Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29661 del 23/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29661 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto
Schiavone Angelo

avverso l’ordinanza n. 86/2013 del 23/04/2012 della Corte di appello di Bari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Pasquale Gianniti;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 23/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Bari, quale Giudice della riparazione, ha respinto la
domanda di riparazione per ingiusta presentata da Schiavone Angelo in relazione
al periodo di custodia cautelare sofferto nel procedimento pendente per il reato
di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e per detenzione in concorso
a fini di spaccio.

avverso la suddetta ordinanza, deducendo vizio di motivazione e violazione dei
principi del giusto processo in relazione a tutti i punti della ordinanza impugnata
nei quali si richiama la valutazione delle intercettazioni, come eseguita dai giudici
di merito.
Il ricorrente deduce che non risulta provato in atti che lui fosse a conoscenza
dell’attività illecita svolta da suo fratello Pasquale, come pure di quella esercitata
da Cucumazzo Rocco, e meno che meno risulta in atti provato che lui sapesse
che i due facevano parte del medesimo sodalizio criminoso. Ricorda che, secondo
la giurisprudenza di legittimità, non integra colpa grave la mera frequentazione
con esponenti della criminalità organizzata e malavitosi, tanto più se gli stessi
sono parenti. Si lamenta del fatto che il giudice della riparazione ha rimandato
ad una lettura delle intercettazioni riportate in alcune pagine dell’ordinanza
applicativa della misura custodiale (precisamente pp. 96-101), senza eseguire
una valutazione critica ed approfondita delle singole conversazioni captate. In
definitiva, il mero fatto di essere fratello di Schiavone Pasquale ed il mero fatto
di aver avuto alcune conversazioni telefoniche con l’altro imputato Cucumazzo
Rocco (peraltro al solo fine di recuperare un credito di gioco del fratello Pasquale,
che in quel momento era agli arresti domiciliari), secondo il ricorrente, non
potrebbe in alcun modo integrare la colpa grave, quale causa ostativa al
riconoscimento dell’indennizzo riparatore.

3.11 Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte ha chiesto
il rigetto del ricorso, ravvisandosi in concreto elementi obiettivi di colpa grave i
cui contenuti sono stati adeguatamente esposti in motivazione della Corte
territoriale.

4.In vista dell’odierna udienza si è costituito il Ministero dell’Economia e
delle Finanze in persona del ministro pro tempore a mezzo dell’Avvocatura
Generale dello Stato che ha depositato memoria nella quale ha chiesto
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ovvero in subordine il rigetto dello stesso,

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2.Schiavone Angelo, a mezzo di difensore di fiducia, ha proposto ricorso

con ogni conseguente statuizione in punto di spese e con conferma
dell’ordinanza impugnata.

5.Sempre in vista dell’odierna udienza ha depositato memoria anche il
difensore di Schiavone Angelo, che, nel riportarsi al ricorso già proposto, ha
formulato osservazioni alla requisitoria scritta del PM.

1.11 ricorso non è fondato.

2. In punto di fatto, si premette quanto segue.
In data 5 luglio 2006 Schiavone Angelo è stato tratto in arresto in
esecuzione della ordinanza di custodia cautelare emessa (il precedente 29
giugno) dal Giudice per le indagini preliminare del Tribunale di Bari in relazione
alla partecipazione ad una associazione criminale, formata da più di 10 persone e
finalizzata al traffico di ingenti quantitativi di stupefacente stupefacenti, che
avrebbe operato in Mola di Bari ed altri luoghi dal febbraio al settembre 2005
(capo A), nonché in relazione al concorso nella detenzione a fini di spaccio di kg.
632 di sostanza stupefacente del tipo hashish, quantitativo che era stato
sequestrato in Molfetta il 30 maggio 2005 (capo C).
In sede di interrogatorio di garanzia 6 luglio 2006 si è avvalso della facoltà
di non rispondere, ma, in sede di successivo interrogatorio davanti al PM
(svoltosi in data 19 ottobre 2006 su sua richiesta), ha reso dichiarazioni,
protestandosi innocente rispetto a tutti i capi di accusa.
In data 30 ottobre 2006 la misura della custodia in carcere è stata sostituita
con quella dell’obbligo di dimora nel Comune di Fasano con prescrizione di non
allontanarsi dal luogo di abituale dimora senza l’autorizzazione dell’AG.
Ad esito di giudizio abbreviato, il giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Bari ha dichiarato Schiavone Angelo colpevole dei reati allo stesso
ascritti ai capi A e C.
La Corte di appello di Bari con sentenza 1441/2009 ha confermato
l’affermazione di penale responsabilità per entrambi i reati, ma detta sentenza è
stata annullata da questa Corte regolatrice.
Ad esito del giudizio di rinvio la Corte di appello di Bari con sentenza n.
2807/12 (nelle more passata in giudicato) ha assolto Schiavone Angelo da
entrambe le imputazioni ascrittegli.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Tanto premesso in fatto, in punto di diritto, occorre ricordare che,
come precisato ormai da molti anni dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sent.
n. 34559 del 26/06/2002, Ministero Tesoro in proc. De Benedictis, «in tema di
equa riparazione per ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se
colui che la ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa
grave, deve, in modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi
probatori a sua disposizione con particolare riferimento alla sussistenza, da parte
di quest’ultimo, di un comportamento, che riveli eclatante o macroscopica

congrua motivazione del convincimento conseguito, che è incensurabile in sede
di legittimità, quando presenti i suddetti caratteri. Nell’eseguire tale
accertamento il giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti
e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal
richiedente sia prima sia dopo la perdita della libertà personale, a prescindere
dalla conoscenza da parte di quest’ultimo dell’inizio dell’attività d’indagine, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se detta condotta abbia integrato
estremi di reato ma soltanto se sia stata il presupposto, che abbia ingenerato,
pur se in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua
configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di
causa ad effetto».
E questa Sezione ha avuto modo di precisare (cfr., tra le tante, sent. n.
30066 del 19/06/2008, Galli, Rv. 240564) che: «Condotte rilevanti in tal senso
possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale
da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo
processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che
non siano state escluse dal giudice della cognizione. A tal fine, nei reati
contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella
consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere
una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella attività».
Ed è stato altresì precisato che (cfr. Sez. 4, sent. n. 2674 del
10712/2008, dep. 2009, Zappella) «il rapporto tra giudizio penale e giudizio per
l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato
dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.In particolare, è consentita al
giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria
o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in

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negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo adeguata e

ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione
della misura, traendo in inganno il giudice».

4. Orbene, l’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e
puntualmente nella linea del suddetto quadro interpretativo, avendo respinto la
domanda dell’interessato sulla base di dati, che sono rimasti accertati e non
esclusi nel giudizio di merito.
Invero, la Corte di appello di Bari, quale Giudice della riparazione, nella

quale giudice di merito di secondo grado, nell’assolvere Schiavone Angelo, aveva
rilevato che quest’ultimo non soltanto era fratello di Schiavone Pasquale,
soggetto inserito nel sodalizio oggetto di indagine in posizione apicale, ma dalle
espletate intercettazioni risultava anche aver intrattenuto conversazioni
telefoniche con Cucumazzo Rocco (suo coimputato, poi condannato), con
linguaggio involuto ed allusivo.
Il Giudice della riparazione ha aggiunto che, nel giudizio di merito, era
stato rilevato, da un lato, che l’uso di tale linguaggio non provava con certezza
che l’odierno ricorrente si riferiva proprio ad un illecito traffico di stupefacenti
(ragion per cui veniva emessa sentenza di assoluzione); e, dall’altro, che delle
conversazioni intercettate l’odierno ricorrente (peraltro, non in sede di primo
interrogatorio, nel quale, come sopra rilevato, si era avvalso della facoltà di non
rispondere) aveva dato una spiegazione (un presunto debito di gioco, che tale
Angelini doveva a Schiavone Pasquale e che invece avrebbe consegnato al
Cucumazzo, che però non l’aveva restituita al creditore effettivo), che era
risultata destituita di fondamento.
Tali essendo i dati di fatto posti a base della ordinanza impugnata – dati
che, si ribadisce, non sono risultati esclusi nel giudizio di merito – il Giudice della
riparazione ha correttamente assolto l’obbligo di motivazione, che su di lui
gravava, verificando in concreto che il provvedimento con il quale fu disposta la
misura coercitiva era stato adottato anche per effetto di quei comportamenti
evidenziati nella ordinanza impugnata e giudicati gravemente colposi, che, però,
sono stati ritenuti non decisivi ai fini del giudizio di responsabilità.
Al riguardo, occorre ribadire che la decisione di assoluzione non comporta
di per sé il riconoscimento del diritto all’indennizzo per ingiusta detenzione, in
quanto detto riconoscimento richiede, oltre alla assoluzione, la condizione che il
soggetto con la propria condotta non abbia dato causa al regime restrittivo.

5.Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. Nonostante il rigetto del ricorso, le spese sostenute dal

ordinanza impugnata, ha dato preliminarmente atto che quella stessa Corte,

Ministero vanno interamente compensate, apparendo la memoria dell’Avvocatura
caratterizzata da argomentazioni generiche e comunque meramente enunciative
di principi di diritto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali; compensa le spese tra le parti.

Così deciso il 23/06/2016

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