Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29647 del 21/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29647 Anno 2016
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
CARUSO Sergio Antonello, nato ad Aiello Calabro (CS) il 15/11/1961
avverso l’ordinanza n. 63/15 del 15/05/2015, della Corte di Appello di
Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Leonardo Tanga;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Aldo Policastro, che ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza.

Data Udienza: 21/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza n. 63/15 del 15/05/2015, la Corte di Appello di
Catanzaro accoglieva parzialmente l’istanza di riparazione per ingiusta
detenzione proposta da Caruso Sergio Antonello, patita in relazione a fatti
attinenti un omicidio volontario, condannando il Ministero dell’Economia e delle

ricorrente della somma di C 12.501,11.
1.1. Il Caruso aveva chiesto la condanna al pagamento in proprio
favore, da parte del Ministero competente, di una somma di giustizia a titolo di
riparazione (da determinarsi in misura congrua, con vittoria delle spese di lite)
per l’ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 c.p.p., asseritamente sofferta dal
giorno 11/04/2002 (data in cui veniva arrestato in relazione al procedimento n.
1626/02 RGNR – 418 Reg. PM, con l’accusa di omicidio in concorso ai danni di
Maria Rubini -all’epoca moglie del ricorrente-, convalidato il 13 aprile 2002 con
applicazione della misura cautelare della custodia in carcere) al 03/06/2002
(data in cui il G.I.P. revocava la misura); dunque per la durata di complessivi
giorni 53. Evidenziava che la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro con sentenza
n. 29/2011 del 12/10/2011, depositata il successivo 10 aprile, e divenuta
definitiva il 26 novembre 2013 in riforma della sentenza di primo grado della
Corte di Assise di Cosenza, lo aveva assolto dalla imputazione ascritta per non
avere commesso il fatto.

2. Avverso tale ordinanza, propone ricorso per cassazione Caruso
Sergio Antonello, a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il
disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att. c.p.p.):
I) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione in relazione agli
artt. 314-315 c.p.p. nonché all’art. 125, comma 3, c.p.p.; travisamento delle
emergenze probatorie e omesso apprezzamento di risultanze istruttorie decisive.
Deduce, con riferimento alla determinazione della somma liquidata ottenuta,
l’omessa analisi di elementi decisivi ai fini della ulteriore valutazione equitativa in
rapporto al turbamento fisico, psichico, morale, economico, familiare e sociale
del ricorrente emergente dalla documentazione in atti.
2.1. Con memoria depositata il 06/06/2016 il ricorrente ha chiarito e
ribadito i motivi del proprio ricorso.

2

Finanze, in persona del Ministro pro-tempore, al pagamento in favore del

2.3. Con memoria depositata il 06/06/2016, si è costituita,
nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Avvocatura dello
Stato adducendo motivazioni avversative.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

Giova, in breve, premettere che, in tema di riparazione per

l’ingiusta detenzione, il giudice, nel far ricorso alla liquidazione equitativa, deve
sintetizzare i fattori di analisi presi in esame ed esprimere la valutazione fattane
ai fini della decisione, non potendo il giudizio di equità risolversi nel

“merum

arbitrium”, ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e
logicamente congrua, così assoggettandosi alla possibilità del controllo da parte
dei destinatari e dei consociati (sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014 – dep.
23/05/2014, Silletti, Rv. 259236).
4.1. La giurisprudenza di legittimità, inoltre, si è stabilmente
orientata (v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi) per la necessità di
contemperare il parametro aritmetico -costituito dal rapporto tra il tetto
massimo dell’indennizzo di cui all’articolo 315, comma 2, c.p.p. (C 516.456,90)
ed il termine massimo della custodia cautelare di cui all’articolo 303, comma 4,
lett. c), c.p.p. espresso in giorni (sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il
periodo anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere
di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto
(in tal senso anche Sez. 4, n. 34857 del 17/06/2011 – dep. 27/09/2011,
Giordano, Rv. 251429), che non può mai comportare lo sfondamento del tetto
massimo normativamente stabilito. Si è così superato il contrasto tra le opposte
tesi dell’assoluta insufficienza del solo criterio aritmetico (Sez. 4, Sentenza n.
915 del 15/03/1995 P.G. in proc. Ministro lavoro Rv. 201632) e della
onnicomprensività di tale criterio (Sez. 3, Sentenza n. 28334 del 29/04/2003,
Porfidia, Rv. 225963).
4.2. Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va
necessariamente tenuto presente, è costituito, pertanto, dal parametro
aritmetico (individuato, alla luce dei criteri sopra indicati, nella somma di C
235,82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed in quella di C 120,00 per ogni
giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della
pena).
4.3. Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando
il pregiudizio che scaturisce dalla privazione della libertà personale a dati certi,

3

4.

costituisce il criterio base della valutazione del giudice della riparazione, il quale,
comunque, potrà derogarvi in senso ampliativo (purché nei limiti del tetto
massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione però che, nell’uno o
nell’altro caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi
parametri di riferimento.
4.4. Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di
riparazione, infine, è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare
se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non

discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non
abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia
liquidato in modo simbolico la somma dovuta (sez. 4, n. 5886 del 30/01/2015;
sez. 4, n. 10690 del 25/02/2010 – dep. 18/03/2010, Cammarano, Rv. 246424)”.

5.

Ciò doverosamente premesso, deve procedersi, appunto, alla

verifica, nella specie, della correttezza logica del ragionamento attraverso cui il
giudice è pervenuto alla quantificazione del beneficio.

6. Compulsando gli atti al solo fine di trarne gli elementi idonei al
giudizio di cui al punto che precede, emerge:
6.1. Il Caruso, in data 11/04/2002 veniva arrestato con l’accusa di
omicidio in concorso con la propria madre (Baeli Assunta) ai danni di Maria
Rubino, all’epoca moglie del ricorrente da cui stava per separarsi, avvenuto il
09/04/2002.
6.2. L’arresto veniva convalidato il 13/04/2002 con applicazione della
misura cautelare della custodia in carcere che aveva termine il 03/06/2002 (data
in cui il G.I.P. revocava la misura). Per quel fatto la Baeli si assunse ogni
responsabilità in merito all’omicidio, scagionando così il figlio, e,
successivamente venne condannata, in primo grado, alla pena di anni 21 di
reclusione, ridotta in appello ad anni 14 di reclusione. Residuarono a carico del
Caruso solo imputazioni minori (maltrattamenti in famiglia) poi cadute in
prescrizione.
6.3. Per l’imputazione di concorso in omicidio, invece, fu richiesta
l’archiviazione. A seguito dell’opposizione della parte civile, s’impose il prosieguo
delle indagini con conseguente rinvio a giudizio dinanzi alla Corte di Assise di
Cosenza che condannò il Caruso alla pena di anni 30 di reclusione.
6.4. Successivamente la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, con
sentenza n. 29/2011 del 12.10.2011, depositata il successivo 10 aprile, e
divenuta definitiva il 26 novembre 2013, in riforma della sentenza di primo grado

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sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che,

della Corte di Assise di Cosenza, assolveva il Caruso dalla imputazione ascritta
per non avere commesso il fatto.
6.5. La Corte di Appello di Catanzaro, adita dal Caruso per ottenere la
riparazione per ingiusta detenzione, pronunciava l’ordinanza che occupa
quantificando la somma di C 12.501,11, calcolata seguendo il criterio aritmetico
di cui si è detto.

7. Alla stregua del compendio succitato, appare agevole valutare

ordine ai presunti danni di carattere patrimoniale, ha ritenuto che il fatto che il
Caruso abbia dovuto affidare la farmacia al fratello e poi associare ad altri
soggetti non sia derivato dalla custodia carceraria, data la brevità della
detenzione senza ulteriori limitazioni, bensì e semmai dall’accusa a lui rivolta e al
processo che ha sostenuto; stesse considerazioni dovevano valere per il
presunto danno all’immagine. In ordine a quello derivante dalla frattura dei
rapporti familiari, specificamente quelli con la figlia, sostiene incensurabilmente la
Corte che essi derivarono dalle decisioni del Tribunale per i minorenni che affidò
la figlia infante ai nonni materni a causa della inadeguatezza genitoriale del
ricorrente “al di là e anche per il fatto di sangue per il quale è stato assolto” (tra
le imputazioni minori vi era, come già detto, anche quella di maltrattamenti in
famiglia). Né, per il giudice della riparazione, i danni alla salute possono essere
casualmente ricondotti alla detenzione patita, poiché, come gli altri danni
lamentati (morali o patrimoniali), “non sorretti da adeguata dimostrazione; in
sostanza, non è dimostrato che essi siano casualmente connessi all’ingiusta
detenzione, e non invece alla sottoposizione al processo e all’ingiustizia delle
accuse, che è profilo del tutto differente rispetto a quello oggetto di giudizio”.

8. Conclusivamente, il giudice della impugnata ordinanza, facendo
buon uso dei principi di cui in premessa, ha, quindi, pronunciato il parziale,
accoglimento dell’istanza di riparazione, limitando l’indennizzo nel modo
enunciato, con motivazione completa, congrua e coerente con gli evidenziati
elementi, e perciò incensurabile in questa sede di legittimità, non discostandosi
dai criteri usualmente seguiti e non adottando criteri manifestamente arbitrari o
immotivati né liquidando in modo simbolico la somma dovuta (sez. 4, n. 5886
del 30/01/2015).

9. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, il rigetto
del ricorso cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

5

l’ineccepibile percorso logico seguito dal Giudice della riparazione il quale, in

processuali nonché delle spese sostenute dal Ministero dell’economia e delle
finanze da liquidarsi in complessivi C 1.000,00.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna g -ilricorrente al pagamento delle spese

che liquida in complessivi €1.000,00.

Così deciso il 21/06/2016

processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente

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