sulla base dei tempi quantificati dai
periti, si perviene all’orario delle 21.20 quale momento in cui lo Sciacca giunse
alla prima piazza (con al centro un distributore di carburanti AGIP) di Bronte, e,
quindi, a qualche decina di metri dalla BTS denominata Bronte-Poggio Monello
sett.3, agganciata dal cellulare dell’imputato alle 21.07.44 del 18 maggio 2003.
Sullo scarto temporale di circa 13 minuti i giudici del rinvio hanno però osservato
come i periti non abbiano spinto il veicolo da loro condotto in via sperimentale a
velocità “spericolate”, in quanto ciò non poteva rientrare nel mandato, in
considerazione, peraltro, del fatto che trattavasi di percorsi per loro non abituali,
sperimentati in occasione dell’incarico peritale, pur considerando che essi
hanno riferito di avere mantenuto, per quanto possibile, velocità corrispondenti
ai limiti massimi consentiti, o addirittura di poco superiori. Inoltre, per quanto
riguarda la BTS di Bronte, la cui copertura teorica, secondo le acquisizioni del
perito Dantona potrebbe giungere fino all’autostrada A 19, più o meno all’altezza
dello svincolo di Sferro, tale BTS, da un’altezza di oltre 800 metri, irradia il
segnale lungo la valle del fiume Simeto, non incontra – cioè – alcun ostacolo
naturale che impedisca la ricezione a valle, sicchè non è nemmeno necessario
ritenere che il segnale raggiunga la zona di Ponte Barca, laddove è sufficiente
prendere in considerazione una località più a Nord di Ponte Barca verso Bronte
(quale il bivio tra la SP 94 e la SP 122), sicuramente compresa nella copertura
della BTS dì C.da Poggio Monello, per riassorbire quasi per intero gli indicati
tredici minuti di differenza.
6.1. Tale ragionamento va subito detto che, in quanto logico e privo di
sfasature, appare immune da censure contrariamente a quanto rilevato dal
ricorrente. Il ricorrente nel censurare tale ragionamento compie anche in tal caso
una inammissibile segmentazione del ragionamento della Corte, non cogliendo il
senso complessivo di esso volto a rappresentare la compatibilità del tragitto di
rientro da parte dello Sciacca da Valguarnera a Bronte con il tempo di un’ora

39

telefonata di allarme ai carabinieri delle 20.10, ma la decorrenza devi farsi

circa, sulla base di plurimi elementi tutti convergenti (e non isolatamente
considerati) in tal senso e segnatamente: l’abituale percorrenza dei luoghi da
parte dell’imputato ed in particolare dell’itinerario più agevole- fatto questo che
gli consentiva senz’altro di spingere la velocità dell’auto ben oltre quella
normalmente praticata da un non conoscitore dei luoghi- l’esigenza di un
repentino allontanamento dal luogo del delitto per rientrare nel paese di
provenienza e, la deduzione del tutto logica relativa all’aggancio alcuni chilometri
prima dell’arrivo nella prima piazza di Bronte della cella a servizio dell’area

6.1.1. Ciò posto la prima censura svolta dall’imputato circa l’avvenuta
considerazione da parte dei giudici del rinvio dei tempi netti (75 minuti),
piuttosto che lordi (80 minuti circa) di percorrenza della zona non può trovare
accoglimento, risultando del tutto logica la scelta di non considerare possibili
rallentamenti od altri ostacoli (dati questi piuttosto opinabili), in relazione alla
conoscenza dei luoghi da parte dell’imputato e, comunque, evincendosi dal
tenore complessivo della motivazione che tali pochi minuti di differenza ben
potevano essere o risultare assorbiti dalla conoscenza del percorso e dalla
necessità dell’imputato di allontanarsi velocemente.
6.1.2. Neppure si presenta censurabile la valutazione della Corte territoriale di
fissare la decorrenza del tempo di allontanamento dall’omicidio alle 20.05,
fondandosi tale valutazione sull’orario della telefonata alla centrale operativa e
sulle dichiarazioni dello Scibona, secondo cui l’omicidio sarebbe avvenuto poco
dopo l’inizio del TG 5, laddove le doglianze in proposito svolte dal ricorrente
circa la collocazione del tempo di partenza si presentano del tutto generiche e
non ancorate ai dati più specifici indicati.
6.1.3.La deduzione, poi, secondo la quale i giudici del rinvio avrebbero
giustificato la copertura dei 13 minuti di scarto con la maggiore velocità del
veicolo condotto dall’imputato non appare corretta, atteso che l’assorbimento dei
minuti in questione è stato di fatto ricondotto pressochè interamente all’aggancio
della cella di Bronte diversi chilometri prima dell’ingresso in città.
6.1.4. Del tutto generiche e, comunque, riconducibili a censure in fatto,
inammissibili in questa sede, si presentano le deduzioni relative a possibili
agganci di celle diverse da quelle considerate, così come quelle sul traffico con
tassazione commerciale, considerato dai giudici di appello (avendo questi ultimi
in proposito compiutamente illustrato le ragioni per tale opzione), ovvero quella
relativa alla maggiore plausibilità del dato che l’imputato abbia mantenuto
un’andatura sostenuta, sino al luogo di avvenuto incendio dell’auto, ma non nel
tragitto da lì a Bronte, potendo essere in tal caso intercettato da una pattuglia di
P.G., od ancora quella che l’imputato nel percorso di andata aveva agganciato
40

geografica in attraversata.

celle diverse (in proposito la Corte territoriale ha dato conto della significatività
in proposito del traffico tassabile).
6.1.5. Del pari si presenta infondata la deduzione secondo cui la Corte
territoriale ha ipotizzato una convergenza sincronica fra la partenza dell’imputato
da Bronte, il momento dell’arrivo nel centro abitato di Valguarnera (sotto
l’abitazione del Calcagno) ed il momento dell’omicidio (coincidente con l’uscita da
casa della vittima), laddove tale sincronia è da ritenersi assolutamente
improbabile a fronte dell’eccezionalità dell’uscita di casa del Calcagno nel

cella di Enna sett. 2 è avvenuto alle ore 19.09.12 e 19.11.07 e rispetto all’orario
dell’omicidio vi è stata senz’altro una fase di attesa; in ogni caso, risulta in
proposito assorbente il dato che l’imputato si è recato a Valguarnera da Bronte
al fine di compiere l’omicidio, realizzando il suo proposito criminoso.
7. Per quanto concerne la valenza indiziaria del contenuto della conversazione
ambientale del 25 aprile 2004, captata a bordo dell’Opel Station Wagon in uso a
Camuto Alfio, la sentenza di annullamento aveva ritenuto che, trattandosi di
conversazione intercorsa fra soggetti che non avevano direttamente partecipato
all’omicidio di Calcagno Domenico, la presunta valenza indiziaria di essa
neppure appariva collegabile ad un ipotetico ruolo apicale svolto dal Cannuto
nell’ambito della cosca mafiosa del clan Mazzei, e, quindi, era da intendersi frutto
di mere valutazioni e ricostruzioni personali dei fatti, effettuate sulla base di
notizie provenienti da fonte imprecisata e rimaste sostanzialmente prive di
significativi riscontri oggettivi, sì che la loro valenza era da ritenere quella di
mero spunto investigativo.
All’esito del giudizio di rinvio si ritiene che la Corte territoriale, attraverso
l’ulteriore attività istruttoria compiuta, abbia senz’altro superato il vizio
motivazionale censurato con la sentenza di annullamento, avendo dato
compiutamente conto delle ragioni attraverso le quali la conoscenza da parte di
Alfio Camuto delle vicende riguardanti l’omicidio Calcagno non fosse frutto di
mere valutazioni e ricostruzioni personali dei fatti, trovando, anche alla luce delle
dichiarazioni rese dal collaborante, Mirabile Giuseppe, significativi riscontri in
merito alla circostanza, emersa nel corso della conversazione, che lo Sciacca sia
stato l’esecutore dell’omicidio Calcagno (la circostanza che allo Sciacca sia
riferibile il ruolo di killer emerge in più punti della sentenza impugnata,
contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente circa la mancata individuazione
di un suo ruolo preciso nell’omicidio); ciò per fare un favore allo “zio Ciccio”,
ossia Francesco la Rocca di Caltagirone, a sua volta d’accordo con Mirabile Alfio
di Catania, nel presupposto che esso Sciacca eseguisse gli ordini di Montagno
Bozzone Francesco, al cui gruppo malavitoso era affiliato.
41

momento dell’uccisione. In proposito, è sufficiente osservare che l’aggancio della

m

,

7.1. In proposito, va innanzitutto evidenziato che nel giudizio di rinvio sono
state acquisite da altro procedimento penale ulteriori conversazioni intercettate
in ambientale a bordo della Opel Astra del Camuto, collocabili nel medesimo
contesto cronologico ed investigativo della conversazione intercettata il
25.04.2004. Le valutazioni compiute dai giudici d’appello, secondo cui tali
conversazioni costituirebbero, attraverso il narrato dei colloquianti, da un lato,
riscontro al fatto che lo Sciacca faceva parte del gruppo mafioso di Bronte,
capeggiato da Montagno Bozzone, nell’ambito del quale veniva tenuto in grande
considerazione, e, dall’altro, attesterebbero la conoscenza da parte dei
colloquianti e, segnatamente, da parte di Alfio Camuto delle dinamiche interne
dei gruppi criminali in questione ed, in particolare, di quello di Bronte, essendo in
contatto con il vertice del gruppo (nella persona di Montagno Bozzone
Francesco) e con lo stesso Sciacca, non meritano censura, risultando
congruamente e logicamente argomentate. In merito a tali conversazioni, il
ricorrente propone in questa sede per molte di esse un’interpretazione
alternativa, esprimendo giudizi circa l’atteggiamento avuto dagli interlocutori nel
corso della conversazione, inammissibile in questa sede di legittimità. E’ il caso,
ad esempio, della conversazione del 27.11.2003, intercorsa fra Camuto Alfio e
lo stesso Sciacca Vincenzo, in merito alla preoccupazione espressa dagli
interlocutori circa la richiesta (da parte della Questura di Catania) dei carichi
pendenti degli inquirenti dello stesso Sciacca, di Montagno Bozzone ed altri, in
relazione alla quale la difesa ha evidenziato come in quel contesto si presenti
illogico che lo Sciacca non si sia nell’occasione preoccupato dell’omicidio del
Calcagno, inferendosi da tale mancata preoccupazione l’estraneità del predetto a
tali fatti.
7.2. Per quanto concerne, specificamente la conversazione tra Alfio Camuto e
Io zio Gullotti Carmelo del 25.4.2004, oggetto della sentenza di annullamento,
correttamente la Corte territoriale ha evidenziato in premessa come Camuto Alfio
non sia un affiliato del gruppo mafioso Mazzei di Catania, essendo un adepto del
gruppo malavitoso di Bronte, diretto da Montagno Bozzone Francesco, ed in tale
veste ha svolto le funzioni di collegamento con personaggi riconducibili al gruppo
Mazzei nei periodi in cui quel gruppo di Bronte, si raccordava all’anzidetto
referente mafioso del capoluogo, come si ricava anche dalle sentenze divenute
definitive a carico degli altri soggetti coinvolti nell’omicidio del Calcagno. Da ciòha evidenziato la sentenza impugnata- il giudizio di rinvio non avrebbe potuto
dar conto di un ruolo apicale svolto dal Camuto nell’ambito della cosca mafiosa
del clan Mazzei, come richiesto dalla S.C.
Inoltre, l’importanza di tale conversazione emerge anche dalla sentenza di
condanna divenuta definitiva per l’omicidio del Calcagno nei confronti del
42

..

Montagno Bozzone, nella quale si dà atto che dalla conversazione in questione si
evince chiaramente, oltre al collegamento del Montagno con gli altri sodali, lo
specifico “scambio di favori” mafiosi tra lo stesso, che si impegnava ad uccidere il
Calcagno e il Mirabile che prometteva, a sua volta, di uccidere Catania Salvatore
“Turi”, capo della fazione avversa al Montagno Bozzone, operante anch’essa nel
territorio di Bronte (CT), (omicidio poi, in realtà, non avvenuto), emergendo
altresì che il Montagno, quale organizzatore, aveva dato l’incarico allo Sciacca di
eseguire l’omicidio del Calcagno.

conversazione in questione, alla luce delle ulteriori conversazioni oggetto di
captazione acquisite, ha valutato anche la parte iniziale di tale conversazione al
fine di meglio contestualizzare il colloquio tra il Camuto e lo zio, ribadendo la
valenza indiziaria nei confronti dello Sciacca del passaggio della conversazione,
nel quale il Camuto nel riferirsi al Montagno Bozzone ed a Vincenzo Sciacca ha
evidenziato:

“Però lui poi ha fatto sempre di testa sua! Gli ha fatto fare

l’omicidio a Vincenzo.., gli ha fatto credere a uno per conto del vecchio questo lo
Zio… “. Tale passaggio, che per quanto si dirà, trova riscontro nelle dichiarazioni
rese in proposito da Mirabile Giuseppe, riscontrandole a sua volta, non è stato
ritenuto dalla Corte territoriale espressione di una ricostruzione personale in
considerazione, peraltro, dei contatti frequenti con le persone coinvolte, tra cui
l’esponente di vertice del gruppo di Bronte e lo Sciacca.
La circostanza dedotta dalla difesa, secondo la quale Alfio Camuto sarebbe
stato assolto con sentenza della Corte d’Appello di Catania dal reato di
associazione mafiosa, oltre a riguardare una sentenza non ancora definitiva, non
inficia il dato secondo cui il Carnuto ha riferito di notizie apprese in relazione alla
diretta frequentazione degli autori dell’omicidio riscontrate da altri elementi,
come si dirà. Inoltre, il rilievo secondo il quale esisteva un omonimo
dell’imputato con cui il Camuto poteva relazionarsi per le vicende associative di
Bronte, sicchè i conversanti avrebbero fatto riferimento a quest’ultimo trova
smentita, secondo quanto evidenziato dalla Corte territoriale, nel fatto che nel
colloquio vi è il riferimento al furto di un escavatore commesso proprio
dall’imputato.
8. In ogni caso, il contenuto della conversazione del 25.4.2004 deve essere
letto in uno alle ulteriori emergenze dell’attività istruttoria svolta nel giudizio di
rinvio, alla luce, come già accennato, delle dichiarazioni rese all’udienza del
15.11.2012 da Mirabile Giuseppe, già “uomo d’onore” del clan Santapaola di
Catania e nipote di Mirabile Alfio, divenuto collaboratore di giustizia nelle more
del giudizio di rinvio a fine settembre 2012, il quale, come si evince dalla

43

7.2.1. Nel giudizio di rinvio la Corte territoriale, nell’analizzare nuovamente la

sentenza impugnata, già in occasione dell’interrogatorio reso al PM/DDA di
Catania, in data 2.10.2012, aveva fatto riferimento all’omicidio del Calcagno.
Il Mirabile dopo aver ricostruito le “alternanti” vicende del gruppo di Bronte vicino in origine ai Santapola, quindi, ai Mazzei ed ancora ai Santapaola- ed
aver premesso di aver partecipato solo alla fase iniziale della decisione di
uccidere il Calcagno, essendo stato successivamente arrestato, ha dichiarato,
secondo quanto si evince dalla sentenza impugnata, di aver appreso in carcere,
da varie fonti, che lo Sciacca era stato il killer del Calcagno e segnatamente:

Lanza c’era Vincenzo Sciacca e se potevo in qualche modo far sapere a qualcuno
a Piazza Lanza che lo Sciacca era amico nostro e che comunque aveva avuto dei
battibecchi. Lo mandai a dire a Caruana Dario e nel frattempo Montagna Bozzone
mi riferì che lo Sciacca era uomo di sua fiducia e comunque che era stato il killer
che aveva eliminato Calcagno Domenico…”.
– dallo zio, Alfio Mirabile, al quale chiedeva delle spiegazioni in occasione di
un colloquio del fatto che avessero arrestato Marco Strano (loro affiliato),
insieme a Sciacca Vincenzo, per il furto di un escavatore e lo stesso rispondeva
che Montagno “non faceva più parte dei Carcagnusi (almeno in quel periodo)
che era passato a noi c.. addirittura che ci aveva risolto ..quel- problema che…
avevamo nella provincia di Enna”;
– da La Rocca Francesco e La Rocca Filippo, durante il periodo di comune
detenzione, lamentandosi il primo che “lo Sciacca avesse messo le targhe di una
macchina affittata, non so bene quale siano state le dinamiche, comunque si
lamentava nei confronti dello Sciacca e con Filippo La Rocca commentavamo
come era andato male diciamo. Dalle intercettazioni che avevano avuto loro per
essere incriminati loro stessi… da come sono andati i fatti, perché non era
normale che un uomo andasse a fare un omicidio e cambiasse la macchina
rubata mettendo una targa che poi andava a risultare intestata a sé”.
8.1. La difesa dell’imputato ha contestato le dichiarazioni accusatorie del
Mirabile, circa il ruolo di killer rivestito dall’imputato nell’omicidio del Calcagno,
mirando ad inficiare l’attendibilità del collaborante in merito alle notizie
asseritamente apprese de relato sul presupposto che, sebbene gli accertamenti
effettuati (periodi di detenzione, colloqui ecc.) comprovino gli avvenuti incontri
tra il propalante e le fonti de relato, tuttavia, il controllo probatorio che andava
effettuato sulle dichiarazioni del Mirabile doveva investire, non tanto il fatto che
il collaboratore fosse stato detenuto insieme a Montagno Bozzone nel medesimo
carcere, o che abbia effettuato colloqui con Alfio Mirabile, ma le specifiche
circostanze di luogo e di tempo e gli specifici contenuti che costituiscono il nucleo
portante delle sue dichiarazioni. Le doglianze svolte sono tutte infondate.
44

– dal Montagno Bozzone, con il quale era detenuto a Bicocca, “che a Piazza

8.11 ricorrente si è specificamente soffermato sul contenuto delle dichiarazioni
del propalante del 2.10.2012, circa le ragioni per le quali quest’ultimo aveva
appreso in carcere de relato dai soggetti a vario titolo coinvolti nell’omicidio del
Calcagno della vicenda relativa all’omicidio del Calcagno, evidenziando come tali
causali non troverebbero compiuto riscontro.
In particolare, la difesa ha censurato la valutazione di attendibilità

del

Mirabile, in relazione alla fonte informativa, Montagno Bozzone Francesco, atteso
che nell’interrogatorio reso il 2.10.2012, il collaborante aveva parlato

Crisafulli e per la necessità palesatagli dal Montagno di “raccomandare” il primo,
suo adepto, per evitargli gravi problemi nel carcere dove si trovava detenuto,
laddove nel periodo di detenzione del Montagno e del Mirabile lo Sciacca non si
trovava contemporaneamente detenuto con il Crisafulli a Piazza Lanza, carcere
nel quale si erano verificati, appunto, i problemi indicati.
In proposito, la Corte territoriale ha rilevato che a conforto delle dichiarazioni
del collaborante vi erano il periodo di detenzione comune del Mirabile e del
Montagno Bozzone dal 27.3.2004 al 3.5.2004, presso la Casa Circondariale di
Bicocca, nonché dal 2.2.2008 al 14.3.2008 e dal 14.4.2008 al 17.5.2008,
presso la Casa C.le di Catania-P.zza Lanza, ed il periodo di detenzione comune
Sciacca/Crisafulli dal 4.3.2005 al 22.7.2005. Il fatto che questi ultimi non
fossero stati detenuti contemporaneamente ai primi correttamente non è stata
considerata in sostanza dalla Corte territoriale circostanza idonea ad inficiare la
propalazione dello stesso Mirabile, avendo il medesimo chiarito all’udienza del
15.11.2012, di non essere in grado di collocare nel tempo il litigio tra lo Sciacca
ed il Crisafulli- se nel 2004, nel 2005 o nel 2006- e risultando inalterato il nucleo
essenziale, non smentito da altre risultanze, del ricordo dal propalante, ossia il
litigio dello Sciacca con il Crisafulli. Analogo discorso deve essere svolto con
riguardo al periodo di detenzione Sciacca- Caruana.
8.2. Per quanto concerne, invece, la fonte di conoscenza dell’arresto comune
dello Sciacca e dello Strano (ossia il giornale), che avrebbe occasionato le
rivelazioni effettuate al collaborante dallo zio Alfio Mirabile, la Corte territoriale
ha evidenziato con ragionamento logico, immune da censure, che il riferimento
in sostanza “erroneo” al “giornale” lungi dall’apparire un mendacio (peraltro si
un fatto assolutamente marginale) è da ricondurre ad una discrepanza
mnemonica che lascia intatta l’attendibilità del dato saliente relativo al fatto che
il collaborante parlò con lo zio dell’arresto dei due
8.3. Con riguardo, inoltre, alla mancanza di interesse di La Rocca Francesco a
dolersi della condotta “sbadata” dello Sciacca in occasione dell’omicidio del
Calcagno, trattasi di una censura in fatto, inammissibile in questa sede.

45

dell’omicidio del Calcagno per i problemi avuti da Vincenzo Sciacca con Piero

8.4. Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la Corte territoriale ha
anche considerato le possibili ragioni di “rancore” tra il propalante e lo Sciacca
tali da minarne l’attendibilità, tenuto conto del fatto che il Mirabile ha riferito in
dibattimento di un episodio preciso che determinò la perdita del saluto allo
stesso Sciacca. In proposito la Corte territoriale in sostanza ha concluso per
l’irrilevanza di tale episodio posto che il Mirabile ha precisato che le ragioni di
disistima con Sciacca non ebbero origine da motivi personali o di militanza
criminale ma a causa del carattere intemperante ed insolente dell’imputato che

di detenzione, Carmelo Motta, nonostante l’intervento del Mirabile per evitare lo
scontro. Peraltro
8.4. Del tutto generiche si presenta, infine, la deduzione dell’avv. Antille con
riguardo alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Mirabile, circa
la persistenza delle “eccezioni di inutilizzabilità e nullità” prospettate
tempestivamente dalla difesa, non essendo corredate da un adeguato percorso
argomentativo a supporto della deduzione.
9. In definitiva la sentenza impugnata ha congruamente superato i vizi
motivazionali evidenziati con la sentenza di annullamento, facendo corretta
applicazione dei principi, secondo cui la condanna consegue al saldarsi degli
elementi indiziari che non lascino vuoti o salti logici, sì che l’attribuzione
all’imputato del fatto illecito consegua come l’esito obbligato ed ineludibile del
percorso valutativo compiuto (cfr. Sez. 1^, n. 30448 del 9/6/2010, Rossi, Rv.
248384).
10. Il ricorso proposto da entrambe le difese dell’imputato va, pertanto,
respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali
p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 6.10.2015

in occasione dell’episodio descritto dal collaborante aveva colpito un compagno

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