Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29655 del 21/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29655 Anno 2016
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ITALIANO GIUSEPPE N. IL 07/06/1985
avverso l’ordinanza n. 23/2015 CORTE APPELLO di GENOVA, del
22/12/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. ea2c) ea-U-P bta

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Juz)

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 21/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 22 dicembre 2015 la Corte d’Appello di Genova rigettava
la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione presentata da Italiano Giuseppe,
volta al pagamento di un indennizzo per la custodia cautelare in carcere protrattasi dal
20 luglio 2009 sino al 21 aprile 2010, data in cui era intervenuta la revoca della misura
da parte del Tribunale del Riesame per carenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine

aver commesso il fatto.

2. La Corte territoriale escludeva il diritto dell’Italiano al richiesto indennizzo poiché
questi, riconosciuto da alcuni testimoni come uno degli autori della rapina avvenuta nella
Banca di Credito Cooperativo della Versilia in Sarzana, in sede di interrogatorio di
garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere, omettendo così di informare gli
inquirenti che all’epoca si trovava in stato di semidetenzione con attività lavorativa
esterna e che il giorno del fatto si era recato regolarmente al lavoro, in orario
incompatibile con quello della commessa rapina.

3. Ha proposto ricorso l’Italiano, a mezzo del difensore di fiducia, chiedendo
l’annullamento della detta ordinanza per violazione dell’art.606, comma 1, lett. b) ed e)
c.p.p. per inosservanza ed erronea applicazione dell’art.314 c.p.p., anche sotto il profilo
del vizio motivazionale.
Deduce in particolare che nel corso dell’interrogatorio reso al P.M. il 17 agosto 2009,
aveva dichiarato che il giorno 12 maggio 2009, data della rapina, era stato presente sul
posto di lavoro, in luogo diverso e distante da quello di commissione del delitto,
circostanza che avrebbe dovuto formare oggetto di doverosa e tempestiva verifica: la
facoltà di non rispondere, di cui si era avvalso nell’interrogatorio di garanzia, non
costituiva quindi comportamento tale da giustificare il protrarsi della detenzione per otto
mesi. Si duole poi della condanna alle spese in favore del Ministero dell’Economia,
pronunciata in spregio del principio di solidarietà sociale e collegata alla figura di un atto
lecito ma dannoso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Questa Corte Suprema ha più volte affermato che la facoltà di non rispondere può
assumere rilievo ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa
grave solo qualora l’interessato non abbia riferito circostanze, ignote agli inquirenti, utili
ad attribuire un diverso significato agli elementi posti a fondamento del provvedimento

al reato di concorso in rapina aggravata, da cui l’imputato era stato poi assolto per non

cautelare (Sez.4, 9 luglio 2014, n.29967). Fermo restando dunque l’insindacabile diritto
al silenzio o alla reticenza o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle indagini
e dell’imputato, nell’ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di fornire una logica
spiegazione al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel corso delle
indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali, rilevano ma il mancato esercizio di
una facoltà difensiva, quanto meno sul piano dell’allegazione di fatti favorevoli, che se da
solo non può essere posto a fondamento della colpa grave, vale però a far ritenere

misura cautelare, del quale può tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in
presenza di altri elementi di colpa (Sez.4, 23 febbraio 2012 n.7296 Rv 251928).

2. Ed allora, nel caso di specie, se è vero che l’indagato nel corso del primo
interrogatorio di garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere, tacendo la
circostanza a lui favorevole dello svolgimento dell’attività lavorativa esterna al carcere di
Pistoia e della sua regolare presenza sul luogo di lavoro il giorno della rapina
contestatagli, deve rilevarsi che nel successivo interrogatorio reso al P.M. il 17 agosto
2009 aveva ampiamente esposto le proprie difese: ciò nonostante nessuna ulteriore
indagine era stata svolta per verificare gli assunti difensivi e la misura cautelare era stata
mantenuta fino alla revoca pronunciata dal Tribunale del Riesame di Genova il 19 aprile
2014.

3. Tale circostanza non è stata esaminata dalla Corte d’Appello che, nel respingere la
richiesta di riparazione, ha invece affermato che l’atteggiamento reticente serbato
dall’istante aveva dato causa alla protrazione del periodo di privazione della libertà
personale, omettendo di motivare su quanto successivamente rappresentato agli
inquirenti dall’Italiano.
Ne deriva l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio per nuovo esame alla
Corte d’Appello di Genova.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di
Genova.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 giugno 2016

Il Consiglie

sore

Il Presidente

l’esistenza di un comportamento omissivo causalmente efficiente nel permanere della

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