Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29654 del 21/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29654 Anno 2016
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di VITA Carolina, nata a Catania il 13/07/1974,
parte civile costituita nel procedimento penale n.7451/12 R.G.N.R., nei confronti
di PAPPALARDO Pietro, nato a Catania il 15/09/1975
avverso la sentenza n.943/15 del 17/11/2015, del Giudice dell’Udienza
Preliminare del Tribunale di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Leonardo Tanga;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Giulio Romano, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 21/06/2016

(J41,

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n.943/15 del 17/11/2015, il Giudice dell’Udienza
Preliminare del Tribunale di Catania, ai sensi dell’art.425 c.p.p., dichiarava non
luogo a procedere nei confronti di Pappalardo Pietro per il reato contestato per
non aver commesso il fatto.

di rinvio a giudizio nei confronti di Barbagallo Alessandro Giuseppe e Pappalardo
Pietro per rispondere dei reati di omicidio colposo nei confronti di Donato
Salvatore, deceduto il 10/05/2012 a seguito delle lesioni riportate in infortunio
sul lavoro.

2.

Avverso tale ordinanza, propone ricorso per cassazione Vita

Carolina, parte civile costituita nel detto procedimento penale, a mezzo del
proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art.173,
comma 1, disp. att. c.p.p.):
I) vizi motivazionali per mancanza, contraddittorietà, manifesta
illogicità della motivazione della sentenza impugnata rispetto agli atti del
processo. Deduce che risulta evidente la manifesta contraddittorietà tra gli
elementi fondanti della sentenza e quanto emerso in sede di indagini. Afferma
che Donato Salvatore, nella sua qualità di lavoratore dipendente dell’impresa
individuale di Barbagallo Alessandro Giuseppe, s’infortunava mortalmente
mentre prestava la propria opera per l’esecuzione dei lavori di istallazione di
pannelli fotovoltaici sul piano di copertura di un capannone industriale, sede della
società FEMAR logistica s.r.I.. Tale impianto veniva commissionato
all’Associazione Temporanea d’imprese (A.T.I.) costituita dalle società AIRON
RENEW s.r.l. (impresa capofila), della quale era amministratore unico Pappalardo
Pietro, e BIOTECH s.r.I.. Il Pappalardo, nella sua qualità, affidò in subappalto i
lavori all’impresa del Barbagallo (presso cui lavorava la vittima) senza verificare
l’idoneità tecnico professionale della detta impresa. In particolare dalle
dichiarazioni rilasciate nell’immediatezza dei fatti in sede di S.I.T., in data
10/05/2012, innanzi ai carabinieri di Catania, dallo stesso Barbagallo -titolare
della omonima ditta e diretto datore di lavoro del deceduto Donato Salvatoreemergeva che il 10 maggio 2012, data del tragico evento, la AIRON RENEW (del
Pappalardo) aveva già preso in carico il cantiere ed avviato i lavori
commissionati.

2

1.1. In data 04/03/2015 il P.M. aveva chiesto l’emissione del decreto

2.1. Con memoria depositata il 15/06/2016, il difensore di Pappalardo
Pietro ha formulato osservazioni avversative deducendo la tardività
dell’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile poiché tardivo.

Giudice dell’udienza preliminare, nel dare immediata lettura del dispositivo della
sentenza del 17/11/2015, indicò, il termine di giorni trenta per il deposito della
motivazione. La sentenza, completa di motivazione, fu depositata entro il
termine programmato ed esattamente in data 17/12/2015.
4.1. Nessuna comunicazione e notificazione dell’avviso fu fatta
rispettivamente al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale e al difensore
della parte civile, presenti alla lettura del dispositivo, essendo stato
puntualmente osservato il preannunciato termine di deposito.

5.

Ebbene, la sentenza di non luogo a procedere deve essere

impugnata, a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni, ai sensi dell’art.
585, comma 1, lett. a) e c), c.p.p., che disciplina in via generale il termine per
l’impugnazione dei provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di
consiglio, tra i quali rientra certamente la detta pronuncia.
5.1. Non rileva, ai fini dell’ampiezza del termine per impugnare, la
circostanza che il Giudice dell’udienza preliminare, nell’adottare la decisione, se
ne riservi la motivazione nel termine previsto dall’art. 424, comma 4, c.p.p..
5.2. Il termine per impugnare la sentenza di non luogo a procedere,
in sostanza, non rimane coinvolto, a differenza di quello previsto per
l’impugnazione delle sentenze dibattimentali, dall’eventuale utilizzazione da
parte del giudice del regime della motivazione differita, ma è e rimane sempre di
quindici giorni.
5.3. Quanto alla decorrenza del termine per impugnare la sentenza di
non luogo a procedere, deve escludersi, ove il giudice rispetti le previsioni di cui
all’art. 424 c.p.p., l’operatività dell’art.128 c.p.p., che, facendo espressamente
salvo quanto il codice dispone in relazione ai provvedimenti emessi nell’udienza
preliminare e nel dibattimento, è riferibile ai provvedimenti camerali così detti
“tipici” e ne disciplina il deposito, la comunicazione o la notificazione del relativo
avviso alle parti processuali cui la legge attribuisce il diritto d’impugnazione.
Deve invece farsi riferimento alla norma di cui all’art. 585, comma 2, c.p.p. che

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4. Occorre premettere che, nel caso in esame, è accaduto che il

regola la decorrenza dei termini per l’impugnazione non solo delle sentenze
dibattimentali ma di ogni tipo di provvedimento del giudice. Con quest’ultima
norma, il legislatore del 1988 ha dato attuazione alla direttiva di cui al punto 83
della Legge-Delega 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, in cui si stabiliva che la
determinazione della decorrenza dei termini per le impugnazioni fosse
“ispirata a criteri di massima funzionalità e semplificazione”, e ha
conseguentemente privilegiato meccanismi automatici predefiniti per
l’individuazione del momento da cui detti termini devono decorrere, limitando il

provvedimento ai soli casi in cui, non potendo operare il modello presuntivo,
risulti necessario garantire l’effettiva conoscenza alle parti interessate a proporre
impugnazione. La decorrenza dei termini per impugnare, secondo la previsione
dell’art. 585 c.p.p., è infatti collegata – di norma – in via automatica ai termini
prestabiliti per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali.
5.4. E’ evidente quindi che, sulla base di una interpretazione
coordinata degli artt. 424 e art. 585, comma 2, c.p.p. il termine per impugnare
la sentenza di non luogo a procedere deve farsi decorrere, ove il dispositivo e la
contestuale motivazione siano letti in udienza, da tale momento, secondo la
previsione di cui all’art. 585, comma 2, lett. b), equivalendo la lettura a
notificazione per le patti presenti o presunte tali. Ove il Giudice dell’udienza
preliminare, nel dare lettura in udienza – alla presenza delle parti – del solo
dispositivo della sentenza, opti per il regime della motivazione differita e questa
sia depositata, così come previsto dall’art. 424, comma 4, c.p.p. nei trenta giorni
successivi alla pronuncia, è dalla scadenza di tale termine legale, non
prorogabile, che deve farsi decorrere in via automatica, ai sensi dell’art. 585,
comma 2, lett. c), c.p.p. prima parte, il termine iniziale per proporre
impugnazione, giacché, in tal caso, per le parti interessate e presenti in udienza
opera una forma di presunzione legale di conoscenza e non deve alle stesse
essere comunicato o notificato l’avviso di deposito della motivazione (cfr. Sez.
Un., 26 maggio 2011 n. 21039).

6.

Nel caso che occupa il termine di 15 giorni decorreva dal

18/12/2015 per spirare il 02/01/2016.
6.1. Il ricorso in parola risulta, invece, depositato il 26/01/2016, a
termini, quindi, spirati. Di qui l’inammissibilità del ricorso.

7. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella

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ricorso alla comunicazione o alla notificazione dell’avviso di deposito del

determinazione della causa di inammissibilità (cfr. Corte costituzionale sentenza
n. 186 del 2000)- al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che si stima equo determinare in C 500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 500,00 in favore della cassa delle

Così deciso il 21/06/2016

ammende.

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